Falso Grossolano: Perché Anche una Contraffazione Palese è Reato
La Corte di Cassazione torna a pronunciarsi su un tema cruciale in materia di contraffazione: la rilevanza del cosiddetto falso grossolano. Con una recente ordinanza, i giudici hanno ribadito un principio fondamentale: la rozzezza di un’imitazione non esclude il reato. Questa decisione conferma che la legge non protegge solo il consumatore dall’inganno, ma un bene giuridico molto più ampio: la fede pubblica. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante pronuncia.
Il Caso in Esame: Dal Ricorso alla Decisione
Il caso trae origine dal ricorso presentato da un soggetto condannato dalla Corte d’Appello di Venezia per reati legati alla contraffazione di marchi e alla commercializzazione di prodotti contraffatti. La tesi difensiva principale si basava sull’argomento del falso grossolano: la contraffazione sarebbe stata talmente evidente e le condizioni di vendita così anomale da rendere impossibile trarre in inganno gli acquirenti. Secondo il ricorrente, ciò avrebbe dovuto portare a escludere la punibilità della condotta. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha respinto categoricamente questa linea difensiva, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e inammissibile.
L’Irrilevanza del Falso Grossolano nella Contraffazione
Il cuore della decisione della Suprema Corte risiede nella costante interpretazione degli articoli 473 e 474 del codice penale. Questi articoli non sono posti a tutela del singolo acquirente, ma della collettività.
La Tutela della Fede Pubblica
Il bene giuridico primario protetto dalle norme sulla contraffazione è la fede pubblica. Questo concetto si riferisce all’affidamento che tutti i cittadini ripongono nei marchi e nei segni distintivi come strumenti di identificazione dell’origine e della qualità dei prodotti. La semplice circolazione di un prodotto con un marchio falso, indipendentemente dalla sua qualità, lede questa fiducia collettiva e danneggia l’ordine economico, oltre che il titolare del marchio stesso.
Il Reato di Pericolo
Di conseguenza, i reati di contraffazione sono configurati come reati di pericolo. Ciò significa che per la loro consumazione non è necessario che si verifichi un danno concreto (l’effettivo inganno di un compratore), ma è sufficiente la mera messa in pericolo del bene protetto. L’introduzione nel mercato di prodotti falsi è di per sé sufficiente a creare questa situazione di pericolo. Pertanto, la tesi del reato impossibile, basata sulla grossolanità del falso, non trova applicazione in questo contesto.
Inammissibilità del Ricorso per Motivi Generici
Oltre a rigettare nel merito la tesi sul falso, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile anche per un vizio procedurale. I motivi presentati erano una mera ripetizione di quelli già sollevati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello.
I Requisiti dell’Art. 581 c.p.p.
L’articolo 581 del codice di procedura penale richiede che i motivi di ricorso contengano una critica specifica e argomentata contro la decisione impugnata. Non è sufficiente riproporre le stesse argomentazioni, ma è necessario spiegare perché la sentenza di secondo grado ha sbagliato nel valutarle. Un ricorso che si limita a ripetere le doglianze precedenti è considerato generico e, quindi, inammissibile.
Le Motivazioni della Corte
La Corte di Cassazione ha motivato la sua decisione su due pilastri principali. In primo luogo, ha riaffermato la sua giurisprudenza consolidata secondo cui la configurabilità del reato di contraffazione prescinde dalla possibilità concreta di indurre in errore l’acquirente. La tutela si estende alla fede pubblica, intesa come l’affidamento generale nei segni distintivi che garantiscono la circolazione dei beni. La grossolanità della contraffazione non esclude quindi la punibilità, poiché la condotta è già di per sé pericolosa per l’integrità del mercato. In secondo luogo, i giudici hanno rilevato che il ricorso non assolveva alla sua funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza impugnata. Limitandosi a riproporre le stesse questioni già esaminate e disattese in appello, senza argomentare specificamente contro le motivazioni della Corte territoriale, il ricorso si è rivelato privo dei requisiti di specificità richiesti dalla legge, portando a una declaratoria di inammissibilità.
Le Conclusioni
La pronuncia in esame offre due importanti lezioni pratiche. La prima è di natura sostanziale: chi produce o vende merce contraffatta non può sperare di andare impunito sostenendo che i falsi erano ‘palesemente riconoscibili’. La legge penale tutela il mercato e la fiducia del pubblico in modo ampio, punendo la contraffazione in sé. La seconda lezione è di carattere processuale: un ricorso in Cassazione deve essere un atto di critica mirata e argomentata. La semplice riproposizione di difese già respinte non ha alcuna possibilità di successo e comporta, come in questo caso, la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.
