Sentenza di Cassazione Penale Sez. 2 Num. 36532 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 2 Num. 36532 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Carmiano il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/12/2024 della Corte d’appello di Lecce visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME, la quale ha concluso chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile;
udito l’AVV_NOTAIO, in difesa di COGNOME NOME, il quale, dopo la discussione, si è riportato ai motivi di ricorso e ha chiesto che lo stesso sia rimesso alle Sezioni unite della Corte di cassazione.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 13/12/2024, la Corte d’appello di Lecce, in parziale riforma della sentenza del 22/09/2021 del G.i.p. del Tribunale di Lecce, emessa in esito a giudizio abbreviato, riconosciuta la circostanza attenuante di cui all’art. 62 n. 6), cod. pen., equivalente alle circostanze aggravanti della rapìna di cui al capo A) dell’imputazione, rideterminava in due anni e dieci mesi di reclusione ed € 866,00 di multa la pena irrogata a NOME COGNOME per i reati, unificati dal vincolo della continuazione – e in ordine ai quali confermava la condanna dello stesso COGNOME di: 1) rapina pluriaggravata (dall’avere commesso la minaccia con armi
e travisato) ai danni di RAGIONE_SOCIALE (soggetto al quale era stato sottratto il denaro) e della direttrice dell’ufficio postale NOME COGNOME e della cassiera dello stesso ufficio NOME COGNOME (soggetti che avevano materialmente subito la minaccia), di cui al capo A) dell’imputazione; 2) falsità materiale in certificati (artt 477 e 482 cod. pen.) aggravata (dal cosiddetto nesso teleologico) per avere modificato, apponendovi delle strisce di nastro adesivo di colore nero, la targa di un’autovettura, di cui al capo B) dell’imputazione; 3) porto, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione, di due asce, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere (art. 4, secondo comma, della legge 18 aprile 1975, n. 110) aggravato (dal cosiddetto nesso teleologico), di cui al capo C) dell’imputazione.
Avverso la menzionata sentenza del 13/12/2024 della Corte d’appello di Lecce, ha proposto ricorso per cassazione, per il tramite del proprio difensore AVV_NOTAIO, NOME COGNOME, affidato a due motivi.
2.1. Con il primo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 477 e 482 cod. pen. e il vizio della motivazione, per avere la Corte d’appello di Lecce erroneamente ritenuto che «la temporanea alterazione della targa mediante nastro adesivo» (così il ricorso) integri il reato di falsità materiale in certifica amministrativi.
Il COGNOME premette che, dalla comunicazione di notizia di reato del 01/04/2019, risulterebbe che «il veicolo era stato ripreso con la targa originaria al primo passaggio sotto le telecamere di un impianto di videosorveglianza posto nei pressi dell’Ufficio postale di Magliano, per poi essere successivamente immortalato con la targa artefatta per l’esecuzione del reato ex art. 628 c.p., in un perimetro temporale ristretto, essendo stata peraltro ripristinata l’originaria apparenza del documento alla riconsegna del veicolo al carrozziere».
Tanto premesso, il ricorrente deduce che, secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione (è citata, in particolare, Sez. 5, n. 1468 del 11/11/2010, dep. 2011, COGNOME, Rv. 249083-01), gli atti di falsificazione, di manomissione o di alterazione della targa originaria postulano, come ogni condotta di falso documentale, una modificazione durevole del documento e non soltanto un ostacolo provvisorio alla lettura dello stesso.
Il COGNOME espone ancora che Sez. 5, n. 20799 del 22/02/2018, COGNOME, Rv. 273035-01, richiamata dalla Corte d’appello di Lecce, aveva riguardo a una «durevole, anche se non definitiva, falsa realtà documentale», laddove la fattispecie in esame sarebbe connotata «da un’alterazione del tutto transitoria, melius di brevissima durata», la quale «non avrebbe comportato una modificazione durevole del documento, ma soltanto un ostacolo provvisorio alla
lettura (come richiamato dalle decisioni giurisprudenziali innanzi indicate), di tal modo inidonea ad integrare le ipotesi delittuose contestate».
