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False generalità: quando la testimonianza basta

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per un imputato che aveva fornito false generalità a un pubblico ufficiale, specificando che la testimonianza di un agente di polizia che lo conosceva è una prova valida, senza necessità di una formale ricognizione. Il ricorso del coimputato per favoreggiamento è stato dichiarato inammissibile per genericità dei motivi.

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Pubblicato il 12 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Generalità: La Testimonianza di un Agente Basta per la Condanna

Fornire false generalità a un pubblico ufficiale è un reato che mira a tutelare la corretta attività della pubblica amministrazione. Ma quali prove sono necessarie per accertare l’identità di chi mente? Una recente sentenza della Corte di Cassazione chiarisce che la testimonianza di un agente che conosce l’imputato può essere sufficiente, senza la necessità di una formale ricognizione. Analizziamo insieme questo interessante caso.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria ha origine da un controllo di polizia durante il quale un soggetto, fermato insieme a un amico, dichiarava agli agenti di essere un’altra persona, fornendo le generalità del proprio fratello. Sulla base di questi fatti, il Tribunale lo condannava per i reati di false dichiarazioni sull’identità (art. 496 c.p.) e resistenza a pubblico ufficiale (art. 337 c.p.). Anche il suo compagno veniva condannato, ma per il reato di favoreggiamento personale (art. 378 c.p.).

La Corte d’appello confermava la sentenza di primo grado. Entrambi gli imputati decidevano quindi di ricorrere in Cassazione, sollevando diverse questioni di diritto.

L’Analisi della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato separatamente i ricorsi dei due imputati, giungendo a conclusioni diverse: il rigetto per il primo e l’inammissibilità per il secondo.

La questione delle false generalità e la prova testimoniale

Il ricorrente principale contestava la sua condanna per il reato di false generalità. Secondo la sua difesa, l’identificazione era avvenuta in modo irregolare. Si sosteneva che, poiché l’imputato aveva fornito il nome del fratello, sarebbe stata necessaria una procedura formale di ricognizione (prevista dall’art. 213 c.p.p.) per identificarlo con certezza. Invece, i giudici si erano basati sulla sola testimonianza di uno degli agenti operanti, il quale aveva affermato di conoscere personalmente entrambi i fratelli per motivi d’ufficio.

La Cassazione ha respinto questa tesi, ritenendola infondata. I giudici hanno chiarito che la prova dell’identità di un imputato può essere raggiunta con qualsiasi mezzo, inclusa la testimonianza. Nel caso specifico, la deposizione dell’agente è stata considerata pienamente credibile e attendibile, poiché basata su una conoscenza pregressa e diretta dei due fratelli. La Corte ha sottolineato che la ricognizione è solo uno dei mezzi di prova disponibili e la sua mancata esecuzione non invalida l’identificazione avvenuta tramite altre fonti probatorie, come una testimonianza qualificata.

Il rigetto delle attenuanti generiche

L’imputato si doleva anche della mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche. La Corte di Cassazione ha ritenuto il motivo inammissibile, in quanto generico e manifestamente infondato. La decisione dei giudici di merito di negare le attenuanti era basata su elementi concreti e ben motivati, come il comportamento aggressivo tenuto dall’imputato nei confronti degli agenti e i suoi numerosi precedenti penali. Questi fattori sono stati considerati preponderanti rispetto a qualsiasi elemento a favore.

La dichiarazione di inammissibilità per il favoreggiamento

Il ricorso del secondo imputato, condannato per favoreggiamento, è stato dichiarato inammissibile. I suoi motivi di ricorso sono stati giudicati generici, ipotetici e privi di specificità. La difesa aveva tentato di presentare una ricostruzione alternativa dei fatti, sostenendo che l’imputato non conoscesse le reali generalità del suo amico e che la sua condotta non integrasse il reato.

La Corte ha rilevato come questi argomenti non si confrontassero con la motivazione della sentenza d’appello, che aveva ritenuto inverosimile la mancata conoscenza del nome e cognome di una persona con cui si accompagnava, a bordo della stessa auto e con le rispettive mogli. I motivi del ricorso si limitavano a prospettare un diverso apprezzamento dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità.

Le Motivazioni della Decisione

La decisione della Cassazione si fonda su principi consolidati del diritto processuale penale. In primo luogo, viene ribadito il principio del libero convincimento del giudice, che può formare la propria convinzione sulla base di qualsiasi elemento probatorio, purché legalmente acquisito e logicamente motivato. La testimonianza di un agente di polizia giudiziaria, che per ragioni professionali conosce l’imputato, costituisce una prova piena e sufficiente per l’identificazione.

In secondo luogo, la Corte ha riaffermato la natura del giudizio di legittimità. I ricorsi in Cassazione non possono trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. I motivi devono essere specifici e criticare la sentenza impugnata per vizi di legge o per manifesta illogicità della motivazione, non per proporre una diversa lettura delle prove. I ricorsi che si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già respinte in appello, senza una critica puntuale, sono destinati all’inammissibilità.

Conclusioni

Questa sentenza offre due importanti spunti pratici. Per la difesa, evidenzia che contestare l’identificazione di un imputato richiede argomenti solidi che vadano oltre la semplice richiesta di una ricognizione formale, specialmente quando esistono altre prove testimoniali qualificate. Per l’accusa, conferma che la deposizione precisa e circostanziata di un pubblico ufficiale è uno strumento probatorio di fondamentale importanza. Infine, il caso rammenta che un ricorso in Cassazione deve essere tecnicamente ineccepibile e mirato a censurare vizi specifici della sentenza, pena una declaratoria di inammissibilità con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

La testimonianza di un poliziotto è sufficiente per identificare chi ha fornito false generalità?
Sì, secondo la sentenza, la testimonianza di un agente di polizia giudiziaria che dichiara di conoscere l’imputato per ragioni d’ufficio è un mezzo di prova sufficiente per l’identificazione, senza che sia necessario espletare la procedura formale della ricognizione.

Perché il ricorso dell’imputato per favoreggiamento è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché i motivi erano generici, ipotetici e non si confrontavano specificamente con la logica della sentenza impugnata. In sostanza, il ricorrente ha tentato di ottenere una nuova valutazione dei fatti, cosa non permessa nel giudizio di Cassazione, anziché denunciare vizi di legittimità.

La negazione della propria responsabilità può impedire la concessione delle attenuanti generiche?
La sentenza non basa il diniego delle attenuanti sulla sola negazione della responsabilità (che è un diritto processuale). La Corte ha ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito che hanno negato le attenuanti sulla base di plurimi elementi negativi, come il comportamento aggressivo dell’imputato e i suoi numerosi precedenti penali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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