Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 860 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 860 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/11/2023
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a LODI il 17/01/1976
avverso la sentenza del 29/05/2023 della CORTE APPELLO di MILANO
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG NOME COGNOME Il Proc. Gen. chiede di annullare senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato
è estinto per prescrizione lette le conclusioni del difensore, avv. NOME COGNOME Il difensore chiede l’accoglimento del ricorso,
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza del 29 maggio 2023 la Corte appello di Milano ha confermato la condanna alla pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione inflitta dal Tribunale di Pavia il 30 novembre 2021 a NOME COGNOME riconosciute le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla contestata recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen. per il reato di cui all’attuale art. 90, comma 3, d.P.R. n. 570 del 1960 (già comma 2 della medesima disposizione).
1.1. NOME COGNOME è stato condannato per tale reato, perché, in qualità di incaricato del «Partito Pirata – pirateparty.il: », ha formato falsamente la lista dei candidati del consiglio comunale e alla carica di sindaco del Comune di Mezzana Rabattone, avvalendosi di moduli di accettazione della candidatura recanti le false sottoscrizioni di plurimi soggetti (in Mezzana Rabattone, il 2 aprile 2012, data del deposito della lista presso il Comune).
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il difensore dell’imputato.
2.1. Con il primo motivo si deducono la violazione dell’art. 90, comma 2, d.P.R. n. 570 del 1960 e la manifesta contraddittorietà della motivazione.
La norma contestata farebbe riferimento dila qualità di appartenente all’Ufficio elettorale, ma il ricorrente non sarebbe stato impiegato in un Comune interessato dalle consultazioni elettorali oggetto dell’imputazione, né in un Ufficio elettorale.
Dal termine di prescrizione individuato dalla Corte di appelb – il 19 luglio 2029 – dovrebbe dedursi che sia stata applicata l’ipotesi di reato aggravato dalla qualifica soggettiva dell’agente, errando nella commisurazione della pena, la quale dovrebbe essere di 7 mesi di reclusione; da ciò deriverebbe il mancato riconoscimento dell’estinzione del reato per prescrizione.
Secondo il ricorrente, la prescrizione sarebbe decorsa al più tardi il 10 ottobre 2022, pur volendo tener conto della recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen., nonché delle sospensioni intervenute nel corso del processo. Anche in caso di recidiva qualificata, il termine massimo di prescrizione sarebbe di 10 anni, dovendosi applicare l’aumento del termine per la recidiva sulla pena base, senza previamente considerare il tempo massimo di prescrizione risultante dall’applicazione dell’art. 161 cod. pen.
La motivazione sarebbe contraddittoria nella parte in cui la Corte di appello ha individuato il minimo edittale della pena per il reato ascritto al ricorrente in anno: se così fosse, avrebbe fatto riferimento alla fattispecie comune del delitto ex art. 90, comma 2, d.P.R. n. 570 del 1960, con le relative conseguenze in punto
di prescrizione del reato, che sarebbe già intervenuta il 2 settembre 2019, nonché di pena da irrogare al ricorrente.
2.2. Con il secondo motivo si deduce l’erronea applicazione dell’art. 99 cod. pen. per avere la Corte territoriale applicato la recidiva specifica e reiterata.
Con la sentenza di condanna, irrevocabile il 31 ottobre 2004, la Corte di appello di Torino avrebbe ritenuto la natura colposa del reato; la pena sarebbe stata oggetto di indulto.
Il decreto penale di condanna del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como del 26 settembre 2006 sarebbe irrilevante per l’applicazione della recidiva perché sarebbe stato emesso durante la vigenza dell’art. 90, comma 3, d.P.R. n. 570 del 1960, ratione temporis vigente, ripreso dall’art. 56 d.P.R. n. 223 del 1967 – entrambe disposizioni modificate dall’art. 1, comma 2, lett. a), n. 1), I. 2 marzo 2004, n. 61; la condanna sarebbe intervenuta per una contravvenzione, per cui sarebbe stata riconosciuta l’oblazione.
