Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 20629 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 20629 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 02/04/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a MASSA il 29/03/1976
avverso la sentenza del 26/11/2024 della Corte d’appello di Roma Udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME Lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza impugnata, emessa in data 26 novembre 2024, la Corte di Appello di Roma ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Roma, del 30 maggio 2023, che aveva condannato
COGNOME David alla pena di anni due di reclusione perché ritenuto responsabile, in concorso con altri, del reato di cui agli artt. 110, 48-479 cod. pen.
Il Tribunale ha ritenuto accertato che l’imputato, ex dipendente della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a. (ora Cariparma Crèdit Agricole), in qualità di agente e mediatore in prodotti finanziari oltre che referente della società di diritto ang losassone RAGIONE_SOCIALE , abbia materialmente predisposto una falsa polizza fideiussoria ( n. 534768/17 del 7 luglio 2017), utilizzata dalla società RAGIONE_SOCIALE nell’ambito di un conten zioso giurisdizionale amministrativo.
In particolare, è stato sottolineato che: la società RAGIONE_SOCIALE iscritta all’albo degli intermediari finanziari, a seguito di sua cancellazione dall’albo disposta nel novembre 2016, proponeva ricorso al Consiglio di Stato avverso l’ordinanza del TAR del Lazio c he aveva rigettato la sua domanda di sospensione; il Consiglio di Stato accogliev a l’istanza cautelare a condizione che fosse presentata una polizza fideiussoria di ventimila euro; la fideiussione risultava apparentemente rilasciata Cariparma RAGIONE_SOCIALE il TAR successivamente rigettava il ricorso avverso il provvedimento di cancellazione dall’albo; la società proponeva ricorso al Consiglio di Stato che, in via cautelare, sospendeva la sentenza appellata, con ordinanza del 31 gennaio 2018; successivamente il Consiglio di Stato disponeva consulenza tecnica per accertare la solidità patrimoniale e finanziaria della società e da accertamenti emergeva la falsità della precedente polizza fideiussoria rilasciata a nome di Cariparma, per l’ottenimento della quale la RAGIONE_SOCIALEsi era avvalsa della collaborazione dell’imputato ricorrente (oltre che di altri); l’autenticità della polizza era disconosciuta da Cariparma la quale escludeva che la Finworld fosse mai stata sua cliente; fra il COGNOME e NOME COGNOME, amministratore delegato della RAGIONE_SOCIALE fino al luglio del 2017, oltre che con COGNOME Marco, intercorrevano alcune mail aventi ad oggetto la polizza; fra il 7 e 12 luglio 2017 erano, altresì, riscontrati due bonifici, di 50 mila euro ciascuno, in favore del Cardillo, con domiciliazione di pagamento su un conto estero di Malta.
Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato COGNOME per il tramite del suo difensore, avv. NOME COGNOME
2.1. Con primo motivo denuncia violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 110, 48-479 cod. pen. Deduce travisamento di prova e omessa motivazione in quanto fondata su elementi di fatto privi di riscontro e la non affidabilità del risultato raggiunto in quanto basato su fatti ignoti e non motivati. Denuncia l’erroneità del ragionament o seguito dalla Corte nel ritenere che la partecipazione dell’imputato alla contraffazione di altra polizza fideiussoria possa
fornire la prova della partecipazione anche alla contraffazione della diversa polizza oggetto del presente procedimento. Nell’informativa di reato era stato fatto riferimento ad una mail del 24 aprile 2017, riferibile ad altra polizza ( inerente l’aumento di capitale sociale) ma la Corte di appello aveva ignorato la deduzione difensiva relativa, introdotta con atto di appello; inoltre, mancherebbe la prova che proprio la fideiussione allegata alla memoria di costituzione, dinanzi il Consiglio di Stato, fos se effettivamente quella predisposta dall’imputato; da alcune mail , del 29 e 27 giugno 2017, intercorse fra Caforio e NOME COGNOME emergerebbe che i medesimi facevano riferimento ad una bozza di fideiussione dal contenuto compatibile con quello della polizza in contestazione e gli stessi messaggi richiamati dalla Corte di appello, con i quali il ricorrente affermava di assumersi le sue responsabilità, non fornirebbero la prova della sua responsabilità oltre ogni ragionevole dubbio in quanto suscettibili di essere riferiti alla precedente e diversa polizza fideiussoria (n.34987/17) utilizzata dalla medesima società RAGIONE_SOCIALE a supporto della delibera di aumento di capitale sociale.
