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False generalità: quando scatta il reato art. 495 c.p.

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per aver fornito false generalità ai Carabinieri durante una perquisizione. La Corte chiarisce che il reato sussiste anche se l’atto pubblico (il verbale) viene redatto in un secondo momento, poiché le dichiarazioni rese sono destinate a confluirvi. Inammissibile anche il motivo sulla mancata concessione delle attenuanti generiche, in quanto non sollevato in appello.

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Pubblicato il 11 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Generalità a Pubblico Ufficiale: Quando è Reato? L’Analisi della Cassazione

Fornire false generalità durante un controllo di polizia è un reato grave, come ribadito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. La decisione chiarisce un punto fondamentale: il reato sussiste anche se il verbale viene redatto in un secondo momento, perché le dichiarazioni sono comunque destinate a confluire in un atto pubblico. Analizziamo insieme questo caso per capire le implicazioni legali di tali comportamenti e i principi procedurali che regolano i ricorsi.

I Fatti del Caso: Un Controllo di Routine Finito in Tribunale

Il caso ha origine da un controllo effettuato dai Carabinieri. Durante una perquisizione personale e veicolare, un cittadino forniva agli agenti delle informazioni non veritiere sulla propria identità. A seguito di ciò, l’uomo veniva processato e condannato sia in primo grado che in appello per il delitto di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità, previsto dall’articolo 495 del codice penale.

Non accettando la condanna, l’imputato decideva di presentare ricorso alla Corte di Cassazione, affidandosi a due principali motivi di contestazione.

I Motivi del Ricorso: Le Obiezioni dell’Imputato

L’imputato ha basato la sua difesa su due argomenti distinti:

1. Violazione dell’art. 495 c.p.: Secondo la difesa, le false generalità non erano state rese con l’intenzione che fossero inserite in un atto pubblico. Il verbale della perquisizione, infatti, era stato materialmente redatto solo in un secondo momento, presso la caserma dei Carabinieri. Di conseguenza, mancava un elemento essenziale del reato.
2. Mancata concessione delle attenuanti generiche: Il ricorrente lamentava che i giudici di merito non avessero riconosciuto a suo favore le circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena.

La Decisione della Corte sul Reato di False Generalità

La Corte di Cassazione ha rigettato il primo motivo, definendolo ‘manifestamente infondato’. I giudici hanno chiarito un principio cruciale: per la configurazione del reato di cui all’art. 495 c.p., ciò che conta è la destinazione delle dichiarazioni, non il momento esatto in cui l’atto pubblico viene fisicamente compilato. Le false generalità sono state fornite nel contesto di un’operazione di polizia (la perquisizione) che per sua natura sfocia nella redazione di un verbale. Quest’ultimo, anche se compilato successivamente in ufficio, ha un valore meramente ‘ricognitivo’, ovvero serve a certificare e documentare ciò che è già accaduto. Pertanto, le dichiarazioni erano oggettivamente destinate ad essere riprodotte in un atto pubblico, integrando così pienamente il reato contestato.

Le Motivazioni: L’Inammissibilità del Secondo Motivo

Per quanto riguarda il secondo motivo, relativo alle attenuanti generiche, la Corte lo ha dichiarato inammissibile. La ragione è prettamente procedurale. La sentenza di primo grado aveva già fornito le motivazioni per cui le attenuanti non venivano concesse. Nel successivo giudizio di appello, la difesa non aveva sollevato una specifica contestazione su questo punto. Di conseguenza, l’argomento non poteva essere introdotto per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. Si tratta di una ‘censura inedita’, ovvero un motivo di doglianza nuovo, non proposto nel precedente grado di giudizio, e come tale non può essere esaminato.

Le Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia

L’ordinanza della Corte di Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, ribadisce con fermezza che mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni è un reato che si perfeziona nel momento stesso della dichiarazione, se questa è destinata a un atto pubblico, indipendentemente da quando tale atto verrà materialmente redatto. In secondo luogo, sottolinea una regola fondamentale del processo: ogni contestazione deve essere sollevata nel grado di giudizio appropriato. Tralasciare un motivo di impugnazione in appello ne preclude la discussione in Cassazione. La decisione finale è stata quindi la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

Quando si configura il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale sull’identità personale?
Il reato si configura nel momento in cui si forniscono informazioni personali non veritiere a un pubblico ufficiale durante l’esercizio delle sue funzioni, qualora tali dichiarazioni siano destinate ad essere inserite in un atto pubblico.

Il reato di false generalità sussiste anche se il verbale di polizia viene scritto in un secondo momento, ad esempio in caserma?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che il reato è perfezionato quando vengono rese le false dichiarazioni. La successiva redazione del verbale ha solo una funzione di formalizzare e registrare eventi già accaduti, quindi la tempistica della sua compilazione è irrilevante.

È possibile contestare per la prima volta in Cassazione la mancata concessione delle attenuanti generiche?
No. Se la questione non è stata specificamente sollevata come motivo di impugnazione nel giudizio di appello, non può essere presentata per la prima volta davanti alla Corte di Cassazione. Un motivo del genere viene considerato ‘inedito’ e, pertanto, dichiarato inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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