Gli effetti della I. n. 61 del 2004 sarebbero stati annullati solo con la sentenza della Corte costituzionale n. 394 del 23 novembre 2006, che avrebbe ripristinato la qualificazione di delitti dei reati in questione. La sentenza della Cort costituzionale, successiva al decreto penale di condanna, non potrebbe spiegare efficacia retroattiva in malam partem.
In ogni caso, la condanna riguarderebbe un falso elettorale diverso da quello per cui è processo; di conseguenza non sarebbe un reato della stessa indole.
Le condanne intervenute successivamente all’instaurazione del processo non potrebbero rilevare ai fini della recidiva; pertanto, all’epoca dei fatti, il ricor avrebbe dovuto essere considerato incensurato.
2.3. Con il terzo motivo si deducono la violazione degli artt. 157, 160 e 161 cod. pen. e la manifesta illogicità e carenza della motivazione, per non avere la Corte territoriale esplicitato il ragionamento seguito per il calcolo del termine d prescrizione. La recidiva sarebbe un istituto di diritto sostanziale, come tale soggetto al divieto di bis in idem: non potrebbe essere considerata per l’individuazione sia della pena massima sia del tempo massimo di prescrizione.
2.4. Con il quarto motivo si deduce la mancata assunzione di una prova decisiva: la Corte di appello non avrebbe disposto la perizia grafologica.
L’ammissione di tale prova sarebbe stata chiesta e rigettata in sede di udienza preliminare; la richiesta, riproposta all’ultima udienza, sarebbe stata nuovamente rigettata. La richiesta di perizia fu presentata anche con i motivi di appello ma la Corte territoriale avrebbe dichiarato esaurita la facoltà di richiedere tale prova.
La perizia sarebbe una prova contraria ex art. 495, comma 2, cod. proc. pen. necessaria per dimostrare la non colpevolezza dell’imputato.
2.5. Con il quinto motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione per non avere la Corte di appello applicato la causa di non punibilità di cui all’art 131-bis cod. pen. rispetto all’implicita richiesta di diminuzione della pena contenuta nei motivi di appello con cui si sarebbe contestata la recidiva.
La particolare tenuità del fatto sarebbe stata riconosciuta dal Tribunale che avrebbe determinato la pena lievemente superiore al minimo edittale.
La motivazione della Corte di appello, sulla prognosi negativa di futura astensione dalla commissione di reato, pur basandovisi esplicitamente, sarebbe in contraddizione con il certificato del casellario giudiziale del ricorrente, dal qua emergerebbe che egli non è stato più imputato per reati commessi dopo il 2013.
Non vi sarebbero ostacoli al riconoscimento dei benefici di legge.
2.6. Con il sesto motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione in ordine alla valutazione del comportamento processuale del ricorrente.
La Corte di appello avrebbe rilevato che NOME COGNOME non avrebbe sporto querela dopo aver scoperto la non autenticità della sua firma in calce alle autenticazioni; senonché, l’imputato avrebbe disconosciuto la propria firma alla prima occasione utile, ossia appena scoperta la circostanza nel processo, valutando di non sporgere querela, per l’estinzione per prescrizione dell’eventuale reato. Egli avrebbe subito richiesto una perizia grafologica, producendo un esemplare della propria firma.
Dagli atti del processo emergerebbe, comunque, la potenziale responsabilità di tale NOME COGNOME per i fatti di reato ascritti al ricorrente: non sarebbe st considerato che, seppur NOME COGNOME avesse depositato la lista elettorale, quest’ultima sarebbe stata in plico chiuso e non ne sarebbe automatica la conoscenza del contenuto da parte del ricorrente e la sua conseguente correità.
2.7. Con il settimo motivo si deduce la mancata assunzione da parte del Tribunale e della Corte di appello della testimonianza di NOME COGNOME Le dichiarazioni della teste NOME COGNOME non sarebbero sufficienti a colmare le lacune degli altri testimoni, come dichiarato dalla Corte territoriale.
2.8. Con l’ottavo motivo si deduce la manifesta illogicità della motivazione: la Corte di appello avrebbe dovuto assolvere l’imputato con formula dubitativa; la potenziale responsabilità di un terzo soggetto escluderebbe quella del ricorrente.
