Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20337 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20337 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME (CUI 0106xvm) nato in ALBANIA il 29/07/1980
avverso la sentenza del 10/06/2024 della CORTE D’APPELLO DI VENEZIA Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso; letta la memoria in data 26 marzo 2025 a firma dell’avv. NOME COGNOME
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 10 giugno 2024, la Corte d’appello di Venezia, confermando la decisione del Tribunale di Padova, ha ritenuto NOME COGNOME responsabile del reato di cui agli artt. 477482 cod. pen. per avere, con l’aiuto di terzi non identificati, contraffatto la carta di identità albanese riportante le sue generalità e la sua effigie, condannandolo alla pena di giustizia.
Avverso tale sentenza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME ha proposto ricorso per cassazione, formulando cinque motivi di censura, di seguito enunciati nei limiti di cui all’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge in ragione del mancato riconoscimento del difetto della giurisdizione italiana in ordine al reato contestato, nonché vizio di motivazione nella parte in cui individua le ragioni a fondamento della ritenuta commissione del reato in territorio italiano. In modo del tutto illogico la Corte territoriale ha ritenuto che falsificazione della carta d’identità sarebbe avvenuta in Italia, in quanto la circostanza che il luogo di accertamento del reato sia situato nel nostro Paese nulla attesterebbe in ordine al luogo in cui è avvenuta la contraffazione; neppure rileverebbe, ed anzi sarebbe in contrasto con la suddetta conclusione, il fatto che l’imputato risiede in Italia dal gennaio 2018, atteso che comunque il reato è contestato come avvenuto nel luglio di quello stesso anno. Del pari illogica e non rispondente ad alcuna massima di esperienza sarebbe l’argomentazione secondo la quale, attestando il documento falso le reali generalità dell’imputato, se ne dovrebbe dedurre la falsificazion e in Italia, posto che, se egli si fosse trovato nel Paese di origine, avrebbe richiesto il rilascio del documento originale.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di motivazione, laddove la sentenza impugnata ha affermato che il documento di cui l’imputa to è stato trovato in possesso, pur non essendo valido per l’espatrio, tuttavia varrebbe come documento di riconoscimento. Tale conclusione, secondo il ricorrente, sarebbe illogica atteso che il documento di identità è idoneo al riconoscimento solo nel ter ritorio del Paese di emissione, ovvero per gli Stati membri dell’Unione europea di cui l’Albania non fa parte, non rilevando la circostanza che esso possa di fatto essere utilizzato per riconoscere una persona cui esso si riferisce.
2.3. Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge per non avere la sentenza impugnata riconosciuto l’innocuità del falso contestato. Invero il documento riporterebbe i veri dati anagrafici e la reale effige dell’imputato, sicché esso non avrebbe avuto alcuna finalità ingannevole. In definitiva, non vi sarebbe stata alcuna lesione del bene giuridico della fede pubblica, in quanto la carta di identità sarebbe documento idoneo a certificare unicamente l’identità di un soggetto.
2.4. Con il quarto motivo si deduce vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, con riguardo alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte territoriale avrebbe acriticamente confermato il diniego sui medesimi elementi valorizzati dal giudice di primo grado senza tener alcun conto delle censure difensive, che avevano evidenziato il contegno collaborativo dell’imputato e la sua correttezza, nonché l’innocuità del falso.
2.5. Il quinto motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione, laddove la sentenza impugnata ha riconosciuto la recidiva infraquinquennale in considerazione della commissione di ulteriori reati commessi successivamente al reato di falso, mentre invece presupposto dell’aggravante di cui all’art. 99 cod. pen. è l’accerta mento di un reato commesso prima di quello per cui si procede. Rileva, inoltre, che l’incertezza del momento in cui è stato commesso il reato di cui agli artt. 477-482 cod. pen. precluderebbe di affermare con certezza che questo è successivo rispetto alla commissione e all’accertamento irrevocabile del reato di cui all’art. 14, comma 5 -ter, d.lgs. n. 286 del 1998.
Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo il rigetto del ricorso.
Il ricorrente ha depositato una memoria con cui replica alle conclusioni del Procuratore generale, insistendo nei motivi di ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è fondato nei limiti di seguito precisati.
Il primo motivo è infondato.
Giova premettere che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative (artt. 477 e 482 cod. pen.) si consuma con la semplice formazione del documento falso ( ex plurimis Sez. 5, n. 15470 del 12/01/2018, COGNOME, Rv. 272681 -01; Sez. 5, n. 47029 del 22/09/2011, COGNOME, Rv. 251447; Sez. 5, n. 3760 del 09/12/1987 – dep. 1988, COGNOME, Rv. 177954). Del pari consolidato è l’indirizzo per il quale ai fini de ll’integrazione del reato di uso di atto falso, è necessario che l’agente non abbia concorso nella falsità o che non si tratti di concorso punibile (Sez. 5, n. 42907 del 08/07/2014, COGNOME, Rv. 260680; conf., ex plurimis , Sez. 5, n. 41666 del 16/07/2014, Okafor, Rv. 262113).