2.2. Con secondo motivo deduce vizio di motivazione, per contraddittorietà, illogicità e omissione della stessa in relazione all’art. 49 cod. pen. deducendo che i giudici del Consiglio di Stato avrebbero ben potuto avvedersi della falsità del logo utilizzato per il documento in quanto non più attuale; inoltre, il documento riportava la denominazione di Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza in un’epoca in cui la stessa denominazione era mutata in Crèdit RAGIONE_SOCIALE Cariparma RAGIONE_SOCIALE.p.aRAGIONE_SOCIALE, a seguito di atto di fusione, iscritto nei registri della Camera di Commercio.
2.3. Con terzo motivo censura violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio e all’art. 132 cod.pen.
Il Sostituto Procuratore generale ha concluso, con requisitoria scritta, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
Va, preliminarmente, considerato che il compito del giudice di legittimità non è quello di sovrapporre la propria valutazione a quella dei giudici di merito in ordine all’affidabilità delle fonti di prova, bensì di stabilire se questi ultimi abbiano esaminato tutti gli elementi a loro disposizione, abbiano fornito una corretta interpretazione di essi, dando esaustiva e convincente risposta alle deduzioni delle parti, e abbiano esattamente applicato le regole della logica nello sviluppo delle argomentazioni che hanno giustificato la scelta di determinate conclusioni
a preferenza di altre (Sez. U, n. 930 del 13/12/1995, dep. 1996, Clarke, Rv. 203428 – 01).
La verifica che questa Corte è abilitata a compiere sulla completezza e sulla correttezza della motivazione di una sentenza non può essere confusa con una rinnovata valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella fornita dal giudice di merito, essendo preclusa alla Corte di cassazione “la possibilità di una nuova valutazione delle risultanze acquisite, da contrapporre a quella effettuata dal giudice di merito, attraverso una diversa lettura, sia pure anch’essa logica, dei dati processuali o una diversa ricostruzione storica dei fatti o un diverso giudizio di rilevanza o comunque di attendibilità delle fonti di prova” (così Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217; in senso conforme, ex plurimis , v. Sez. 5, n. 15041 del 24/10/2018, dep. 2019, Battaglia, Rv. 275100, in motivazione; Sez. 4, n. 1219 del 14/09/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271702; Sez. 6, n. 47204 del 07/10/2015, COGNOME, Rv. 265482; da ultimo cfr. Sez. 2, n. 39580 del 20/10/2021, Marino, non mass.).
1.1. Quanto al denunciato vizio di travisamento della prova, deve ricordarsi che tale vizio è configurabile quando si introduce nella motivazione una informazione rilevante che non esiste nel processo o quando si omette la valutazione di una prova decisiva ai fini della pronuncia; il relativo vizio ha natura decisiva solo se l’errore accertato sia idoneo a disarticolare l’intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio (Sez. 6, n. 5146 del 16/01/2014, COGNOME, Rv. 258774; sez. 2, n. 47035 del 03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499).
1.2. Nella fattispecie in esame la doglianza difensiva, posta a fondamento del primo motivo con il quale si sostiene la non idoneità delle evidenze probatorie indicate nella motivazione del provvedimento impugnato a supportare il giudizio di colpevolezza dell’imputato in quanto riferibili ad altra polizza fideiussoria , è formulata senza tenere conto della motivazione resa al riguardo dalla Corte territoriale secondo cui: la polizza fideiussoria n. 534768/17 è l’unica oggetto del procedimento mentre la diversa polizza n. 34987/17, pur collegata alla prima, esula dal presente procedimento; quest’ultima polizza, prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE dinanzi al Consiglio di Stato per dimostrare la propria capacità reddituale, risulta provenire da Unipol, oltre ad avere avuto un diverso oggetto; le mail e le intercettazioni acquisite in atti e utilizzate a fondamento del giudizio di colpevolezza dell’imputato ‘si riferiscono senz’altro alla vicenda della po lizza fideiussoria del presente procedimento’.