2.9. Con il nono motivo si deduce la violazione degli artt. 8 e 9 cod. proc. pen. L’imputato avrebbe eccepito l’incompetenza per territorio all’udienza preliminare e, poi, in sede di regressione del procedimento in primo grado alla fase predibattinnentale. Il luogo del reato non potrebbe essere Mezzana Rabattone, in cui la lista è stata depositata, in quanto l’atto del deposito non configurerebbe reato. Vi sarebbe incertezza sul /ocus commissi delicti, con conseguente competenza del Tribunale di Milano, luogo di residenza dell’imputato.
Il reato non si sarebbe consumato il 2 aprile 2012, in quanto rileverebbero le data delle sottoscrizioni autenticate, che «arrivano» (pag. 9) al 1 dicembre 2011.
2.10. Con il decimo motivo, infine, si deduce il vizio ex art. 606, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 90 d.P.R. n. 570 del 1960, 56 d.P.R n. 233 del 1967 e 111 Cost.: l’imputato sarebbe stato giudicato, in violazione del principio del giusto processo, per fatti che non sarebbero puniti come reato dalle prime due disposizioni citate, ma solo dalle norme codicistiche in tema di falso.
2.11. Il 1 ottobre 2023 il difensore di fiducia del ricorrente, avv. NOME COGNOME ha rinunciato all’incarico; è stato nominato quale difensore d’ufficio l’avv. NOME COGNOME il quale il 10 novembre 2023 ha depositato una memoria con cui ha insistito nell’accoglimento del ricorso.
Il 28 novembre 2013 l’avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente – ha depositato una memoria difensiva.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il decimo motivo, che va esaminato preliminarmente perché teso a contestare la rilevanza penale del fatto ascritto al ricorrente, è manifestamente infondato.
1.1. Il motivo è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen. nella parte in cui si deduce la violazione di norme costituzionali; come affermato da Sez. U, n. 29541 del 16/07/2020, COGNOME, Rv. 280027, non è consentito il motivo di ricorso per cassazione con il quale si deduca la violazione di norme della Costituzione o della Convenzione EDU, poiché la loro inosservanza non è prevista tra i casi di ricorso dall’art. 606 cod. proc. pen. e può soltanto costitui fondamento di una questione di legittimità costituzionale.
1.2. Il motivo, nella parte in cui deduce la violazione dell’art. 56 d.P.R. n. 223 del 1967, è inammissibile perché la deduzione è puramente astratta e non sostenuta da un apprezzabile interesse del ricorrente, non essendo tale disposizione normativa mai stata applicata nei gradi di merito, ma solo in uno dei procedimenti conclusisi con condanna irrevocabile del ricorreni:e, valorizzata ai fini dell’applicazione della recidiva.
1.3. Il motivo, nella parte in cui deduce la violazione dell’art. 90, comma 2, d.P.R. n. 570 del 1960, sostenendo l’irrilevariza penale delle condotte ascritte al ricorrente nel presente giudizio, è inammissibile, trattandosi di una questione non dedotta con i motivi di appello.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza, la lettura coordinata degli artt. 609 e 606, comma 3, cod. proc. pen. impedisce la proponibilità in cassazione di qualsiasi questione non prospettata in appello, quale rimedio contro
il rischio concreto di un annullamento, in sede di cassazione, del provvedimento impugnato, in relazione ad un punto intenzionalmente sottratto alla cognizione del giudice di appello: in questo caso, infatti, è facilmente diagnosticabile in anticipo un inevitabile difetto di motivazione della relativa sentenza con riguardo al punto dedotto con il ricorso, proprio perché mai investito della verifica giurisdizionale (i tal senso cfr. Sez. U. n. 24 del 24/11/1999, COGNOME, Rv. 214794, in motivazione).
1.4. Ad ogni modo, la tesi difensiva della irrilevanza penale delle condotte ascritte all’imputato è manifestamente infondata.
