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Falsità ideologica: la Cassazione sui benefici pubblici

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna di un funzionario di polizia per i reati di falsità ideologica, truffa, accesso abusivo a sistema informatico e rivelazione di segreti d’ufficio. Il caso riguardava una dichiarazione mendace sulla propria situazione patrimoniale per ottenere un alloggio di servizio. La Corte ha stabilito che la base per il reato di falsità ideologica risiede nella normativa generale sulle autocertificazioni (D.P.R. 445/2000) e non nelle circolari interne che specificano i requisiti, confermando la piena responsabilità penale del dichiarante.

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Pubblicato il 12 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsità ideologica per un alloggio: la Cassazione conferma la linea dura

Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 31685 del 2024, affronta un caso complesso che tocca temi cruciali come la falsità ideologica, la truffa ai danni dello Stato e l’abuso di funzioni da parte di un pubblico ufficiale. La decisione fornisce importanti chiarimenti su quando una dichiarazione non veritiera, resa per ottenere un beneficio dalla Pubblica Amministrazione, assume rilevanza penale.

I Fatti di Causa

Il caso ha visto come protagonista un funzionario di Polizia condannato in primo e secondo grado per una serie di reati. L’accusa principale riguardava la presentazione di una domanda per ottenere un alloggio di servizio. Nel modulo, il funzionario aveva dichiarato falsamente di possedere un solo immobile, peraltro occupato da un inquilino moroso, e di non avere altre disponibilità abitative. In realtà, la sua situazione patrimoniale era ben diversa, essendo proprietario di ben sette immobili nella stessa città.

Questa falsa dichiarazione, secondo l’accusa, integrava sia il reato di falsità ideologica (art. 483 c.p.) sia quello di truffa aggravata ai danni dello Stato (art. 640 c.p.), avendo indotto in errore l’amministrazione e conseguito l’indebito vantaggio dell’alloggio di servizio a spese pubbliche.
A queste accuse se ne aggiungevano altre: l’accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter c.p.), per aver fatto eseguire a un collega ricerche su banche dati riservate per scopi privati, e la successiva rivelazione di segreti d’ufficio (art. 326 c.p.).

L’Iter Processuale e i Motivi del Ricorso

La difesa del funzionario ha presentato ricorso in Cassazione, contestando la sussistenza degli elementi dei reati. In particolare, per la falsità ideologica, si sosteneva che la normativa primaria in materia di alloggi di servizio non prevedesse la proprietà di immobili come causa ostativa. La richiesta di tali informazioni sarebbe derivata da una mera circolare interna del Questore, un atto amministrativo non idoneo, secondo la difesa, a fondare una responsabilità penale. Si contestava inoltre l’elemento soggettivo, asserendo la buona fede e la confusione del funzionario.
Per l’accesso abusivo, si evidenziava una presunta contraddizione nella sentenza d’appello, che aveva escluso l’induzione in errore del collega ma confermato la responsabilità dell’imputato.

Le Motivazioni della Cassazione sulla Falsità Ideologica e la Truffa

La Corte di Cassazione ha rigettato integralmente il ricorso, ritenendo infondate le argomentazioni difensive. Il cuore della decisione risiede nell’individuazione della corretta fonte normativa. I giudici hanno chiarito che la rilevanza penale della condotta non deriva dalla circolare del Questore, ma dalla normativa primaria sulle dichiarazioni sostitutive, ovvero il D.P.R. n. 445 del 2000.

L’articolo 46 di tale decreto prevede che la “situazione reddituale o economica” possa essere comprovata con autocertificazione, anche ai fini della concessione di benefici. Il successivo articolo 76 sanziona penalmente chiunque rilasci dichiarazioni mendaci.
La circolare del Questore, quindi, non è la fonte dell’obbligo di dire il vero, ma un legittimo atto amministrativo con cui l’ente, nel rispetto dei principi di imparzialità e buon andamento, stabilisce i criteri per l’assegnazione di risorse limitate (gli alloggi). Di conseguenza, mentire su un requisito previsto da tale atto per ottenere un beneficio integra pienamente il reato di falsità ideologica.

