Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 33296 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 33296 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 14/03/2024
SENTENZA
vista la richiesta di rimessione proposta da: COGNOME NOME nato a LAVAGNA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 11/10/2023 della CORTE APPELLO di GENOVA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Procuratore generale, NOME COGNOME, che ha concluso udito il Sostituto chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso.
udito il difensore
AVV_NOTAIO‘AVV_NOTAIO COGNOME che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con la sentenza in preambolo, la Corte di appello di Genova – in parziale riforma di quella del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale della stess città – ha confermato l’affermazione di responsabilità di NOME COGNOME per i reati d cui agli artt. 12, commi 1, 3 let. d) e 3-ter l t. b), d.lgs. n. 286 del 1998 e 497bis cod. pen., tuttavia riducendo l’ordinaria pena inflitta a quella di un anno, t mesi di reclusione ed euro 10.500,00 di multa.
Avverso detta sentenza COGNOME, per mezzo del proprio difensore di fiducia, ricorre per cassazione, affidando il ricorso a sette motivi di doglianza.
2.1. Con il primo, deduce violazione di legge processuale e vizio di motivazione in punto di erroneo ascolto dei testi NOME COGNOME e NOME COGNOME ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.
Trattandosi d’imputati nel medesimo procedimento, la cui posizione processuale era stata separata e non ancora definita (come allegato dalla difesa nei motivi di appello), si sarebbe dovuta applicare la disposizione dì cui all’ar 197-bis cod. proc. pen., con avviso della facoltà di non rispondere, laddove costoro erano ascoltati ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen. e, dunque, obbligat a rispondere.
2.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione dell’art. 468 cod. proc. pen, in punto di rigetto dell’eccezione di tardività del deposito della lista del Pubbl ministero.
Ritiene la difesa che «non si rilevano interpretazioni sostanzialistiche dell norma in parola che permettano di discostarsi dal dettato normativo», negletto dal Giudice di merito.
2.3. Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione in punto di identificazione dell’imputata come colei che era presente nell’autovettura di NOME COGNOME al momento in cui erano ascoltate le conversazioni captate in ambientale.
La difesa richiama quanto dedotto con i motivi di appello, quando aveva rilevato la scarsa plausibilità del riconoscimento, eseguito mediante comparazione delle foto scattate dagli investigatori in occasione degli appostamenti con quella del cartellino foto segnaletico di NOME COGNOME. Ciò anche alla luce del tenore della risposta fornita dal teste di Polizia giudiziaria ch domanda sul punto, aveva affermato che la comparazione era avvenuta “per quanto possibile”. A tale doglianza la Corte territoriale avrebbe risposto compiendo un non consentito salto logico.
2.4. Con il quarto motivo deduce l’omessa motivazione in punto di falsità del documento d’identità.
A fronte di specifiche e puntuali critiche nei riguardi della sentenza di prim grado, il Giudice di appello si sarebbe limitato a ribadire la correttezza del argomentazioni ivi svolte, facendovi un complessivo rinvio e, in tale modo, rendendo una motivazione meramente apparente.
2.5. Con il quinto motivo deduce travisamento della prova laddove si afferma il sequestro della carta d’identità nel corso della perquisizion domiciliare.
Il documento è stato spontaneamente consegnato nella fase delle indagini da NOME che lo deteneva fisicamente, com’è attestato dal verbale del Commissariato di Polizia di Stato di Rapallo.
Il travisamento della prova risiederebbe nell’omessa valutazione del comportamento collaborativo dell’imputato, (all’epoca indagata) che si riverbererebbe sull’elemento psicologico: è, infatti, illogico ritenere che l’aut dei gravissimi reati contestati abbia tenuto con sé il documento contraffatto, consegnandolo spontaneamente ai militari per la sua identificazione.
2.6. Il sesto motivo concerne l’assenza di motivazione in punto di identificazione dell’imputata, sotto il profilo delle contraddizioni emer dall’istruttoria dibattimentale.