Anticipando parte delle considerazioni oggetto dell’analisi del primo motivo, la condotta ascritta al ricorrente consiste nell’aver falsamente formato la lista dei candidati al consiglio comunale, avvalendosi di moduli di accettazione all’autenticazione di sottoscrizioni della candidatura di plurimi soggetti, rivelates false. Nessun riferimento è contenuto nel capo di imputazione ad un’eventuale qualifica di appartenente all’Ufficio elettorale, ma solo alla qualità di incaricato d «Partito pirata».
Il ricorrente, dunque, è stato condannato per la fattispecie base di delitto comune, non aggravato, di cui all’attuale art. 90, comma 3 (già comma 2, prima della modifica intervenuta con legge 3 luglio 2017, n. 105), d.P.R. n. 570 del 1960.
La formulazione dell’addebito è giuridicamente coerente con i fatti ascritti a NOME COGNOME in quanto, in forza dell’annullamento per illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza della Corte costituzionale n. 394 del 2006, della norma di favore contenuta nell’originario comma 3 dell’art. 90 d.P.R. citato (come risultante dalla modifica intervenuta con legge 2 marzo 2004, n. 61, e che, dopo la modifica del 2017, sarebbe stato il comma 4), le due species di condotte di «autenticazione delle sottoscrizioni di liste di elettori o di candidati», nonché d falsa formazione, in tutto o in parte, delle liste di elettori o di candidati, dev dirsi penalmente rilevanti, in quanto ricomprese nel più ampio genus di falsa formazione «in tutto o in parte, schede o altri atti dal presente testo unic destinati alle operazioni elettorali», di cui all’attuale art. 90, comma 3, d.P.R. n 570 del 1960.
Tanto è confermato non solo dalla Corte costituzionale nella pronuncia citata (cfr. par. 6.2. e 7.1.), ma anche dalla giurisprudenza che ha evidenziato che «la dichiarazione di incostituzionalità del terzo comma del ricordato articolo 90 – e dunque la cancellazione dall’ordinamento di un’ipotesi che rappresentava eccezione a quella più generale di cui al secondo comma – non può che avere determinato il “rientro” delle condotte descritte nel comma dichiarato incostituzionale nel più ampio genus delle condotte (omogenee) previste nel comma precedente. È proprio la Corte che fa ricorso a espressioni quali “automatica riespansione della norma generale o comunque
dettata dallo stesso legislatore, al caso già oggetto di una incostituzionale disciplina derogatoria”» (cfr. Sez. 5, n. 51523 del 14/11/2013, Giovine, Rv. 258024-01, par. 3.8. del «Considerato»; nonché, da ultimo, Sez. 5, n. 19895 del 15/03/2021, Fiorio, non massimata, par. 1.1 del «Considerato»).
Sussiste, dunque, la rilevanza penale delie condotte ascril:te al ricorrente.
Il primo, secondo e terzo motivo, concernenti l’applicazione della recidiva e la prescrizione del reato, possono esaminarsi congiuntamenl:e e sono infondati.
2.1. Il ricorrente è stato condannato per l’ipotesi di delitto comune non aggravato di cui all’attuale art. 90, comma 3, d.P.R. n. 570 del 1960 (comma 2 all’epoca del fatto).
Tanto è evidenziato: dall’assenza nel capo di imputazione di ogni riferimento ad una qualifica dell’imputato di appartenenl:e all’Ufficio elettorale; dal percorso argomentativo seguito dal Tribunale e della Corte territoriale, in cui non viene fatta menzione di una simile qualifica, bensì solo a quella diversa di pubblico ufficiale di NOME COGNOME giacché i poteri di autentica delle sottoscrizioni gli erano stati concessi dal Comune di Aviatico; nonché, soprattutto, dalla pena in concreto irrogata.
2.2. La fattispecie base di cui all’art. 90, comma 3, prevede la pena della reclusione da uno a sei anni; la stessa pena era prevista dal comma 2 in vigore al momento della commissione del fatto. La circostanza aggravante della qualità di appartenente all’Ufficio elettorale dell’agente comporta la pena da due a otto anni di reclusione.