Ciò posto, la Corte di appello ha ritenuto che la falsificazione della carta di identità esibita dall’imputato alle forze dell’ordine fosse avvenuta in Italia sulla base di plurimi rilievi. Ha innanzitutto valorizzato il fatto che, al momento del controllo, il ricorrente non si trovava ad una frontiera, essendo in tal caso del tutto plausibile dedurre che il documento fosse stato formato all’estero. Ha inoltre evidenziato che l’imputato risiedeva in Italia almeno dal mese di gennaio del 2018, e perciò da un tempo sufficientemente lungo da consentire la falsificazione dell’atto nel territorio italiano; ha quindi sottolineato il fatto che il documento, benché falso, recava le
effettive generalità, e ne ha dedotto in modo coerente e logico che, se COGNOME si fosse trovato in Albania, ben avrebbe potuto richiedere il rilascio del documento di identità alle autorità a ciò preposte, non avendo perciò necessità di formarne uno falso.
La sentenza impugnata ha valorizzato, in modo del tutto logico e coerente, elementi tutti concordanti nel senso di dimostrare che la contraffazione della carta di identità era avvenuta in Italia e perciò sussisteva la giurisdizione del giudice italiano.
3. Il secondo motivo è infondato.
I giudici del merito, in modo ineccepibile, hanno ritenuto che la circostanza che la carta di identità albanese non sia un documento valido per l’espatrio non la rende una mera scrittura privata, priva del valore di atto pubblico e di documento di riconoscimento, evidenziando come il documento rinvenuto in possesso del ricorrente era stato utilizzato proprio per avviare il procedimento di identificazione del medesimo. Il ragionamento seguito dalla sentenza impugnata si pone in linea con i principi affermati dalle Sezioni unite NOME COGNOME secondo cui la contraffazione non grossolana della patente di guida rilasciata da uno Stato estero non appartenente all’Unione europea o allo Spazio economico europeo, integra il reato di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen. anche quando non ricorrano le condizioni di validità del documento ai fini della conduzione di un veicolo nel territorio nazionale, come fissate dagli artt. 135 e 136 cod. strada (Sez. U, n. 12064 del 24/11/2022, dep. 2023, Ed, Rv. 284210 – 01).
Tale pronuncia ha evidenziato come la contraffazione della patente di guida -la quale costituisce atto tipico che abilita alla guida dei veicoli per i quali è richiesta e che rientra nel novero delle autorizzazioni amministrative -laddove non sia grossolana, è certamente idonea ad incidere sulla sua intrinseca funzione documentale, che è quella di comprovare il conseguimento in uno Stato estero del titolo abilitativo alla guida, presupposto primo ed ineludibile, ai sensi del già citato art. 41 della Convenzione di Vienna, perché venga internazionalmente riconosciuto al suo titolare il diritto a circolare su strada anche al di fuori dei confini nazionali del paese che ha rilasciato il documento.
Le Sezioni unite hanno precisato che «anche gli atti pubblici “stranieri” ricevono tutela attraverso la incriminazione del falso documentale, purché siano idonei a produrre un qualsiasi effetto nell’ordinamento giuridico italiano» e che ai fini della configurabilità dei reati di falso documentale in atti pubblici «non è dirimente la nazionalità dell’autorità che li ha adottati, ma, piuttosto, l’eventuale riconoscimento agli stessi conferito da parte dell’ordinamento giuridico italiano. È, dunque, alla funzione documentale dell’atto riconosciuta e incorporata
nell’ordinamento interno che viene estesa la tutela penale riservata agli atti emessi dall’autorità pubblica nazionale».
Nella specie, la carta d’identità albanese, pur non valida per l’espatrio secondo la legge di quel Paese -ha comunque la funzione di attestazione, da parte dell’autorità a ciò preposta, dell’identità del suo titolare, alla quale l’ordinamento italiano riconosce valore di certificazione amministrativa, con la conseguenza che essa deve qualificarsi come atto tipico ai fini ed ai sensi dell’art. 477 cod. pen., e la sua contraffazione da parte di un privato, quando non grossolana, integra il delitto previsto e punito da tale articolo, in combinato disposto con la previsione di cui all’art. 482 dello stesso codice.
Del pari infondato è il terzo motivo, con cui il ricorrente afferma l’ innocuità del falso.