Come rilevato nell’atto di appello, l’unica fotografia disponibile dell’imputa e quella ripresa di spalle e a notevole distanza, tale da rendere di fat impossibile riconoscere la persona di sesso femminile ivi ritratta.
Su tale elemento critico dedotto, il Giudice di secondo grado non ha fornito alcuna motivazione.
2.7. Con l’ultimo motivo è lamentata la violazione dell’art. 62 -bis cod. pen. e correlato vizio di motivazione.
Il riconoscimento del beneficio ben può essere negato, ma il diniego dev’essere adeguatamente motivato; ciò che non sarebbe avvenuto nel caso che ci occupa, avendo il Giudice di appello trascurato il riferimento all «incensuratezza, alla giovane età e alle condizioni personali e familiari» dell’imputata.
Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME, ha concluso chiedendo la declaratoria d’inammissibilità del ricorso
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, che deduce censure non consentite ovvero manifestamente infondate, dev’essere dichiarato inammissibile.
Il primo motivo non è consentito poiché riproduttivo di analoga censura prospettata con l’atto di appello e adeguatamente superata con motivazione non manifestamente illogica dalla Corte territoriale e, comunque, manifestamente infondato.
Il ricorrente lamenta, invero, che i testi COGNOME e COGNOME avrebbero dovuto essere escussi ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., e che invece sono stati sentiti ai sensi dell’art. 210 cod. proc. pen.
L’affermazione è contraria alle risultanze in atti, posto che – come correttamente evidenziato dal Giudice di appello, che ha richiamato l’ordinanza del Tribunale (p. 3 e 4) – i testi sono stati sentiti proprio ai sensi dell’art. 197-bis cod. proc. pen., per le esatte ragioni evidenziate dai Giudici di merito, ovverosia che costoro sono stati condannati per alcuni reati dell’originario, comune procedimento penale con sentenza passata in giudicato e con sentenza non ancora definitiva per altri reati, ma che tra tali reati vi è connessione; ragi per la quale essi sono stati interrogati e hanno ricevuto gli avvisi di cui all’art cod. proc. pen.
Si tratta di motivazione perfettamente in linea con il principio affermato i sede di legittimità secondo cui «L’imputato di reato collegato ex art. 371, comma 2, lett. b), cod. proc. pen. può essere esaminato in qualità di testimone assistito con le forme di cui all’art. 197-bis cod. proc. pen., senza necessità di procedere agli avvisi previsti dall’art. 64 cod. proc. pen., nel caso in cui abbia già reso, in precedenza, dichiarazioni sulla responsabilità di altri, non avvalendosi, per libera scelta, della facoltà di non rispondere. (In motivazione, la Corte ha precisato che, in tali casi, viene in rilievo il disposto dell’art. 210, comma 6, cod. p pen., a termini del quale trovano applicazione le regole sancite dall’art. 197-bi cod. proc. pen, tra le quali non è compresa quella enunciativa del “diritto al silenzio” del testimone, le cui dichiarazioni accusatorie necessitano, invece, di riscontro esterno, giusta il richiamo all’art. 192, comma 3, cod. proc. pen.) (Sez. 2, n. 28265 del 10/05/2023, COGNOME, Rv. 284867).
A tanto il Giudice di appello ha, inoltre, aggiunto la condivisibile e dirimente considerazione che l’affermazione di responsabilità della ricorrente non era fondata su detti contributi dichiarativi, la cui mancanza di decisività rendeva ( rende anche nella presente sede) del tutto ultronea la relativa censura.
Il secondo motivo di ricorso si pone in evidente contrasto con il principio consolidato espresso da questa Corte secondo cui in tema di termine per il deposito della lista testimoniale, nell’ipotesi in cui si è disposto il rinvi dibattimento urgEnz – a NUMERO_DOCUMENTO-à prima che sia esaurita la fase degli atti introduttivi, è consentito il deposito di nuova lista testimoniale, in quanto in tale ipotesi – c comporta l’obbligo del rinnovo della citazione al giudizio di cui tiene luogo, per presenti, l’avviso orale della nuova udienza – le parti riacquistano interamente diritti non esclusi da specifiche disposizioni normative.