2.2.1. Il Tribunale, applicando le circostanze attenuanti generiche equivalenti alla recidiva, ha condannato l’imputato alla pena di 1 anno e 2 mesi di reclusione, prossima al minimo edittale del delitto comune di cui all’attuale art. 90, comma 3, d.P.R. n. 570 del 1960 e al di sotto del minimo edittale previsto per l’ipotesi caratterizzata dalla particolare qualifica dell’agente.
La Corte territoriale ha confermato tale condanna rilevando che la pena è stata inflitta rispetto al minimo edittale di un anno.
Nei giudizi di merito il ricorrente è stato condannato – in conformità al capo di imputazione – per la fattispecie di delitto comune e non aggravato; di conseguenza, non sussiste alcuna contraddizione nella motivazione nella parte in cui la Corte di appello ha fatto riferimento ad un «lieve discostamento dal minimo» (pag. 6), con riguardo alla pena di 1 anno e 2 mesi comminata all’imputato.
2.2.2. È inammissibile la produzione, per la prima volta in sede di legittimità, di una dichiarazione del 13 luglio 2023 del responsabile dell’Ufficio elettorale di un Comune non meglio precisato – peraltro apparentemente rilasciata da tale NOME COGNOME la quale figura anche tra i testi escussi in dibai:timento – da cui si
dovrebbe desumere l’assenza della qualità di appartenente ad un Ufficio elettorale del Loda (cfr. Sez. 2, n. 42052 del 16/06/20119, COGNOME COGNOME, Rv. 277609-01).
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza nel giudizio di legittimità non possono essere prodotti documenti che costil:uiscano una nuova prova e che comportino un’attività di apprezzamento circa la loro validità formale e la loro efficacia nel contesto delle prove già raccolte e valutate dai giudici d merito: tale attività è estranea ai compiti istituzionali della Corte di Cassazione.
2.3. Così precisato il reato per cui è intervenuta la condanna del ricorrente, deve esaminarsi la legittimità dell’applicazione della recidiva ex art. 99, comma 4, cod. pen.
La Corte territoriale ha correttamente ritenuto sussistente la recidiva specifica e reiterata, in ragione di una condanna della C:orte di appello di Torino, irrevocabile il 31 ottobre 2004, intervenuta per il delitto ex art. 424 cod. pen., e di un decreto penale di condanna emesso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Como il 26 settembre 2006 per il reato ex art. 56 d.P.R. n. 223 del 1967.
Tali condanne sono entrambe precedenti ai fatti oggetto del presente processo e risultano effettivamente dal casellario giudiziale dell’imputato.
È irrilevante ai fini della recidiva che per le condanne in questione sia stato applicato l’indulto (cfr. Sez. 1, n. 48405 del 12/04/2017, F., Rv. 271415-01).
2.3.1. Quanto alla condanna per il delitto ex art. 424 cod. pen., è manifestamente infondata ed indimostrata l’affermazione difensiva, secondo cui il Giudice per le indagini preliminari ne avrebbe ritenuto la natura colposa, dal momento che la fattispecie di reato in esame prevede unicamente l’imputazione a titolo di dolo, per giunta specifico (cfr. Sez. 1, n. 29294 del 15105/2019, COGNOME, Rv. 276402-01).
2.3.2. La seconda condanna valorizzata dalla Corte territoriale, invece, non riguarda una contravvenzione, per cui il Giudice per le indagini preliminari avrebbe ammesso l’oblazione, ma – come già ritenuto dalla Corte di appello – un delitto, essendo l’art. 56 d.P.R. n. 223 del 1967 punito con la reclusione e la multa.
La condanna alla pena per il delitto risulta anche dal certilcato penale.
La norma incriminatrice in esame non è stata oggetto né di modifiche legislative, né di sentenze di annullamento della Corte costituzionale. Dall’analisi del casellario giudiziale di NOME COGNOME infine, neppure risulta – né diversamente potrebbe essere – l’estinzione del reato per oblazione.