La sentenza impugnata, con motivazione conforme a quella di primo grado, indica gli elementi che conducono alla individuazione di una condotta concorsuale di falsificazione della polizza fideiussoria prodotta dalla società RAGIONE_SOCIALE dinanzi il
Consiglio di Stato, ascrivi bile senza dubbio all’imputato, individuandoli: nella sequenza delle mail , intercorse tra altri coimputati da cui si evince una predisposizione del contenuto della polizza al di fuori della sfera di controllo dell’istituto bancario, ad opera esclusiva de gli altri imputati; nel contenuto delle dichiarazioni accusatorie rese da due coimputati che hanno indicato il ricorrente proprio come soggetto ‘che si occupò della vicenda’; nei due bonifici dell’importo di 50 mila euro ciascuno effettuati su conto estero, in Malta, dell’imputato, uno dei quali indicante come causale ‘pagamento fattura Fin w orld oper’; nel tenore del messaggio del 30 ottobre 2017 con il quale il ricorrente avvisava uno dei coindagati che avrebbero potuto eseguire una verifica sulla genuinità della garanzia; nel tenore della conversazione del 14 febbraio 2018 nel corso della quale il ricorrente ammetteva le proprie responsabilità e la falsità del proprio lavoro.
Elementi, tutti, rispetto ai quali le doglianze difensive omettono di confrontarsi non riuscendo, peraltro, a scalfire la tenuta logica de ll’impianto motivazionale del provvedimento impugnato dietro l’appar ente schermo del travisamento di prova affidato a deduzioni assertive, come il tenore calunniatorio delle dichiarazioni rese dai coimputati COGNOME e COGNOME, o comunque affidato ad elementi non decisivi e non attinenti ai fatti oggetto del procedimento. La qualificazione giuridica della condotta, scolpita attraverso il capo di imputazione e ritenuta dalle sentenze di merito, si colloca nel solco dell’insegnamento di questa Corte secondo cui è configurabile l’ipotesi di falsità ideologica mediante induzione di autore esterno, a norma degli artt. 48 e 479 cod. pen., quando, in una sentenza o in qualsiasi altro atto decisionale, la falsa attestazione del dichiarante abbia rilievo nella parte a contenuto narrativo dell’atto come documentazione di fatti o di situazioni influenti sulla decisione e vi sia obbligo giuridico di veridica esposizione senza possibilità di verifica da parte dell’organo decidente. In particolare, le Sezioni Unite Proietti hanno ritenuto che «anche nell’atto dispositivo – che consiste in una manifestazione di volontà e non nella rappresentazione o descrizione di un fatto – è configurabile la falsità ideologica in relazione alla parte “descrittiva” in esso contenuta e, più precisamente, in relazione all’attestazione, non conforme a verità, dell’esistenza di una data situazione di fatto costituente il presupposto indispensabile per il compimento dell’atto, a nulla rilevando che tale attestazione non risulti esplicitamente dal suo tenore formale, poiché, quando una determinata attività del pubblico ufficiale, non menzionata nell’atto, costituisce indefettibile presupposto di fatto o condizione normativa dell’attestazione, deve logicamente farsi riferimento al contenuto o tenore implicito necessario dell’atto stesso, con la conseguente irrilevanza dell’omessa menzione (talora scaltramente preordinata) ai fini della sussistenza della falsità ideologica » (Sez. U, n. 1827 del 03/02/1995, Rv. 200117).
Tale approdo è stato seguito anche dalla giurisprudenza successiva, che ha ribadito la ricostruzione della portata definitoria ed applicativa della fattispecie codicistica, nell’ipotizzare il delitto di falsità ideologica con riferimento ad un provvedimento giurisdizionale, consistente nella manifestazione di volontà di un organo titolare del potere di dicere ius dello Stato (Sez. 5, n. 24061 del 21/02/2022, Rv. 283525 -01; Sez. 5, n. 31271 del 21/09/2020, Rv. 279751; Sez. 5, n. 48389 del 24/09/2014, Di NOME, Rv. 261969).
È manifestamente infondato il secondo motivo con il quale la difesa deduce vizio di motivazione in relazione alla presunta grossolanità del falso stante « l’omessa valutazione in ordine alla sussistenza degli elementi minimi che consentono di qualificare ‘un foglio di carta’ quale atto di fideiussione».