Si è, invero, chiarito che «Il termine di presentazione della lista de testimoni per il dibattimento va riferito alla prima udienza di trattazione e no anche alle successive udienze di rinvio; ne consegue che la parte riacquista il diritto di presentare la propria lista soltanto nell’ipotesi in cui il dibattimen stato rinviato a nuovo ruolo o ad udienza fissa prima dell’apertura del dibattimento, ancorché sia dichiarata la contumacia dell’imputato. (Fattispecie in cui la Corte ha censurato la pronuncia impugnata – che aveva ritenuto l’intempestività del deposito antecedente alla udienza di rinvio – in quanto, detto rinvio era stato disposto prima dell’apertura del dibattimento, ancorché il giudice avesse verificato la regolare costituzione dell’imputato dichiarandolo contumace).» (fra molte, Sezione 6, n. 26048 del 17/05/2016, COGNOME, Rv. 266975; Sez. 5, n. 10425 del 28/10/2015, dep. 2016, COGNOME, RV. 267558).
Di tali principi i Giudici di merito hanno fatto corretta applicazione sol che consideri che la prima udienza (12 aprile 2018) era rinvita per nullità dell notifica del decreto di citazione a giudizio, con indicazione dell’udienza del giugno, sicché il deposito – avvenuto il 23 maggio 2018 – era certamente tempestivo.
Il terzo e il sesto motivo, che deducono censure logicamente connesse e che, pertanto, possono essere trattati congiuntamente – sono reiterativi ed aspecifici.
La ricorrente torna a lamentare il vizio di motivazione in punto di esistenza della prova, oltre ogni ragionevole dubbio, della sua presenza nell’autovettura oggetto d’intercettazione ambientale.
Si tratta di censura che la Corte di appello ha superato con motivazione non manifestamente illogica, in conformità con quanto già motivato dal Giudice di primo grado, ponendo in risalto come l’identificazione della donna era avvenuta sulla base: i) della comparazione tra le foto scattate in sede di appostamento e quelle apposte sul cartellino segnaletico dell’imputata; ii) della circostanza che donna interessata nelle conversazioni in auto era chiamata con il nome di battesimo “NOME” (p. 2 sentenza di appello); iii) dell’ulteriore circostanza che
interlocutori, nel corso delle proprie conversazioni, facevano riferimento a carte di identità e al relativo prezzo, laddove dalle indagini era emerso che, in epoca coeva ai fatti, a NOME COGNOME era stata rilasciata una nuova carta d’identità rinnovata su sua richiesta; iv) il fatto che, in sede di perquisizione domiciliare, ricorrente aveva esibito agli investigatori proprio la nuova carta d’identi rilasciata in suo favore, recante la foto originale che risultava essere sta rimossa (evidentemente per applicarne un’altra) e, poi, successivamente malamente ricollocata, ciò che rendeva immediatamente evidente la falsificazione, cui seguiva il sequestro del documento.
Nè si è realizzato alcun travisamento della prova che, ad avviso della difesa, sarebbe costituito dall’avere la Corte di appello omesso di confrontarsi con le contraddizioni probatorie emerse dall’istruttoria dibattimentale in punto d’identificazione dell’imputata attraverso un’unica fotografia, ripresa da notevole distanza, ritratta di spalle.
Si tratta di deduzioni del tutto a-specifiche, assertive e interamente versate in fatto, che non tengono in adeguata considerazione l’articolata motivazione con cui il giudice di secondo grado è giunto a ribadire che la persona presente in auto era l’odierna ricorrente.
4. Il quarto motivo di ricorso è inammissibile sotto più profili.
In primo luogo, deve rilevarsi come le censure ivi contenute svolgano un integrale rinvio «alle criticità della decisione di prime cure, sulla sussistenza elementi disancorata dall’istruttoria dibattimentale, indicate a pagina sett dell’appello».