Tale ultimo reato deve ritenersi della stessa indole del falso elettorale di cui all’attuale art. 90, comma 3, d.P.R. n. 570 del 1960, giacché è teso a punire chi «forma una lista o un elenco di cittadini iscritti nelle liste elettorali in tutto parte falsi». Si tratta, dunque, di disposizioni che nei casi concreti – per la natur dei fatti che li costituiscono o dei motivi che li hanno determinati – presentano
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caratteri fondamentali comuni (cfr. Sez. 3, n. 38009 del 10/05/2019, Assisi, Rv. 278166-06), tra i quali spicca la connotazione di falsità impressa ad un documento necessario per l’ordinato svolgimento del procedimento elettorale.
Alla luce di quanto esposto deve ritenersi corretta e legittima l’applicazione al caso in esame dell’art. 99, comma 4, cod. peri.
Esente da vizi è, pertanto, il trattamento sanzionatorio riservato al Loda.
2.4. Quanto al calcolo del termine di prescrizione effettuato dalla Corte di appello, deve ribadirsi l’orientamento della giurisprudenza per cui i reati in materia elettorale sono soggetti al termine di prescrizione ordinario, previsto in via generale dal codice penale, perché il termine biennale di cui all’art. 100 del d.P.R. 16 maggio 1960 n. 570, secondo una lettura costituzionalmente orientata della norma, non riguarda l’azione penale del pubblico ministero, ma esclusivamente la decadenza dall’azione popolare che, in forza di una previsione speciale, qualunque elettore può promuovere costituendosi parte civile nei procedimenti relativi ai reati previsti dal cosiddetto Testo unico delle leggi elettorali (Sez. 5, n. 34305 del 07/10/2020, COGNOME, Rv. 279975-02).
2.4.1. Per determinare il tempo massimo di prescrizione del reato, deve assumersi il massimo edittale di 6 anni stabilii:o dall’art. 90, comma 3 (già comma 2), d.P.R. n. 570 del 1960 e, a norma dell’art. 157, comma 2, cod. pen., applicare ad esso l’aumento di due terzi previsto dall’art. 99, comma 4, cod. pen., pari ad ulteriori 4 anni.
Ai sensi dell’art. 157, comma 3, cod. peri., per la determinazione della pena su cui poi determinare il termine di prescrizione, non si applica l’art. 69 cod. pen. sicché è irrilevante che le circostanze attenuanti generiche siano state ritenute equivalenti alla contestata e ritenuta recidiva.
2.4.2. Sui 10 anni così ottenuti deve calcolarsi l’aumento massimo cui all’art. 161, comma 2, cod. pen., che, per l’ipotesi in esame di recidiva specifica e reiterata, è pari ad ulteriori due terzi: pertanto, il reato non potrà estinguersi pri che siano decorsi 16 anni e 8 mesi dalla sua c:ommissione.
Deve, infatti, sottolinearsi che la recidiva reiterata, in quanto circostanza a effetto speciale, incide sia sul calcolo del termine prescrizionale minimo del reato, ex art. 157, comma 2, cod. pen., sia, in presenza di atti interruttivi – come nel caso in esame – su quello del termine massimo, ex art. 161, comma 2, cod. pen., senza che tale duplice valenza comporti violazione del principio del ne bis in idem sostanziale o dell’art. 4 del Protocollo n. 7 della CEDU, come interpretato dalla sentenza della Corte EDU del 10 febbraio 2009 nel caso Zolotoukhine c. Russia, nel cui ambito di tutela non rientra l’istituto della prescrizione (Sez. 4, n. 4461 del 21/09/2023, COGNOME, Rv. 285267-01).
2.4.3. A tale periodo devono aggiungersi 145 giorni di sospensione della prescrizione, così determinati:
60 giorni, in ragione del rinvio dell’udienza dal 8 ottobre 2019 al 18 febbraio 2020, per legittimo impedimento del difensore;
64 giorni, previsti dall’art. 83, comma 4, c1.1. 17 marzo 2020 n. 18, conv. con nnod. dalla legge 24 aprile 2020, n. 27 (cfr. Sez. U, n. 5292 del 26/11/2020, dep. 2021, Sanna, Rv. 280432-02), stante il rinvio disposto all’udienza del 18 febbraio 2020 alla data del 23 aprile 2020;
21 giorni, in ragione del rinvio dell’udienza dal 8 giugno 2021 al 29 giugno 2021, disposto per legittimo impedimento del difensore.