La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel ritenere che, in tema di falsità in atti, ricorre il cosiddetto ‘falso innocuo’ nei casi in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso di falso mate riale) siano del tutto irrilevanti ai fini del significato dell’atto e non esplichino effetti sulla sua funzione documentale, non dovendo l’innocuità essere valutata con riferimento all’uso che dell’atto falso venga fatto (Sez. 5, n. 5896 del 29/10/2020, dep. 2021, Brisciano, Rv. 280453 -01; Sez. 5, n. 2809 del 17/10/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258946 01). Si è ancora ritenuto ‘inutile’ il falso che cade su un atto, o su una parte di esso assolutamente privo di valenza probatoria (Sez. 5, n. 2809/2014, cit., che richiama Sez. 5, n. 11498 del 05/07/1990, COGNOME, Rv. 185132; conf. Sez. 5, n. 28599 del 07/04/2017, COGNOME, Rv. 270245 – 01), ovvero quando la condotta, pur incidendo sul significato letterale di un atto (falso ideologico) o di un documento (falso materiale), non incide sul suo significato di comunicazione, così come esso si manifesta nel contesto, anche normativo, della formazione e dell’uso, effettivo o potenziale, dell’oggetto (Sez. 5, n. 38720 del 19/06/2008, Rocca, Rv. 241936). In altri termini, è stata esclusa la punibilità del falso, per inidoneità dell’azione, tutte le volte in cui l’infedele attestazione (nel falso ideologico) o l’alterazione (nel falso materiale) non esplicano effetti sulla funzione documentale dell’atto stesso di attestazione dei dati in esso indicati (Sez. 5, n. 35076 del 21/04/2010, Immordino, Rv. 248395).
Nel caso in esame non si versa in una ipotesi di falso innocuo.
L’inoffensività della condotta non può derivare dalla veridicità dei dati anagrafici riportat i sulla carta di identità e dell’effige ivi riprodotta, atteso che come si è più sopra evidenziato -la contraffazione incide sulla provenienza dalle competenti autorità albanesi della certificazione circa l’identità dell’imputato, in tal modo determinando una lesione della fede pubblica.
Il quarto motivo, con cui si lamenta la mancata concessione delle attenuanti generiche e l’eccessività del trattamento sanzionatorio, è inammissibile.
Quanto al trattamento sanzionatorio, la Corte territoriale, nel discostarsi dal limite inferiore della forbice edittale, ha dato puntualmente conto degli indici di commisurazione di cui all’art. 133 cod. pen., richiamando in modo del tutto ragionevole la gravità della condotta, evidenziata dalla particolare accuratezza della falsificazione.
In ordine alle attenuanti generiche occorre ribadire che il giudice del merito esprime al riguardo un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 2598). Ciò è quanto avvenuto nella specie, ove i giudici del merito hanno dato rilievo sia alla condotta tenuta dall’imputato che ha esibito il documento falso ai Carabinieri, sia alla sua condotta processuale, non avendo egli partecipato alle udienze.
6. Il quinto motivo, concernente il riconoscimento della recidiva, è fondato.
L’applicazione della recidiva facoltativa contestata richiede uno specifico onere motivazionale da parte del giudice, chiamato a verificare, oltre il mero riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali, se la reiterazione dell’illecito sia effettivo sintomo di pericolosità. In particolare, il giudice è tenuto ad accertare in concreto se la reiterazione dell’illecito sia eff ettivo sintomo di riprovevolezza della condotta e di pericolosità del suo autore, avuto riguardo alla natura dei reati, alla loro distinta offensività, alla consecuzione temporale, alla genesi della ricaduta, nonché ad ogni parametro significativo della personalità del reo e del grado di colpevolezza, al di là del mero e indifferenziato riscontro formale dell’esistenza di precedenti penali.
A fronte delle censure con cui il ricorrente lamentava il mancato accertamento della data della contraffazione rispetto al precedente reato per il quale aveva riportato condanna definitiva (art. 14, comma 5-ter, d.lgs. n. 286 del 1998), nonché la mancata valutazione del reato per cui si procede quale sintomo di maggiore pericolosità dell’imputato, la Corte territoriale ha dato rilievo unicamente agli ulteriori reati commessi successivamente, ritenuti indice della aumentata pericolosità.
Siffatta motivazione risulta del tutto illogica ed eccentrica rispetto al motivo di appello, sicché impone l’annullamento con rinvio sotto tale profilo della sentenza impugnata.
P Q M
Annulla la sentenza impugnata limitatamente alla recidiva, con rinvio per nuovo esame sul punto ad altra sezione della Corte di appello di Venezia. Rigetta nel resto il ricorso.
Così è deciso, 02/04/2025
Il Consigliere estensore Il Presidente
NOME COGNOME NOME COGNOME