In ogni modo, ad avviso del ricorrente, la questione della configurabilità, in fattispecie come quella in esame, del reato di falsità materiale in certificati amministrativi, avrebbe dato luogo a un contrasto giurisprudenziale, atteso che, mentre Sez. 5, n. 20799 del 22/02/2018, COGNOME, cit., si è espressa in senso affermativo, Sez. 5, n. 1468 del 11/11/2010, dep. 2011, COGNOME, cit., e Sez. 5, n. 13894 del 19/01/2012, COGNOME, non massimata, si sarebbero espresse in senso opposto.
Per tale ragione, dopo avere ribadito che, nella fattispecie in esame, egli aveva «solo temporaneamente occultato alcuni caratteri della targa con nastro adesivo nero facilmente rimovibile, senza realizzare alcuna modifica permanente o durevole. La targa originale è rimasta integra e perfettamente leggibile una volta rimosso il nastro», il ricorrente chiede che il ricorso sia rimesso alle Sezioni unite della Corte di cassazione.
2.2. Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia, in relazione all’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., l’inosservanza degli artt. 62, n. 6), 81 e 133 cod. pen. e la mancanza della motivazione, in quanto «il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6 (secondo parametri soggettivi) deve essere riferita indistintamente a tutti i reati uniti dal vincolo della continuazione, e non solo a quello ritenuto più grave».
Il COGNOME espone che il riconoscimento della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., ha condotto la Corte d’appello di Lecce a bilanciare tale circostanza attenuante, con un esito di equivalenza, solo con le circostanze aggravanti della rapina di cui al capo A) dell’imputazione, «senza alcun effetto sui reati posti in continuazione».
Tanto esposto, il COGNOME rappresenta che la circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., è «soggettiva quanto agli effetti, ai sensi dell’art. cod. pen.», secondo quanto affermato da Sez. 1, n. 8351 del 27/10/2021, dep. 2022, COGNOME (non massimata sul punto).
Secondo il ricorrente, ciò implicherebbe che la stessa circostanza attenuante «debba essere concessa non solo in relazione al reato ritenuto più grave, ma anche ai reati-satelliti, in quanto, in caso di reato continuato, il giudizio circa sussistenza delle circostanze suddette va operato con riferimento ai singoli episodi criminosi e non globalmente (Cass. Sez. 3, n. 1810 del 2/12/2010, dep. 2011, R., Rv. 249279)».
Dopo avere richiamato anche Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272375-01, e Sez. 6, n. 34181 del 6-21/02/2024, COGNOME, non massimata, il COGNOME conclude che, anche alla luce di tali pronunce della Corte di cassazione,
«risulta erroneo il percorso seguito dalla Corte leccese, che ha disposto la riduzione della pena soltanto con riferimento al reato di cui all’art. 628 c.p., senza alcun riferimento ai reati posti in continuazione».
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il primo motivo è manifestamente infondato.
Esso è basato sulla valorizzazione di due precedenti della Corte di cassazione, segnatamente, Sez. 5, n. 1468 del 11/11/2010, dep. 2011, COGNOME, cit., successivamente richiamata da Sez. 5, n. 13894 del 19/01/2012, COGNOME, cit.
In proposito, si deve tuttavia osservare che: a) il primo di tali precedenti (la sentenza “COGNOME“) è relativo a una fattispecie, quella della parziale copertura della targa di un’autovettura («coperta parzialmente», mediante «l’apposizione di un elastico nero sulla parte inferiore»), che è diversa da quella che viene qui in rilievo, in quanto consisteva, appunto, nella copertura (parziale) della targa e non nella modifica dei suoi dati identificativi (in particolare, mediante l’apposizione di strisce di nastro adesivo di colore nero), come nel caso in esame; b) con il secondo dei suddetti precedenti (la sentenza “COGNOME“), la Corte di cassazione si è limitata a richiamare la sentenza “COGNOME” e ha, peraltro, rigettato il ricorso con il quale l’indagato aveva contestato la sussistenza del fumus del reato di falsità materiale in certificati, rilevando come, «non essendo Giudice del fatto non sia neppure in grado di accertare e valutare la consistenza dell’alterazione della targa» e affermando che «sarà compito dell’istruttoria dibattimentale chiarire la portata dell’alterazione» stessa.