La Corte ha anche confermato la sussistenza della truffa, riconoscendo un danno patrimoniale per la Pubblica Amministrazione, consistente nei costi vivi di gestione e nell’usura del bene, e un ingiusto profitto per il funzionario, che ha potuto locare i propri immobili mentre usufruiva di un alloggio a carico dello Stato.

La Posizione della Corte su Accesso Abusivo e Rivelazione di Segreti

Anche le censure relative agli altri reati sono state respinte. La Cassazione ha ribadito il suo consolidato orientamento secondo cui il reato di accesso abusivo si configura quando le credenziali vengono utilizzate per scopi “ontologicamente estranei” a quelli d’ufficio. È irrilevante che il collega che ha effettuato materialmente l’accesso fosse consenziente o indotto in errore: la responsabilità penale sussiste per chi richiede l’accesso per finalità private. Non vi è alcuna contraddizione, inoltre, nel condannare l’istigatore e disporre accertamenti sulla possibile responsabilità in concorso dell’esecutore materiale.
Infine, la Corte ha ritenuto che l’interpretazione dei messaggi scambiati, da cui emergeva la rivelazione di informazioni riservate a terzi per scopi personali (come verificare l’affidabilità di un venditore d’auto), fosse corretta e logica, respingendo le doglianze come tentativi di rivalutare il merito dei fatti.

le motivazioni
La Suprema Corte ha fondato la sua decisione su principi giuridici chiari e consolidati. In primo luogo, ha stabilito che la responsabilità per falsità in un’autocertificazione rivolta alla P.A. discende direttamente dalla legge generale (D.P.R. 445/2000), che sanziona penalmente ogni mendacio. Gli atti amministrativi interni, come le circolari, servono solo a definire i presupposti per ottenere un beneficio, rendendo la dichiarazione su quei punti giuridicamente rilevante. In secondo luogo, ha riaffermato che l’accesso a sistemi informatici protetti è legittimo solo se finalizzato al compimento dei doveri d’ufficio; ogni altro scopo, anche se non dannoso, integra il reato. Infine, la Corte ha sottolineato che la truffa ai danni dello Stato si concretizza anche in presenza di un danno non strettamente monetario, come l’usura di un bene pubblico o i costi di gestione, ottenuti tramite artifizi e raggiri.

le conclusioni
Questa sentenza rappresenta un monito severo per tutti i dipendenti pubblici e i cittadini che interagiscono con la Pubblica Amministrazione. Sottolinea l’assoluta importanza della veridicità nelle autocertificazioni, chiarendo che anche i requisiti specificati in atti amministrativi secondari diventano penalmente rilevanti. La decisione ribadisce una visione rigorosa dell’abuso di funzioni e risorse pubbliche, confermando che l’utilizzo di strumenti e informazioni d’ufficio per scopi personali costituisce un grave illecito penale, indipendentemente dalle modalità con cui viene perpetrato.

Una falsa dichiarazione su un modulo della Pubblica Amministrazione è sempre reato di falsità ideologica?
Sì, se la dichiarazione attesta fatti rilevanti per l’ottenimento di un beneficio e la legge (in questo caso il D.P.R. 445/2000) punisce le dichiarazioni mendaci in quel contesto. I criteri specifici per il beneficio possono essere stabiliti anche da atti amministrativi interni, come una circolare.

Accedere a una banca dati d’ufficio per scopi privati è reato anche se si hanno le credenziali e si fa eseguire l’accesso a un collega consenziente?
Sì. La Corte ha confermato che il reato di accesso abusivo a sistema informatico si configura quando l’accesso avviene per ragioni “ontologicamente estranee” a quelle di servizio. È irrilevante che chi compie materialmente l’accesso sia consenziente, poiché la responsabilità penale ricade su chi ha richiesto l’accesso per fini privati.

Per il reato di truffa ai danni dello Stato è necessario un danno economico diretto e quantificabile?
No, non necessariamente. La Corte ha ritenuto che il danno per la pubblica amministrazione sussistesse anche solo considerando i costi derivanti dalle spese vive di un alloggio e l’usura degli arredi del bene utilizzato, configurando una diminuzione patrimoniale per l’ente pubblico.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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