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Falsità ideologica: la Cassazione e la polizza fake

Un consulente è stato condannato per aver creato una falsa polizza fideiussoria, utilizzata da una società in un contenzioso amministrativo. L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione sostenendo che la falsificazione fosse palese e che le prove fossero state travisate. La Corte ha respinto il ricorso, confermando la condanna per falsità ideologica per induzione. I giudici hanno chiarito che il reato sussiste quando il falso non è riconoscibile a prima vista, anche se presenta delle imperfezioni, e che la valutazione delle prove di merito non può essere rivalutata in sede di legittimità.

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Pubblicato il 30 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Falsità Ideologica e la Polizza Fideiussoria Falsa: Analisi di una Sentenza della Cassazione

La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, è tornata a pronunciarsi sul delicato tema della falsità ideologica commessa mediante induzione in errore del pubblico ufficiale, specificando i contorni del cosiddetto ‘reato impossibile’. Il caso riguardava la produzione in giudizio di una polizza fideiussoria falsa, creata ad arte per superare un contenzioso amministrativo. La pronuncia offre spunti fondamentali per comprendere quando un falso documentale, pur se imperfetto, possa integrare un reato e ingannare persino un organo giudicante.

I Fatti del Processo

Una società di intermediazione finanziaria, dopo essere stata cancellata dall’albo di riferimento, aveva proposto ricorso al Consiglio di Stato per ottenere la sospensione del provvedimento. L’organo giudicante aveva accolto l’istanza a condizione che la società presentasse una polizza fideiussoria a garanzia.

Per adempiere a tale condizione, veniva prodotta in giudizio una polizza apparentemente emessa da un noto istituto di credito. Successivamente, nel corso del medesimo giudizio, alcuni accertamenti tecnici disposti dallo stesso Consiglio di Stato rivelarono la completa falsità del documento. Le indagini successive hanno individuato come autore materiale della falsificazione un ex dipendente dell’istituto di credito, il quale, in qualità di mediatore finanziario, aveva predisposto la polizza ricevendo in cambio ingenti somme di denaro su un conto estero.

L’imputato veniva condannato in primo e secondo grado per il reato di falsità ideologica in atto pubblico per induzione, in concorso con altri. La difesa, tuttavia, decideva di presentare ricorso per cassazione.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

Il ricorso dell’imputato si fondava principalmente su tre argomentazioni:

1. Travisamento della prova: La difesa sosteneva che le prove a carico (email, conversazioni, pagamenti) fossero state male interpretate dai giudici di merito, in quanto potenzialmente riferibili a un’altra operazione illecita e non alla polizza oggetto del processo.
2. Reato impossibile per grossolanità del falso: Si affermava che la falsificazione fosse talmente palese (‘ictu oculi’) da non poter ingannare nessuno. In particolare, la polizza riportava la vecchia denominazione sociale dell’istituto di credito, non più in uso all’epoca dei fatti, e un logo obsoleto. Secondo la difesa, queste imperfezioni avrebbero dovuto rendere il falso immediatamente riconoscibile.
3. Vizio di motivazione sulla pena: L’imputato lamentava una pena eccessiva e una motivazione carente sulla sua determinazione.

Il Principio della Falsità Ideologica e il Reato Impossibile

Il cuore della decisione della Cassazione ruota attorno al secondo motivo di ricorso. La Corte ha ribadito un principio consolidato: per aversi un ‘reato impossibile’ ai sensi dell’art. 49 c.p., la falsificazione deve essere ‘grossolana’, ovvero così evidente da escludere qualsiasi possibilità di inganno. La valutazione, inoltre, deve essere fatta ‘ex ante’, cioè sulla base delle circostanze esistenti al momento dell’azione, e con riferimento a una persona di comune avvedutezza.

Nel caso di specie, i giudici hanno sottolineato che la falsità della polizza non era affatto emersa a prima vista. Al contrario, era stato necessario un approfondito accertamento di polizia giudiziaria per svelarla. Il fatto che lo stesso Consiglio di Stato avesse inizialmente ritenuto valido il documento era la prova lampante che il falso non era grossolano. L’utilizzo di una denominazione sociale non aggiornata, secondo la Corte, non è un elemento sufficiente a rendere la contraffazione palese, ma solo un’imperfezione che non ne inficia la capacità ingannatoria.