Ne discende che i due precedenti che sono stati invocati dal ricorrente sono: il primo, non pertinente rispetto alla fattispecie di causa; il secondo, privo di un contenuto significativo rispetto alla stessa.
Ciò chiarito, si deve osservare come costituisca un orientamento consolidato della Corte di cassazione – che il Collegio, condividendolo, intende ribadire quello secondo cui «integra il reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, di cui al combinato disposto degli artt. 477 e 482 cod. pen, la condotta di colui che modifica i dati identificativi della targa della propria autovettura mediante l’applicazione di nastro adesivo, non potendosi configurare in tal caso l’illecito amministrativo previsto dall’art. 100, comma 12, cod. strada, che sanziona chi circola con veicolo munito di targa non propria o contraffatta, nel caso in cui non sia l’autore della contraffazione» (Sez. 5, n. 27599 del 16/06/2025, COGNOME, Rv. 288389-01; Sez. 5, n. 20799 del 22/02/2018, COGNOME, cit.; Sez. 5, n. 25766 del 07/04/2015, COGNOME, Rv. 264006-01).
Con tali pronunce, la Corte di cassazione ha chiarito che, mentre l’illecito amministrativo di cui al comma 12 dell’art. 100 del d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285
(che reca il “Nuovo codice della strada”) sanziona la circolazione con un veicolo munito di targa contraffatta (o non propria), quando il conducente non sia l’autore della contraffazione, l’illecito penale, precisamente, il reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, ex artt. 477 e 482 cod. pen., ha riguardo alla contraffazione o alterazione, da parte dell’agente, della targa quale certificazione amministrativa dei dati di immatricolazione del veicolo.
La Corte d’appello di Lecce ha esattamente ritenuto che quest’ultima ipotesi ricorresse nella fattispecie in esame, atteso che, come risulta dalle sentenze di merito, l’imputato aveva fatto uso di una targa che egli stesso aveva alterato (e non meramente coperto) con del nostro adesivo di colore nero, così da modificare i dati identificativi del veicolo (la cui targa, per effetto dell’indicata alterazio appariva essere TARGA_VEICOLO anziché, quale effettivamente era, TARGA_VEICOLO).
La Corte d’appello di Lecce ha correttamente reputato tale condotta punita dalla legge penale in quanto lesiva del bene della fede pubblica. Come è stato, infatti, puntualizzato dalla citata sentenza “COGNOME“, e ribadito dalla pure citata e assai recente sentenza “COGNOME“, la delimitazione dei confini di tipicità dei due illeciti, amministrativo e penale, va operata alla stregua, anzitutto, del bene giuridico tutelato, nel senso che, mentre l’illecito amministrativo della circolazione con un veicolo munito di targa contraffatta (o non propria) è posto a tutela della funzione di identificazione del veicolo in circolazione, il reato di contraffazione o alterazione di targa è posto a tutela della fede pubblica, e della connessa funzione certificativa della targa, quale documento che rileva non ai fini della mera circolazione bensì ai fini della regolarità e legittimità dell’immatricolazione.
Non è infine condivisibile la tesi difensiva secondo cui il reato dovrebbe essere escluso perché l’alterazione della targa era stata «transitoria», in quanto circoscritta «in un perimetro temporale ristretto», essendo stato il nastro adesivo facilmente rimosso prima della restituzione dell’autovettura al carrozziere, atteso che l’invocata transitorietà non ha escluso che la stessa alterazione sia stata apprezzabilmente durevole, essendo perdurata per tutto il tempo necessario per la commissione della rapina (pagg. 1-2 della sentenza di primo grado), idonea a eludere l’identificazione del veicolo ed eliminata solo con la rimozione del nastro adesivo (si vedano, in proposito, le citate sentenze “COGNOME” e “COGNOME“).