Perché la vendita di un prodotto palesemente falso è considerata comunque un reato?
Perché la legge non tutela solo il singolo acquirente dall’inganno, ma un interesse più ampio chiamato ‘fede pubblica’, ovvero la fiducia di tutti i cittadini nei marchi e nei segni distintivi. La semplice circolazione di prodotti falsi danneggia questa fiducia e costituisce un ‘reato di pericolo’, che viene punito a prescindere dal fatto che qualcuno sia stato effettivamente ingannato.
Cosa significa che un ricorso per cassazione è ‘meramente reiterativo’ e perché viene respinto?
Significa che il ricorso si limita a ripetere le stesse argomentazioni e motivi già presentati e respinti nel precedente grado di giudizio (l’appello), senza formulare una critica specifica e argomentata contro le motivazioni di quella sentenza. Viene respinto perché la legge (art. 581 c.p.p.) richiede che il ricorso contenga ragioni nuove o una critica puntuale alla decisione impugnata, non una sua semplice ripetizione.
Quali sono le conseguenze economiche per chi presenta un ricorso inammissibile?
Quando un ricorso viene dichiarato inammissibile per colpa del ricorrente (come in questo caso), la legge (art. 616 c.p.p.) prevede che quest’ultimo sia condannato a pagare non solo le spese del procedimento, ma anche una somma di denaro a favore della ‘cassa delle ammende’. In questa ordinanza, la somma è stata fissata in tremila euro.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 34851 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 34851 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 04/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 25/09/2023 della CORTE APPELLO di VENEZIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Letto il ricorso di NOME COGNOME, considerato che il ricorso si mostra manifestamente infondato nella parte in cui sostiene la rilevanza del c.d. falso grossolano, là dove la giurisprudenza di questa Corte ha costantemente spiegato che con riguardo ai reati Ai cui agli artt. 473 e 474, cod.pen. non rileva la configurabilità della contraffazione grossolana, considerato che tali norme tutelano, in via principale e diretta, la fede pubblica, intesa come affidamento dei cittadini nei marchi e segni distintivi che individuano le opere dell’ingegno ed i prodotti industriali e ne garantiscono la circolazione anche a tutela del titolare del marchio; si tratta, pertanto, di un reato di perico per la cui configurazione non occorre la realizzazione dell’inganno, bon ricorrendo, quindi, l’ipotesi del reato impossibile qualora la grossolanità della Contraffazione e le condizioni di vendita siano tali da escludere la possibilità che gli acquirenti siano tratti in inganno», (In tal senso, Sez. 2, Sentenza n. 16807 del 11/01/2019, NOME COGNOME, Rv. 275814).
Considerato, altresì, che i motivi sono inammissibili perché meramente reiterativi delle questioni proposte con l’atto di appello, affrontate e disattese dal Corte di merito con motivazione adeguata, non viziata da manifesta illogicità o di patologiche contraddittorietà. A tale proposito questa Corte ha costantemente chiarito che “È inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella ripetizione di quelli già dedotti in appello, motivatamente esaminati e disattesi dalla corte di merito, dovendosi i motivi stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto non assolvono la funzione tipica di critica puntuale avverso la sentenza oggetto di ricorso”, (Sez. 5, Sentenza n. 11933 del 27/01/2005, Rv. 231708; più di recente, non massimate: Sez. 2, Sentenza n. 25517 del 06/03/2019, COGNOME; Sez. 6, Sentenza n. 19930 del 22/02/2019, COGNOME). In altri termini, è del tutto evidente che a fronte di una sentenza di appell che ha fornito una risposta ai motivi di gravame, la pedissequa riproduzione di essi come motivi di ricorso per cassazione non può essere considerata come critica argomentata rispetto a quanto affermato dalla Corte d’appello: in questa ipotesi, pertanto, i motivi sono necessariamente privi dei requisiti di cui all’art. 581 c.p.p. comma 1, lett. c), che impone la esposizione delle ragioni di fatto e di diritto a sostegno di ogni richiesta.
Ritenuto che quanto esposto comporta la declaratoria di inammissibilità ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento nonché, ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende della somma di euro tremila, così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro alla cassa delle ammende.
Così deciso il 4 giugno 2024
Il Consigliere est.
GLYPH Il Presidente