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Falsità patrocinio a spese dello Stato: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per il reato di falsità in patrocinio a spese dello Stato. La Corte ha ribadito che, ai fini dell’ammissione al beneficio, le risultanze anagrafiche sulla composizione del nucleo familiare prevalgono sulle dichiarazioni di parte, a meno che non venga fornita una prova contraria rigorosa. La condanna è stata confermata in quanto l’imputato aveva omesso di indicare tutti i conviventi, alterando così la base di calcolo del reddito familiare complessivo.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsità patrocinio a spese dello Stato: la Cassazione conferma la condanna

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese legali. Tuttavia, l’istituto del patrocinio a spese dello Stato si basa su un patto di lealtà tra il cittadino e lo Stato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda le gravi conseguenze penali in caso di dichiarazioni mendaci, sottolineando la prevalenza dei dati anagrafici ufficiali. Questo caso di falsità patrocinio a spese dello Stato offre importanti spunti sulla valutazione del reddito e sulla prova della composizione del nucleo familiare.

I fatti del caso

Un cittadino veniva condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002. L’accusa era quella di aver presentato una domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato contenente informazioni non veritiere riguardo la sua situazione familiare e reddituale.

In particolare, l’imputato aveva dichiarato di convivere unicamente con la compagna e il figlio. Tuttavia, le certificazioni anagrafiche ufficiali attestavano una situazione diversa, includendo nel suo nucleo familiare altre persone. Poiché il reddito di tutti i componenti conviventi deve essere cumulato ai fini del calcolo della soglia per l’ammissione al beneficio, tale omissione era penalmente rilevante. L’imputato, tramite il suo difensore, ha quindi proposto ricorso per Cassazione, contestando la sussistenza degli elementi costitutivi del reato.

La valutazione del reddito ai fini del patrocinio a spese dello Stato

La Corte di Cassazione, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha colto l’occasione per ribadire alcuni principi fondamentali. Innanzitutto, ai fini dell’individuazione delle condizioni per l’ammissione al patrocinio, rileva ogni componente di reddito, imponibile o non, in quanto espressivo della capacità economica del richiedente.

Inoltre, come stabilito dall’art. 76 del D.P.R. 115/2002, nel reddito complessivo dell’istante deve essere computato anche quello di qualunque persona che con lui conviva. La Corte ha precisato che la situazione di fatto dichiarata dall’imputato, ovvero la convivenza esclusiva con compagna e figlio, era in netto contrasto con le risultanze del certificato di residenza, un atto anagrafico ufficiale. L’imputato, dal canto suo, non aveva fornito alcuna prova concreta in grado di smentire tali certificazioni.

Le motivazioni della Corte

La motivazione della Suprema Corte si fonda su due pilastri: l’onere della prova e l’elemento soggettivo del reato. La Corte ha ritenuto la decisione dei giudici di merito del tutto congrua e non contraddittoria, sottolineando che di fronte a un atto anagrafico ufficiale, spetta al dichiarante dimostrare una diversa realtà fattuale. L’imputato, invece, si era limitato a reiterare le sue affermazioni senza supportarle con elementi concreti.

Per quanto riguarda l’elemento soggettivo, la Corte ha ricordato che il reato di falsità patrocinio a spese dello Stato richiede il dolo generico. Ciò significa che le false indicazioni o le omissioni devono essere sorrette dalla coscienza e volontà di fornire una rappresentazione non veritiera della realtà, indipendentemente dall’effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio. Un semplice errore o una negligenza nel controllo non sono sufficienti a integrare il reato, ma nel caso di specie la divergenza tra quanto dichiarato e quanto risultante dai registri ufficiali è stata ritenuta prova sufficiente dell’intento fraudolento.

Conclusioni

L’ordinanza in esame rappresenta un monito importante sulla serietà e sulla responsabilità che accompagnano la richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La decisione conferma che le certificazioni anagrafiche costituiscono una prova forte della composizione del nucleo familiare e che spetta al richiedente l’onere di dimostrare, con prove concrete, un’eventuale difformità. La mancanza di tale prova, unita a dichiarazioni non veritiere, integra il reato di cui all’art. 95 D.P.R. 115/2002, con conseguente condanna penale e l’obbligo di pagare non solo le spese processuali, ma anche una sanzione pecuniaria alla Cassa delle ammende.

Quali redditi si considerano per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato?
Si considera il reddito complessivo del richiedente, sommato a quello di tutte le persone che convivono con lui e contribuiscono alla vita in comune. Rileva ogni componente di reddito, sia imponibile che non, in quanto indicatore di capacità economica.

Cosa prevale in caso di contrasto tra la dichiarazione del richiedente e il certificato di residenza?
Il certificato di residenza, essendo un atto anagrafico ufficiale, prevale sulla dichiarazione di parte. Spetta al richiedente fornire prove concrete e rigorose per dimostrare che la situazione di fatto della convivenza è diversa da quella risultante dai registri anagrafici.

Per commettere il reato di false dichiarazioni per il patrocinio è sufficiente un errore?
No, non è sufficiente un errore colposo o un difetto di controllo. Il reato richiede il ‘dolo generico’, ovvero la coscienza e la volontà di fornire false indicazioni o di omettere informazioni rilevanti, indipendentemente dal fatto che si riesca o meno a ottenere il beneficio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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