Alla luce di quanto si è argomentato, si deve escludere che sia necessaria la rinnessione alle Sezioni unite della Corte di cassazione che è stata richiesta dal ricorrente.
Il secondo motivo è manifestamente infondato.
Le Sezioni unite della Corte di cassazione, con la sentenza “Chiodi”, hanno affermato il principio secondo cui, in tema di continuazione, la circostanza
attenuante della riparazione del danno va valutata e applicata in relazione a ogni singolo reato unificato dal medesimo disegno criminoso (Sez. U, n. 3286 del 27/11/2008, dep. 2009, Chiodi, Rv. 241755-01).
Pertanto, i reati unificati dal vincolo della continuazione conservano la loro piena autonomia in ordine alla valutazione di tale circostanza attenuante.
La Corte di cassazione ha anche precisato che, qualora la condotta riparatoria sia intervenuta in riferimento soltanto a taluno dei singoli fatti di reato unificati da vincolo della continuazione, gli effetti dell’attenuante si producono sulla pena base quando il risarcimento riguardi il reato più grave e sugli aumenti di pena quanto riguardi i reati-satellite (Sez. 4, n. 4616 del 23/11/2017, dep. 2018, D., Rv. 271947-01; Sez. 2, n. 39166 del 12/10/2011, Salpietro, Rv. 251128-01).
Da tali principi, affermati dalla Corte di cassazione e condivisi dal Collegio, discende che, avendo la Corte d’appello di Lecce riscontrato che la condotta riparatoria del COGNOME era intervenuta soltanto con riferimento al reato più grave di rapina pluriaggravata – per avere il COGNOME risarcito a RAGIONE_SOCIALE e a NOME COGNOME e NOME COGNOME, rispettivamente, il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale che era stato loro cagionato dal suddetto reato -, del tutto correttamente la stessa Corte d’appello ha applicato gli effetti della circostanza attenuante di cui all’art. 62, n. 6), cod. pen., esclusivamente allo stesso più grave reato di rapina pluriaggravata, bilanciando tale circostanza attenuante in termini di equivalenza con le due ritenute circostanze aggravanti dell’avere commesso la minaccia con armi e travisato, senza applicare diminuzioni di pena per i due reatisatellite, con riferimento ai quali nessuna condotta riparatoria era intervenuta.
Né, si può aggiungere, una tale condotta appare configurabile rispetto a dei reati che, come la falsità materiale in certificati e il porto, senza giustificato motivo, fuori della propria abitazione, di strumenti atti a offendere, non appaiono avere cagionato un danno economicamente risarcibile.
Quanto alle pronunce della Corte di cassazione che sono state invocate dal ricorrente (Sez. 6, n. 34181 del 6-21/02/2024, COGNOME, non massimata; Sez. 2, n. 10995 del 13/02/2018, COGNOME, Rv. 272375-01; Sez. 3, n. 1810 del 02/12/2010, dep. 2011, R., Rv. 249279-01), esse non sono pertinenti rispetto alla fattispecie in esame perché riguardano non la circostanza attenuante della riparazione del danno ma le circostanze attenuanti generiche (e ciò a prescindere dal rilievo che, con la prima delle indicate sentenze, la Corte di cassazione risulta avere affermato un principio che è comunque di segno opposto rispetto a quanto è sostenuto dal ricorrente, cioè che «il giudizio in ordine alla sussistenza delle circostanze attenuanti generiche va operato, in caso di reato continuato, avendo riferimento ai singoli episodi criminosi»).
Pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., al pagamento delle spese del procedimento, nonché, essendo ravvisabili profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al pagamento della somma di C 3.000,00 in favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 14/10/2025.