Non può, invece, considerarsi il periodo di 84 giorni, intercorsi tra il 10 aprile 2018 e il 3 luglio 2018, essendo stato il rinvio disposto per assenza del difensore.
Ne consegue che – essendo stata accertata quale data di commissione del reato il 2 aprile 2012 – la prescrizione non decorrerà prima del 26 aprile 2029.
2.4.4. Quand’anche, infine, si considerasse un post-factum non punibile la condotta di deposito della lista falsa e, dunque, si fissasse il tempus commissi delicti al 1 dicembre 2011 – assumendo per vera l’indicazione della difesa del ricorrente – la prescrizione, in ogni caso, non decorrerebbe prima del 18 marzo 2029.
Il nono motivo, da esaminare prioritariamente, in quanto concernente la questione di rito della competenza territoriale, è inammissibile.
3.1. Il ricorrente non si confronta adeguatamente con la motivazione della sentenza che ha correttamente rilevato che la questione di incompetenza territoriale del Tribunale di Pavia non fu eccepita né all’udienza del 3 ottobre 2017 né alla successiva udienza del 11 giugno 2019, dopo la regressione del processo alla fase pre-dibattimentale a causa del mutamento del Giudice, come risulta dai verbali di udienza in atti. Come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, l’eccezione di incompetenza per territorio, proposta soltanto con l’atto di appello, è tardiva ed è preclusa ai sensi dell’art. 21, comma 2, cod. proc. pen.
3.2. La questione circa la determinazione del tempus commissí delicti è stata prospettata in modo del tutto generico e assertivo, rendendo la relativa censura inammissibile, oltre che non sostenuta da un apprezzabile interesse del ricorrente, dovendosi richiamare sul punto, quanto già esposto al precedente par. 2.4. circa il mancato decorso, in ogni caso, del termine di prescrizione del reato.
Il quarto motivo, concernente la mancata disposizione da parte dei Giudici di merito della perizia grafologica, è inammissibile ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
4.1. Secondo il costante orientamento della giurisprudenza (Sez. U, n. 39746 del 23/03/2017, A., Rv. 270963-01), la mancata effettuazione di un accertamento peritale non può costituire motivo di ricorso per cassazione ai sensi dell’art.606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., in quanto la perizia non può farsi rientrare nel concetto di prova decisiva, trattandosi di un mezzo di prova «neutro», sottratto alla disponibilità delle parti e rimesso alla discrezionalità del giudice, laddove l’articolo citato, attraverso il richiamo all’art. 495, comma 2, cod. proc. pen., riferisce esclusivamente alle prove a discarico che abbiano carattere di decisività.
4.2. In ogni caso, il ricorrente non sii confronta adeguatamente con la motivazione resa dalla Corte territoriale, che ha negato l’ammissione della prova richiesta non per tardività, ma per carenza di decisività.
Con l’appello si sostenne che l’imputato avrebbe disconosciuto sia la firma apposta in sede di deposito della lista, sia le singole firme di autenticazione delle sottoscrizioni dei falsi candidati (pag. 3). Per dimostrare l’assenza di paternità di tali firme avrebbe chiesto la perizia.
La Corte territoriale ha evidenziato, in primo luogo, che il clisconoscimento era generico, reso solo in sede di spontanee dichliarazioni e ad esso non avesse fatto seguito la proposizione di alcuna denuncia da parte dell’imputato.
Sulla firma apposta in sede di deposito si è rilevato, correttamente, che la perizia non fosse decisiva, stante la prova in atti del deposito della lista da parte dell’imputato, costituita dalle credibili dichiarazioni della teste della difesa NOME COGNOME che ricevette il deposito.
Sulle altre firme di autentica, oltre a guanto sopra esposto, si è aggiunto che il disconoscimento non sarebbe stato sufficiente ad escludere la responsabilità di NOME COGNOME non essendosi smentito l’utilizzo del timbro rilasciato dal Comune di Aviatico direttamente all’imputato.,
Tale motivazione è logica e conforme ai principi di diritto sopra richiamati.
