Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 18838 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 5 Num. 18838 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ALESSANDRIA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/11/2023 del TRIB. LIBERTA’ di GENOVA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME:I;
lette la requisitoria e le conclusioni del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso;
lette le memorie depositate dall’AVV_NOTAIO nell’interesse del ricorrente, in data 16 gennaio 2024 e 8 febbraio 2024 con i quali, anche in replica alla Procura AVV_NOTAIO, chiede accogliersi il ricorso, allegando documentazione.
RITENUTO :IEN FATTO
Con la decisione indicata in epigrafe, il Tribunale del riesame di Genova ha confermato l’ordinanza emessa dal G.i.p del Tribunale di Savona in data 20 ottobre 2023, con la quale era stata disposta, nei confronti di NOME COGNOME, attuale ricorrente, la misura cautelare degli arresti domiciliari con divieto di comunicazione, in relazione al delitto previsto dagli artt. 81, comma 2, 476, comma 2, 479 cod. pen., per avere concorso, quale titolare dell’RAGIONE_SOCIALE, con NOME COGNOME, medico legale dipendente della RAGIONE_SOCIALE,
nella falsificazione dei referti necroscopici relativamente a plurimi decessi senza alcuna visita.
Il ricorso per cassazione proposto nell’interesse di NOME COGNOME consta di un unico articolato motivo, enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione, secondo quanto disposto dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
Lamenta il ricorrente carenza e vizio di motivazione sia in ordine ai gravi indizi di colpevolezza che quanto alle esigenze cautelari.
Quanto al primo profilo ravvisa il ricorrente omessa motivazione dell’ordinanza impugnata rispetto ai motivi di riesame, che avevano evidenziato come COGNOME non aveva concorso nel reato proprio, pur essendo però ignaro della circostanza che la dottoressa COGNOME non avesse provveduto alla visita necroscopica, tanto più che quest’ultima in sede di interrogatorio chiariva di aver svolto ogni volta la visita necroscopica, al più dopo la stesura del certificato.
La dettatura di alcuni dati quanto al deceduto da parte di COGNOME al RAGIONE_SOCIALE sarebbe risultata, quindi, solo funzionale ad accelerare i tempi, non risultando neanche nel caso in esame che COGNOME, quale privato, avesse fornito false dichiarazioni al pubblico ufficiale ex art. 483 cod. pen.
Per altro il delitto risulterebbe integrare comunque un falso inoffensivo.
Quanto alle esigenze cautelari risulterebbe sproporzionata la misura domiciliare applicata a COGNOME rispetto a quella interdittiva, applicata alla coindagata COGNOME, valorizzando un precedente procedimento con misura cautelare risalente a tre anni prima e mai giunto a giudizio.
Il Pubblico ministero, nella persona del AVV_NOTAIO, ha depositato requisitoria e conclusioni scritte – ai sensi dell’art. 23 comma 8, dl. 127 del 2020 – con le quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.
Il ricorso è stato trattato senza intervento delle parti, ai sensi dell’art. 23 comma 8, d.l. n. 137 del 2020, disciplina prorogata sino al 31 dicembre 2022 per effetto dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 105 del 2021, la cui vigenza è stata poi estesa in relazione alla trattazione dei ricorsi proposti entro il 30 giugno 2023 dall’articolo 94 del decreto legislativo 10 ottobre 2022 n. 150, come modificato dall’art. 5duodecies d.l. 31 ottobre 2022, n. 162, convertito con modificazioni dalla I. 30 dicembre 2022, n. 199, nonché entro il 30 giugno 2024 ai sensi dell’art. 11, comma 7, del dl. 30 dicembre 2023, n. 215.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso è complessivamente infondato.
Pacifico è l’orientamento che, a partire da Sezioni Unite n. 11 del 22/3/2000, Audino, Rv. 215828, in tema di misure cautelari personali, a fronte di un ricorso per cassazione per vizio di motivazione del provvedimento emesso dal tribunale del riesame, in ordine alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, ne definisce così l’ambito di delibazione. La Corte ha il compito di verificare, in relazione alla peculiare natura del giudizio di legittimità e ai limiti che ad esso ineriscono, se il giudice di merito abbia dato adeguatamente conto delle ragioni che l’hanno indotto ad affermare la gravità del quadro indiziario a carico dell’indagato, controllando la congruenza della motivazione riguardante la valutazione degli elementi indizianti, rispetto ai canoni della logica e ai principi d diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (nello stesso senso, Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, COGNOME, Rv. 237012; Sez. F., n. 47748 del 11/08/2014, COGNOME, Rv. 261400; Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013, NOME, Rv. 255460; Sez. 2, Sentenza n. 27866 del 17/06/2019, COGNOME, Rv. 276976).
