Falsità materiale certificati: la Cassazione conferma la condanna
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 10068/2024, ha affrontato un caso di falsità materiale certificati, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato e confermando la sua condanna. Questa decisione ribadisce importanti principi sia sulla natura del reato di falso, sia sui limiti del giudizio di legittimità, offrendo spunti di riflessione sulla valutazione della condotta dell’imputato anche ai fini della concessione di benefici.
I Fatti di Causa
Il caso ha origine da una condanna emessa dal Tribunale e confermata dalla Corte d’Appello nei confronti di un individuo per il reato di falsità materiale commessa da privato in certificati o autorizzazioni amministrative, previsto dagli artt. 477 e 482 del codice penale. L’imputato aveva creato un documento amministrativo contraffatto.
Contro la sentenza di secondo grado, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, basandolo su due motivi principali:
1. La violazione di legge e il vizio di motivazione riguardo alla sussistenza stessa del reato, sostenendo che le prove non fossero sufficienti a dimostrare la sua colpevolezza.
2. La mancata applicazione delle pene sostitutive della pena detentiva, previste dall’art. 20 bis del codice penale.
La Decisione sulla Falsità Materiale Certificati
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile. I giudici hanno analizzato separatamente i due motivi di ricorso, giungendo a conclusioni nette per entrambi.
Per quanto riguarda il primo motivo, la Corte ha sottolineato come le argomentazioni del ricorrente fossero interamente basate su una rilettura dei fatti e delle prove. Questo tipo di valutazione è precluso in sede di Cassazione, il cui compito non è quello di sovrapporre il proprio giudizio a quello dei giudici di merito, ma solo di verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione. I giudici di merito, secondo la Corte, avevano adeguatamente spiegato le ragioni del loro convincimento, basandosi sull’osservazione diretta del documento e sul fatto che l’imputato avesse persino pubblicato l’immagine del documento falso sul proprio profilo social.
Relativamente al secondo motivo, la richiesta di pene sostitutive è stata giudicata manifestamente infondata. La Corte d’Appello aveva negato il beneficio basandosi su argomentazioni logiche e ineccepibili, evidenziando come il certificato del casellario giudiziale dell’imputato riportasse una precedente condotta di inosservanza di un provvedimento dell’autorità (ex art. 650 c.p.). Questo precedente, sebbene per un reato diverso, indicava una mancanza di affidabilità e non offriva garanzie sul puntuale rispetto delle prescrizioni che sarebbero state imposte con una pena sostitutiva.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri fondamentali del diritto processuale penale.
In primo luogo, viene ribadito il principio secondo cui il reato di falso si consuma con la semplice creazione del documento contraffatto, indipendentemente dal suo successivo utilizzo. L’accertamento che l’immagine sul documento corrispondesse all’imputato, confermato anche dalla sua stessa pubblicazione online, è stato ritenuto un argomento sufficiente e logicamente valido dai giudici di merito.
In secondo luogo, la valutazione per la concessione delle pene sostitutive non è un atto dovuto, ma una decisione discrezionale del giudice basata su un giudizio prognostico sulla futura condotta del condannato. La presenza di precedenti specifici, come la violazione di ordini dell’autorità, è un elemento che legittimamente può portare a un giudizio negativo sull’affidabilità del soggetto, giustificando così il diniego del beneficio. La sentenza impugnata aveva correttamente valorizzato questo aspetto, rendendo la sua motivazione immune da censure di legittimità.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Cassazione conferma che il ricorso per legittimità non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. La valutazione delle prove e la ricostruzione della vicenda sono di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado, a meno che la loro motivazione non sia palesemente illogica o contraddittoria. Inoltre, la decisione rafforza il principio che l’accesso a benefici come le pene sostitutive richiede una valutazione complessiva della personalità del condannato, inclusi i suoi precedenti, per determinare se meriti la fiducia dello Stato nell’adempiere a prescrizioni alternative al carcere. La conseguenza per il ricorrente è stata la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver proposto un ricorso inammissibile.
Perché il ricorso contro la condanna per falsità materiale certificati è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché il primo motivo si basava su una rivalutazione dei fatti, non consentita in Cassazione, e il secondo motivo, relativo al diniego delle pene sostitutive, è stato ritenuto manifestamente infondato dalla Corte.
Quando si considera consumato il reato di falsità materiale?
Secondo la Corte, il reato si consuma con la semplice creazione del documento contraffatto, a prescindere dal suo eventuale e successivo utilizzo. L’azione di falsificazione è di per sé sufficiente a integrare il reato.
Per quale motivo non sono state concesse le pene sostitutive all’imputato?
Le pene sostitutive non sono state concesse perché l’imputato non offriva garanzie di un puntuale rispetto delle prescrizioni. Questa valutazione si basava su una sua precedente condotta di inosservanza di un provvedimento dell’autorità, come risultava dal suo casellario giudiziale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 10068 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 10068 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 07/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
ALLAMPRESE NOME NOME a CASTELLAMONTE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/07/2023 della CORTE APPELLO di TORINO
-Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza con cui la Corte di Appello di Torino del 5 luglio 2023 ha confermato la pronunzia di condanna del Tribunale di Ivrea in ordine al reato di falsità materiale commessa dal privato in certificati o autorizzazioni amministrative, di cui agli artt. 477 e 482 cod. pen.
-Ritenuto che il primo motivo – con cui il ricorrente lamenta violazione di legge e vizio di motivazione quanto all’insussistenza del reato ex artt.477 e 482 cod. peri. – è versato interamente in fatto e inammissibile in questa sede stante la preclusione per la Corte di cassazione non solo di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi, ma anche di saggiare la tenuta logica della pronuncia portata alla sua cognizione mediante un raffronto tra l’apparato argomentativo che la sorregge ed eventuali altri modelli di ragionamento mutuati dall’esterno (tra le altre, Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, Jakani, Rv. 216260); il giudice di merito, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (pag.3: il reato contestato si consuma con la semplice creazione del documento contraffatto e non con il suo eventuale e successivo utilizzo. Gli agenti hanno appurato che l’immagine presente sul documento raffigurasse l’imputato sia in virtù dell’osservazione diretta dello stesso quanto anche dal fatto che l’imputato ha postato tale immagine sul proprio profilo social) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini della dichiarazione di responsabilità e della sussistenza del reato.
Ritenuto che il secondo motivo – con cui il ricorrente denunzia la mancata applicazione degli istituiti relativi alle pene sostitutive della pena detentiva ex art. 20 bis cod. pen. – è manifestamente infondato; la sentenza impugnata ha posto a base del rigetto della richiesta di applicazione del beneficio argomentazioni logiche e ineccepibili (pag. 4: l’imputato non offre garanzie di puntuale rispetto delle prescrizioni imposte dall’autorità, atteso che il certificato del casellario giudiziale annovera una condotta di inosservanza del provvedimento dell’autorità ex ad 650 cod. pen. commessa in tempi recenti).
Rilevato pertanto che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7/2/2024