Già per tale tecnica redazionale il motivo è inammissibile. Com’è noto, invero, in tema di ricorso per cassazione, la censura di omessa valutazione da parte del giudice dell’appello dei motivi articolati con l’atto di gravame oner il ricorrente di specificare il contenuto dell’impugnazione e la decisivi del motivo negletto, al fine di consentire l’autonoma individuazione delle questioni che si assumono non risolte e sulle quali si sollecita il sindacato d legittimità, dovendo l’atto di ricorso contenere la precisa prospettazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto da sottoporre a verifica (Sez. 3, n. 8 del 21/09/2018, dep. 2019, C., Rv. 275853); ciò che il ricorrente non ha fatto.
Sotto altro, dirimente profilo, il motivo è inammissibile perché non consentito, in quanto nell’atto di appello non sono mai state avanzate doglianze in punto di falsità del documento.
In ogni caso, l’avvenuta falsificazione del documento è stata correttamente dedotta dai giudici di merito, come spiegato a p. 10 della sentenza di primo grado, dalla circostanza che le conversazioni captate davar’!o contezza della
circostanza che, una volta fallito il tentativo di far espatriare la donna nazionalità albanese, la carta d’identità era stata restituita a NOME che, difatti, l’aveva esibita in occasione della perquisizione ai militari che osservavano come già anticipato – che la stessa recava la foto di NOME evidentemente precedentemente staccata e successivamente apposta sul documento, oltreché l’assenza del timbro dell’anagrafe.
Tale motivazione, tutt’altro che illogica, sulla scorta della quale i giudic merito hanno dedotto l’avvenuta falsificazione del documento d’identità non è stata in alcun modo avversata dalla ricorrente.
Il quinto motivo che deduce un inesistente travisamento della prova, e del pari manifestamente infondato.
L’informazione, invero, ossia l’avvenuta esibizione della carta d’identità da parte di COGNOME in occasione della perquisizione domiciliare e il successivo sequestro presso gli uffici del Commissariato, è stata infatti riporta correttamente (p. 10 sentenza di primo grado).
A tal fine è sufficiente rilevare che l’assunto fattuale indicato dalla difesa, fine evidente di pervenire all’assenza dell’elemento psicologico del reato di cui s tratta, è inesatto, come emerge dalla lettura del verbale di sequestro del documento d’identità nei riguardi di NOME COGNOME in data 12 dicembre 2016, ove si dà atto che la consegna della carta d’identità in questione non avvenne spontaneamente, come sostenuto nel ricorso, bensì solo dopo che la stessa, presentatasi per attestare la sua identità presso gli uffici del commissariato d pubblica sicurezza, aveva dovuto porre in visione un documento con evidenti anomalie. Del resto, neppure la Corte d’appello ha sostenuto che il sequestro era avvenuto durante la perquisizione domiciliare, ma «subito dopo», ovvero nello stesso giorno, poche ore dopo la perquisizione locale.
Da ultimo, con riferimento al motivo riguardante il diniego delle circostanze attenuanti generiche, osserva il Collegio che le sentenze di merito hanno esaurientemente motivato sull’assenza d’indici giustificativi favorevoli, e tali argomentazioni costituiscono la ragione, e segnano al tempo stesso il limite, di siffatto riconoscimento, in una materia (il giudizio di comparazione tr circostanze) che involge l’esercizio di valutazioni discrezionali tipicamente di merito, che, per pacifico indirizzo (Sez. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; Sez. 2, n. 31543 del 08/06/2017, COGNOME, Rv. 270450), sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o ragionamento illogico e siano sorrette, come nella specie, da sufficiente complessiva illustrazione, segnatamente a p. 23 della sentenza di primo grado,
(laddove è, invece, riconosciuta alla ricorrente l’ipotesi di cui all’art. 114 c pen.) e a p. 3 di quella della Corte di appello.
Come anticipato, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e per i profili di colpa connessi all’irritualità dell’impugnazione (Corte cost. n. del 2000) – di una somma in favore della Cassa delle ammende che si stima equo determinare, in rapporto alle questioni dedotte, in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 14 marzo 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidee