Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11815 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11815 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MESSINA il 18/03/1980
avverso la sentenza del 16/01/2023 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Messina, che ha confermato la sentenza di primo grado, con la quale l’imputato era stato ritenuto responsabile del delitto di falsità ideologica;
rilevato che con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denunzia violazione della legge penale e vizi di motivazione in ordine alla valutazione del quadro probatorio operata dalla Corte di merito, lamentando, in particolare, un difetto assoluto della prova in ordine al movente, alla qualità di pubblico ufficiale, allo stesso corpo del reato, essendo inutilizzabile, per violazione dell’art. 266, comma 1, lett. b), cod. proc. pen., l’intercettazione telefonica del 2 settembre 2020 (RIT 351/20 progr. 2195), costituente l’unica prova a carico dell’imputato ed essendo stata omessa la valutazione dell’esame di quest’ultimo in sede di udienza preliminare;
ritenuto che esso, oltre ad essere costituito da mere doglianze in fatto, non sia consentito in sede di legittimità, perché finalizzato a realizzare una rivalutazione o comunque una lettura alternativa delle fonti probatorie, estranee al sindacato di legittimità e avulse da pertinente individuazione di specifici travisamenti delle emergenze processuali valorizzate, in maniera congrua e logica e nell’ambito di una cd. doppia conforme, dai Giudici di merito (si veda, in particolare, la pag. 4 della sentenza impugnata, ove si evidenzia che pacificamente COGNOME non avesse partecipato ai corsi oggetto della certificazione rilasciata dal dott. COGNOME secondo quanto dallo stesso ammesso e secondo quanto ricavabile dall’intercettazione telefonica sopra indicata, pienamente utilizzabile in ragione del regime edittale della pena pervista per il delitto di cui all’art. 479 cod. pen. ascritto all’imputato);
rilevato, altresì, che con il secondo motivo il ricorso deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza della qualifica soggettiva di pubblico ufficiale e, ritenuto, tuttavia, che le argomentazioni difensive sul punto siano sostanzialmente riproduttive di una tesi già smentita dalla Corte di appello, che ha correttamente motivato in ordine all’esistenza di poteri certificativi in capo al concorrente, atteso che i documenti erano stati rilasciati in virtù di quanto stabilito da delibera assessoriale (ovvero da un atto autoritativo nell’accezione dell’art. 357, secondo comma, cod. pen.) e avevano validità nel territorio regionale, nel cui ambito avevano quindi rilevanza giuridica esterna (per la rilevanza ai sensi dell’art. 479 cod. pen. delle false attestazioni di partecipazione ai corsi per alimentaristi v. Sez. 5, n. 7287 del 26/11/2014, dep. 2015, COGNOME, non massimata nonché Sez. 5, n. 20729 del 6/03/2012, COGNOME, non massimata), laddove l’odierno ricorso si è limitato a ribadire, senza peraltro spiegarne adeguatamente le ragioni, che tali poteri non vi fossero, benché l’ente al quale apparteneva il dott. COGNOME che aveva redatto il
certificato di presenza, fosse riconosciuto e accreditato dalla Regione Sicilia per lo svolgimento dei corsi di cui si discute;
rilevato, inoltre, che con il terzo motivo viene censurata la qualificazione giuridica del fatto che, in tesi difensiva, avrebbe dovuto integrare, al più, l’ipotesi prevista dall’art. 480 cod. pen., atteso che l’attestazione riguardante l’imputato sarebbe stata contenuta non in un atto pubblico, quanto in un mero certificato;
ritenuto, nondimeno, che la sentenza impugnata ha correttamente indicato le ragioni della inaccoglibilità della tesi difensiva (ovvero che l’atto contenesse una attestazione originaria delle circostanze in esso rappresentate e segnatamente la frequentazione del corso e il positivo superamento dell’esame finale), rispetto alle quali il ricorso si è limitato a prospettare circostanze del tutto inconferenti (come la periodicità della frequentazione, che risulta comunque attestata unicamente nel documento rilasciato all’imputato) o finanche smentite dalle stesse produzioni difensive (nelle quali si dà atto non dell’inesistenza dell’attestazione, quanto che il documento non è custodito in copia presso il Servizio amministrativo interrogato)
rilevato, ancora, che con il quarto motivo viene dedotta la mancata applicazione della causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis cod. pen. e ritenuto che esso sia inammissibile in quanto meramente contravalutativo, atteso che all’opposto apprezzamento di merito compiuto, sul punto dalla Corte territoriale, il ricorso ha opposto, in maniera apodittica, l’affermazione della modesta gravità del fatto ascritto all’imputato;
rilevato, infine, che con il quinto motivo la Difesa lamenta l’eccessività del trattamento sanzionatorio e ritenuto che esso sia inammissibile, essendo stato argomentato a partire dalla ipotetica riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 480 cod. pen., come detto manifestamente infondata, laddove la corretta sussunzione di esso nella fattispecie prevista dall’art. 479 cod. pen. ha condotto, come puntualmente spiegato dalla Corte territoriale, all’applicazione di una pena inferiore al minimo edittale;
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
ritenuto che, pertanto, non possa essere dichiarata l’improcedibilità dell’azione penale ai sensi dell’art. 344-bis, comma 2, cod. proc. pen., atteso che, pur essendo
spirato il termine di un anno decorrente dal momento indicato dal comma 3 del citato articolo, ovvero dalla scadenza del termine previsto dall’art. 544 cod. proc. pen. per il deposito della sentenza, l’inammissibilità del ricorso per cassazione, precludendo la costituzione di un valido rapporto processuale, impedisce la declaratoria di improcedibilità del giudizio per superamento del termine di durata massima di un anno previsto dalla citata disposizione, introdotta dall’art. 2, comma 2, lett. a), legge 27 settembre 2021, n. 134 (così Sez. 7, n. 43883 del 19/11/2021, COGNOME, Rv. 283043 – 01).
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 26 febbraio 2025.