Va anche evidenziato come questo Collegio aderisca all’orientamento autorevole di Sez. U, COGNOME: «Il quadro di gravità indiziaria ai fini cautelari, concetto differente da quello enunciato nell’art. 192/2 c.p.p., che allude alla c.d. prova logica o critica, ha, sotto il profilo gnoseologico, una propria autonomia, non rappresenta altro che l’insieme degli elementi conoscitivi, sia di natura rappresentativa che logica, la cui valenza è strumentale alla decisione de libertate, rimane delimitato dai confini di questa e non si proietta necessariamente nel diverso e futuro contesto dibattimentale relativo al definitivo giudizio di merito» (Sez. U, n. 36267 del 30/05/2006, COGNOME, Rv. 234598).
Pertanto, la delibazione attuale è funzionale alla verifica della tenuta logica del provvedimento cautelare di secondo grado, in relazione alla gravità indiziaria nei termini di qualificata probabilità di colpevolezza, nella prospettiva da ultimo evidenziata.
Quanto alla gravità indiziaria, il Tribunale del riesame ha dato conto in maniera puntuale, e per ogni deceduto, delle emergenze investigative dalle quali risulta che COGNOME, quale socio della RAGIONE_SOCIALE di RAGIONE_SOCIALE, contattava la dottoressa COGNOME facendola giungere presso i propri uffici per la redazione del certificato necroscopico.
A ben vedere, la ricostruzione degli eventi da parte del ricorrente non si confronta con la circostanza che non solo le conversazioni telefoniche, ma anche
l’attività di osservazione da parte della polizia giudiziaria e la dichiarazione del coindagato NOME integrano la gravità indiziaria. NOME, in particolare, gestiva l’RAGIONE_SOCIALE funebre quale delegato in Cenate e aveva affermato che era regola, condivisa e nota, che NOME redigesse il referto senza visita della salma, che avveniva solo in caso eccezionali.
Pertanto, questo ultimo elemento, in uno al tenore delle conversazioni telefoniche e alle attività di osservazione, rendono il motivo di ricorso sul punto e in precedenza quella mossa con i motivi di riesame tendente a sostenere la inconsapevolezza di COGNOME, capo del COGNOME – del tutto aspecifica, in quanto le censure non si confrontano con l’intera motivazione dell’ordinanza impugnata.
Quanto, poi, al tema della qualificazione giuridica, il Tribunale del riesame fa buona applicazione della giurisprudenza consolidatasi sul punto.
Invero, l’art. 74 del D.P.R. n. 396 del 2000 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della legge 15 maggio 1997, n. 127) stabilisce che «1. Non si può far luogo ad inumazione o tumulazione di un cadavere senza la preventiva autorizzazione dell’ufficiale dello stato civile, da rilasciare in cala semplice e senza spesa. 2. L’ufficiale dello stato civile non può accordare l’autorizzazione se non sono trascorse ventiquattro ore dalla morte, salvi i casi espressi nei regolamenti speciali, e dopo che egli si è accertato della morte medesima per mezzo di un medico necroscopo o di un altro delegato RAGIONE_SOCIALE; questi deve rilasciare un certificato scritto della visita fatta nel quale, se del caso, deve indicare la esistenza di indizi di morte dipendente da reato o di morte violenta. Il certificato è annotato negli archivi di cui all’articolo 10».
E bene, è evidente che la normativa richieda l’espletamento della visita – con finalità di accertare la morte, ma anche di indicare eventuali indizi di morte dipendente da reato o di morte violenta – da parte del medico necroscopo.
A tal proposito, è stato affermato che il medico necroscopo è pubblico ufficiale, in quanto agisce come delegato dell’ufficiale dello stato civile.
Nella giurisprudenza di questa Corte è pertanto indiscusso che il certificato redatto dal medico delegato dell’ufficiale dello stato civile è atto pubblico, perché proviene da un pubblico ufficiale e attesta fatti di sua diretta percezione, relativi all’effettività del decesso e all’esistenza di indizi di reato o comunque di violenza (Sez. 5, n. 36778 del 10/10/2006, COGNOME, Rv. 235011 – 01, in fattispecie in tema di attestazione, da parte di medici curanti, dell’ora e luogo del decesso di pazienti, invece non sottoposti a visita dopo la morte; la prDnuncia richiamata rinvia anche a Sez. 5, 13 maggio 1998, COGNOME, Rv. 211363; Sez. 5, 25 gennaio 1989, COGNOME, Rv.181708).