La sentenza impugnata ha fatto buon governo degli insegnamenti di questa Corte secondo cui la valutazione della inidoneità assoluta all’azione, che dà luogo al reato impossibile, deve essere fatta ex ante, vale a dire sulla base delle circostanze di fatto conosciute al momento in cui l’azione viene posta, indipendentemente dai risultati, e non ex post (Sez. 2 n. 36631 del 15/05/2013, Rv. 257063). La pluriennale elaborazione della giurisprudenza di questa Corte è attestata nel senso che la grossolanità della contraffazione, che dà luogo al reato impossibile, si apprezza solo quando il falso sia riconoscibile ” ictu ocull “, ovvero dalla mera disamina dell’atto, da qualsiasi persona di comune discernimento e avvedutezza e non debba far riferimento né alle particolari cognizioni o competenze specifiche di soggetti qualificati, né alla straordinaria diligenza di cui alcune persone possono essere dotate (Sez. 5, n. 10331 del 24/01/2019, Rv. 276244 -01; Sez. 2 n. 5687 del 06/12/2012, Rv. 255680), richiedendosi, ai fini della esclusione della punibilità per inidoneità dell’azione, che la falsificazione dell’atto appaia in maniera talmente evidente da impedire la stessa eventualità di un inganno ( Sez. 5, n. 27310 del 11/02/2019, Rv. 276639 -01; Sez. 5 n. 3711 del 01/12/2011, dep. 2012, Rv. 252946), nel senso che la grossolanità dell’atto sia tale da escludere non solo la probabilità ma la stessa possibilità dell’inganno (Sez. 5 n. 336 del 26/01/2000, Dame, Rv. 215583).
Nella fattispecie in esame risulta, tuttavia, che la falsità del documento è emersa soltanto a seguito di accertamenti mirati di polizia giudiziaria, dopo che anche il Consiglio di Stato aveva ritenuto la fideiussione veritiera poiché la stessa non appariva ictu oculi falsa e le circostanze evidenziate dalla difesa legate all’utilizzo di un’intestazione del documento non più rispondente alla denominazione sociale esistente al momento della formazione della falsa polizza (Crèdit Agricole Cariparma s.p.a. e non più Cassa di Risparmio di Parma e
Piacenza), oltre ad implicare una valutazione in fatto, non riescono a superare l’eloquenza del superiore dato.
È manifestamente infondato il terzo motivo con il quale la difesa si duole della omessa motivazione in ordine ai criteri seguiti nella determinazione della pena, di cui si lamenta l’eccessivo scostamento dal minimo edittale oltre che la mancata massima estensione della riduzione di pena in ragione delle concesse circostanze generiche.
La doglianza difensiva omette di considerare che il giudice di merito, con la enunciazione, anche sintetica, della eseguita valutazione di uno (o più) dei criteri indicati nell’articolo 133 cod. pen., assolve adeguatamente all’obbligo della motivazione; infatti, tale valutazione rientra nella sua discrezionalità e non postula un’analitica esposizione dei criteri adottati per addivenirvi in concreto (Sez. 2, n. 12749 del 19/03/2008 Rv. 239754; Sez. 4, sent. n. 56 del 16/11/1988, dep. 5/1/1989 rv 180075). La determinazione in concreto del trattamento sanzionatorio è frutto di una valutazione di merito insindacabile in sede di legittimità pur dovendo sempre evidentemente il giudice dare conto dei criteri seguiti.
La graduazione della pena, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, il quale, per assolvere al relativo obbligo di motivazione, è sufficiente che dia conto dell’impiego dei criteri di cui all’art. 133 cod. pen. con espressioni del tipo: “pena congrua”, “pena equa” o “congruo aumento”, come pure con il richiamo alla gravità del reato o alla capacità a delinquere, essendo, invece, necessaria una specifica e dettagliata spiegazione del ragionamento seguito soltanto quando la pena sia di gran lunga superiore alla misura media di quella edittale ( Sez. 2, n. 36104 del 27/04/2017, Rv. 271243 -01; Sez. 5, n. 46412 dei 05/11/2015, COGNOME, Rv. 265283; Sez. 4, n. 21294 del 20/03/2013, COGNOME, Rv. 256197; Sez. 2, n. 36245 del 26/06/2009, COGNOME, Rv. 245596).
Nella fattispecie la motivazione della sentenza risulta adeguata, avendo la Corte territoriale negato la concessione delle circostanze attenuanti generiche e respinto il motivo di appello volto ad ottenere una riduzione del trattamento sanzionatorio, ritenendo congruo quello irrogato in considerazione della professionalità della condotta criminosa e dei suoi effetti, rapportati alla circostanza di avere la stessa indotto in errore il giudice amministrativo.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Così deciso il 02/04/2025.