Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35642 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35642 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a MARSALA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 27/10/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo del difensore, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e vizio di motivazione in ordine all’accertamento della sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo richiesto per la configurabilità del reato di cui all’art. 95 D.P.R. 115/2002.
Chiede, pertanto, annullarsi la sentenza impugnata.
Il motivo in questione non è consentito dalla legge in sede di legittimità perché è riproduttivo di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito e non è scandito da necessaria critica analisi delle argomentazioni poste a base della decisione impugnata ed è privo della puntuale enunciazione delle ragioni di diritto giustificanti il ricorso e de correlati congrui riferimenti alla motivazione dell’atto impugnato (sul contenuto essenziale dell’atto d’impugnazione, in motivazione, Sez. 6 n. 8700 del 21/1/2013, Rv. 254584; Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268822, sui motivi d’appello, ma i cui principi possono applicarsi anche al ricorso per cassazione).
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
In ordine all’elemento soggettivo del reato di cui all’imputazione va ricordato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 37144 del 05/06/2019, Bonelli, Rv. 277129). Inoltre, ai fini della integrazione del reato di cui all’art. 95 cit., in caso di effettiva sussisten delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, non è sufficiente che l’istanza contenga falsità od omissioni, dovendo il giudice procedere ad una rigorosa verifica dell’elemento soggettivo del reato, al fine di escludere l’eventuale inutilità del falso (Sez. 4, n. 7192 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 272192; Sez. 4, n. 45786 del 04/05/2017, COGNOME, Rv. 271051).
3.1. Ebbene, i giudici del gravame del merito hanno operato un corretto governo dei principi giuridici sopra richiamati, in quanto, con motivazione del tutto
congrua e non contraddittoria, coerente coi principi affermati in sede di legittimità, con la quale il ricorrente non si confronta criticamente, hanno dato adeguatamente conto degli elementi sui quali si fonda l’accertamento dell’elemento soggettivo del reato e, dunque, la responsabilità penale dell’imputato.
L’imputato, infatti, ha indicato un reddito pari a zero, pur avendo percepito nell’anno di imposta 2019 il suo nucleo familiare un reddito pari ad euro 15.086,00 (comprensivo sia del suo reddito da lavoro dipendente che dei redditi da pensione e del reddito di cittadinanza percepiti dal padre), superiore al limite soglia per accedere al chiesto beneficio, fraudolentemente ottenuto.
In ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo la Corte ha motivatamente escluso la sussistenza di un errore di fatto del COGNOME – rilevante ai sensi dell’art. 47, comma 3, cod. pen. per escludere il dolo – ed ha evidenziato come l’imputato abbia fatto riferimento nell’istanza al “reddito risultante dall’ultima dichiarazione” e che la somma effettivamente percepita avrebbe escluso l’ammissione al gratuito patrocinio per il superamento del reddito previsto.
A fronte di ciò, il ricorrente si limita a reiterare, in modo del tutto generico ed aspecifico, anche in questa sede di legittimità, le censure precedentemente prospettate, parlando di un errata conoscenza dei redditi dei propri familiari, ignorando la provata circostanza che il COGNOME ha omesso di riferire anche 4155 di reddito proprio da lavoro dipendente.
Il ricorso, dunque, non apporta elementi concreti per disarticolare l’apparato argomentativo della sentenza impugnata e si palesa inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 17/09/2024