I Limiti al Sindacato della Cassazione sulle Prove

In merito al primo motivo, la Corte ha ricordato il proprio ruolo di giudice di legittimità, non di merito. La Cassazione non può effettuare una nuova valutazione delle prove (come email, intercettazioni o testimonianze) per sostituirla a quella, logicamente argomentata, dei giudici dei gradi precedenti. Il suo compito è verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia completa, coerente e non viziata da errori di diritto. Nel caso in esame, le sentenze di merito avevano ampiamente e logicamente collegato gli elementi probatori alla polizza specifica del processo, rendendo la doglianza difensiva un mero tentativo, non consentito, di ottenere una nuova valutazione dei fatti.

le motivazioni

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la sentenza di condanna. La motivazione si fonda su principi giuridici saldi. In primo luogo, la configurabilità del reato di falsità ideologica per induzione (artt. 48 e 479 c.p.) è stata correttamente ritenuta sussistente. L’imputato, fornendo un documento falso, ha indotto in errore i giudici del Consiglio di Stato, i quali, basandosi su quell’atto, hanno emesso un provvedimento (l’ordinanza cautelare) viziato nella sua premessa fattuale. La Corte ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni Unite, secondo cui anche in un atto dispositivo (come un provvedimento giudiziario) è configurabile la falsità ideologica nella sua parte ‘descrittiva’, ovvero quella in cui si dà atto dell’esistenza di presupposti di fatto (in questo caso, l’autenticità della garanzia) che sono indispensabili per la decisione.

In secondo luogo, la tesi del ‘reato impossibile’ è stata respinta poiché la falsità del documento non era riconoscibile ‘ictu oculi’. La capacità ingannatoria dell’atto è stata dimostrata dal fatto che solo indagini mirate hanno permesso di scoprirla. Infine, la Corte ha giudicato adeguata la motivazione sulla determinazione della pena, ritenuta congrua in considerazione della professionalità della condotta e della gravità degli effetti, consistenti nell’aver tratto in inganno un organo della giustizia amministrativa.

le conclusioni

Questa sentenza ribadisce l’importanza della coerenza e della logicità nella valutazione delle prove da parte dei giudici di merito e i confini invalicabili del giudizio di legittimità. Sotto il profilo sostanziale, essa chiarisce che per escludere la punibilità di un falso non è sufficiente la presenza di mere imperfezioni, ma è necessaria una sua palese e immediata riconoscibilità. La decisione rappresenta un monito severo per chiunque tenti di alterare la verità documentale all’interno di un procedimento giudiziario: l’ordinamento giuridico predispone strumenti efficaci per sanzionare condotte che minano la fiducia nella genuinità degli atti e, di conseguenza, la corretta amministrazione della giustizia.

Quando una polizza falsa integra il reato di falsità ideologica?
Integra il reato di falsità ideologica per induzione quando viene presentata a un pubblico ufficiale (come un giudice) per ottenere un provvedimento, inducendolo in errore sulla veridicità dei fatti attestati nel documento. Il reato sussiste se la falsificazione non è così palese da essere immediatamente riconoscibile.

Una falsificazione con un logo o un nome aziendale vecchio può essere considerata così palese da non costituire reato?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’utilizzo di una denominazione sociale o di un logo non aggiornati sono semplici imperfezioni che non rendono di per sé la falsificazione ‘grossolana’. Se il falso è comunque in grado di ingannare e la sua non autenticità emerge solo a seguito di indagini specifiche, il reato sussiste.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove come le email o le intercettazioni?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito. Non può effettuare una nuova e diversa valutazione delle prove già esaminate dai giudici dei gradi precedenti, ma si limita a verificare che la motivazione della sentenza impugnata sia corretta dal punto di vista giuridico e logicamente coerente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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