Il sesto e l’ottavo motivo, rispettivamente relativi alla valutazione de comportamento processuale del ricorrente in punto di disconoscimento delle proprie sottoscrizioni e all’asserita responsabilità di terzi, con conseguente necessità per la Corte di appello di assolvere il ricorrente con formula dubitativa, sono inammissibili.
5.1. I motivi, sotto la pretesa deduzione del vizio ex art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., sollecitano, invero, la Corte di legittimità ad effettuare un rivalutazione nel merito delle prove e dello svolgimento dei fatti, non consentita ex art. 606, comma 3, cod. proc. pen.
5.2. A ciò si aggiunga che la Corte territoriale ha rilevato che, all’esit dell’accertamento dei fatti compiuto nei gradi di merito, ipotetiche responsabilità
di terzi concorrenti non escluderebbero quella del ricorrente che autenticò le firme non apposte in sua presenza da candidati rivelatisi falsi e depositò la lista (pag. 5). Il ricorrente non si confronta adeguatamente con tale motivazione, limitandosi a qualificare come «incidentale» (pag. 8) il fatto che l’imputato fosse, al contempo, depositario della lista falsa e autenticatore delle sottoscrizioni false. Già ta circostanza, invece, esclude la manifesta illogicità del ragionamento seguito dai Giudici di merito per accertare la responsabili1:à del ricorrente, con la conseguenza che la motivazione è insindacabile in sede di legittimità (cfr. Sez. 3, n. 17395 del 24/01/2023, Chen, Rv. 284556-01).
Il settimo motivo, con cui ci si duole della mancata assunzione della prova testimoniale di tale NOME COGNOME è manifestamente infondato.
La prova decisiva, la cui mancata assunzione può essere dedotta in sede di legittimità a norma dell’art. 606, comma 1, lett. d), cod. proc. pen., deve avere ad oggetto un fatto certo nel suo accadimento e non può consistere in un mezzo di tipo dichiarativo, il cui risultato è destinato ad essere vagliato per effettuare u confronto con gli altri elementi di prova acquisiti al fine di prospettare l’ipotesi un astratto quadro storico valutativo favorevole al ricorrente (Sez. 5, n. 37195 del 11/07/2019, D., Rv. 277035-01).
Il quinto motivo, esaminato per ultimo’ in quanto presupponente il positivo accertamento della responsabilità dell’imputato, è manifestamente infondato.
7.1. Il ricorrente invoca in sede di legittimità, l’applicazione dell’art. 131-b cod. pen., senza averne fatto prima richiesta in sede di appello: il motivo è inammissibile ex artt. 606, comma 3, e 609 cod. proc. pen.
La sentenza di appello è stata emessa dopo le modifiche all’istituto effettuate dalla c.d. riforma Cartabia che, in tesi, avrebbe consentito l’applicazione della causa di non punibilità anche all’art. 90, comrna 3, d.P.R. n. 570 del 1960.
Il ricorrente, tuttavia, non ne ha invocato l’operatività in sede di conclusioni scritte depositate nel giudizio di appello.
7.2. Pertanto, va ribadito il principio, che si fonda sulla motivazione delle Sez. U, n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266593-01, per cui la causa di esclusione della punibilità per la particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod. pen., non può essere dedotta per la prima volta in cassazione, se tale disposizione – come nel caso in esame – era già in vigore alla data della deliberazione della sentenza di appello, ostandovi la previsione di cui all’art. 606, comma 3, cod. proc. pen. (Sez. 3, n. 23174 del 21/03/2018, Sarr, Rv. 272789-01).
Ne consegue che la questione doveva essere proposta nell’ambito del giudizio di appello con richiesta di sentenza ex art. 129 cod. proc. pen. e non può essere dedotta per la prima volta con il ricorso per cassazione.
7.3. I benefici di legge ex artt. 163, 164 e 175 cod. pen. non sono concedibili tenuto conto che l’imputato ha già riportato numerose condanne; il motivo è, pertanto, manifestamente infondato.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.
Va dichiarata inammissibile per tardività la memoria depositata solo il 28 novembre 2013 dall’avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente.
Ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. si c:ondanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 29/11/2023.