Pertanto, correttamente giunge a tali conclusioni il Tribunale del riesame, per altro distinguendo proprio la motivazione di Sez. 5, COGNOME il caso del medico curante dal caso del medico necroforo.
In particolare la COGNOME, per i decessi indicati nell’imputazione provvisoria, non è medico curante. E bene in ordine al momento e alle cause della morte – come risultano dall’attività sanitaria espletata prima del decesso – il certificato redatt è qualificabile come atto pubblico soltanto se il RAGIONE_SOCIALE opera all’interno di una struttura pubblica e se, con tale atto, concorre a formare la volontà della RAGIONE_SOCIALE in materia di assistenza sanitaria o esercita in sua vece poteri autorizzativi e certificativi: in questi casi, infatti, il medico opera come pubblico ufficiale.
Qualora invece il medico curante, nell’immediatezza dell’evento, rilasci il certificato di morte, non destinato all’utilizzazione da parte dell’ufficiale dello stat civile, egli opera come semplice esercente una professione sanitaria, essendo indifferente che egli sia anche un funzionario del Servizio RAGIONE_SOCIALE nazionale.
Ne consegue che, in caso di falsità ideologica del certificato, il reato ipotizzabile è quello di cui all’art. 481 cod. pen., la cui pena edittale è preclusiva dell’applicazione di misure cautelari, anche soltanto interdittive
Ma per le ragioni evidenziate nell’ordinanza impugnata, COGNOME non era medico curante e agiva proprio concorrendo alla volontà della pubblica amministrazione. Ne consegue, sotto tale profilo, la manifesta infondatezza della doglianza.
Quanto alle esigenze cautelari, il Tribunale del riesame trae, in sintonia con gli orientamenti consolidati di questa Corte, la prova della concreta probabilità di reiterazione dalle condotte esaminate, dalle modalità della condotta, caratterizzata per il Tribunale del riesame da gravità, in ragione della natura violenta di alcuni decessi per i quali la visita non era stata effettuata, in palese violazione della funzione della medesima; nonché, per la sussistenza di un procedimento relativo al ricorrente che aveva ad oggetto reati analoghi e aveva determinato applicazione di altra misura cautelare.
Quanto al primo profilo si tratta di una motivazione oltremodo adeguata, poiché l’esigenza cautelare indicata può trarsi anche solo dalla gravità della condotta.
Difatti, il testo dell’art. 274, comma 1, lett. b) e c) cod. proc. pen., risultan dalle modifiche apportate dalla legge n. 47 del 2015, se non consente di desumere il pericolo di fuga e di recidiva esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per il quale si procede, non osta alla considerazione, ai fini cautelari, della concreta condotta perpetrata e delle circostanze che la connotano, in quanto la modalità della condotta e le circostanze di fatto in presenza delle quali essa si è svolta restano concreti elementi di valutazione imprescindibili per effettuare una prognosi
di probabile ricaduta del soggetto nella commissione di ulteriori reati (Sez. 5, n. 49038 del 14/06/2017, COGNOME, Rv. 271522 – 0; Sez. 1, n. 37839 del 02/03/2016, COGNOME, Rv. 267798 – 01).
Quanto al secondo profilo, la circostanza che non vi sia stato un giudizio, in ordine al precedente procedimento che aveva condotto alla custodia cautelare in carcere per corruzione e per rivelazione di segreto, nor ne elide il valore sintomatico della inclinazione alla recidiva, dimostrata con le condotte in esame nonostante il precedente provvedimento restrittivo.
D’altro canto, il Tribunale del riesame evidenzia come la condotta di COGNOME assuma i connotati di abitualità, di routine, come osserva la Procura AVV_NOTAIO, oltre che una inclinazione anche ad avvalersi dei propri collaboratori per le pratiche di reato.
Tale complessiva motivazione consente di non rilevare violazioni di legge e manifeste illogicità, anche in relazione alla misura interdittiva applicata alla coindagata COGNOME. La doglianza è generica sul punto, non essendo indicate l’esistenza o meno di precedenti penali per quest’ultima, dovendosi per altro tener in conto la diversità dei due ambiti di attività, che rendono diversamente neutralizzabile il pericolo di reiterazione, tanto più che nel caso di COGNOME la maggiore intensità dell’esigenza cautelare fonda in sé sulla peculiare esistenza di plurimi indicatori (abitualità per la pluralità degli episodi nel oggetto del presente procedimento, precedente procedimento, gravità delle condotte e pervicace coinvolgimento anche di terzi).
Ne consegue il complessivo rigetto del ricorso, con condanna alle spese processuali del ricorrente.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, 13/02/2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente