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False generalità: quando il ricorso è inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di una donna condannata per aver fornito false generalità durante un controllo stradale. La condanna è stata confermata sulla base di un solido quadro indiziario, che includeva dati telefonici, la disponibilità del veicolo e un episodio simile accaduto pochi giorni dopo, rendendo le critiche difensive puramente congetturali.

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Pubblicato il 1 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Generalità: La Cassazione Conferma la Condanna Basata su Indizi

Fornire false generalità a un pubblico ufficiale è un reato che mira a tutelare la corretta attività della Pubblica Amministrazione. Ma cosa succede quando la prova non è diretta e la difesa solleva dubbi sulla ricostruzione dei fatti? Una recente sentenza della Corte di Cassazione, la n. 26125 del 2024, offre chiarimenti cruciali, stabilendo che un quadro indiziario solido e logicamente concatenato è sufficiente a fondare una condanna, rendendo inammissibili i ricorsi basati su mere congetture.

I Fatti del Caso: Un Controllo Stradale e un’Identità Falsa

La vicenda ha origine durante un controllo stradale a Torino. La conducente di un veicolo, fermata dalle forze dell’ordine, dichiarava di essere un’altra persona, fornendo nome e data di nascita di una sua conoscente. A seguito di accertamenti, emergeva la sua vera identità e veniva avviato un procedimento penale per il reato di cui all’art. 495 del codice penale.

Sia il Tribunale di primo grado che la Corte di Appello di Torino confermavano la sua colpevolezza, condannandola a una pena di giustizia. La condanna si basava su una serie di elementi che, nel loro insieme, non lasciavano spazio a dubbi ragionevoli.

Il Ricorso in Cassazione e le motivazioni sulle false generalità

L’imputata, tramite il suo difensore, presentava ricorso in Cassazione, contestando la sentenza d’appello. La difesa sosteneva che non fosse stato accertato con certezza chi, tra le due donne presenti in auto, avesse effettivamente fornito le false generalità. Si ipotizzava un ‘falso ricordo’ da parte degli agenti verbalizzanti, sottolineando anche alcune discrepanze tra l’altezza della ricorrente e quella riportata su un documento. Infine, si faceva notare che il colore dei capelli avrebbe potuto essere cambiato tra il momento del rilascio del passaporto e quello del controllo.

In sostanza, il ricorso mirava a insinuare il dubbio, suggerendo che la ricostruzione operata dai giudici di merito non fosse l’unica possibile e che le prove raccolte non fossero così solide.

La Decisione della Corte: Ricorso Inammissibile

La Suprema Corte ha respinto completamente le argomentazioni della difesa, dichiarando il ricorso inammissibile in quanto ‘meramente esplorativo e congetturale’. Secondo i giudici, la difesa non si era confrontata adeguatamente con la robusta motivazione della sentenza impugnata, limitandosi a formulare critiche generiche e ipotetiche.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte di Cassazione ha evidenziato come la decisione dei giudici di merito fosse fondata su un complesso di argomentazioni logicamente concatenate e inattaccabili. Gli elementi chiave che costituivano il quadro indiziario a carico dell’imputata erano molteplici e convergenti:

1. Disponibilità del Veicolo: L’auto era nella disponibilità della ricorrente e di suo fratello.
2. Dati Telefonici: L’analisi dei tabulati telefonici collocava il cellulare dell’imputata nella zona del controllo stradale il giorno del fatto.
3. Comportamento Reiterato: Pochi giorni dopo il primo episodio, la stessa donna veniva nuovamente fermata alla guida della medesima auto per eccesso di velocità. Anche in questa occasione, dichiarava inizialmente le generalità della stessa conoscente, per poi esibire, infine, i suoi veri documenti.
4. Conoscenza della Persona Offesa: Il nominativo falso fornito corrispondeva a una persona realmente esistente e conosciuta dall’imputata.

Queste circostanze, valutate nel loro insieme, rendevano la conclusione della colpevolezza logicamente fondata. Le critiche della difesa, relative a possibili errori di memoria degli agenti o a dettagli fisici come il colore dei capelli, sono state ritenute del tutto ininfluenti e incapaci di scalfire la coerenza del quadro probatorio.

Le Conclusioni

La sentenza in esame ribadisce un principio fondamentale del processo penale: la prova di un reato può essere raggiunta anche attraverso indizi, a condizione che questi siano gravi, precisi e concordanti. Un ricorso in Cassazione non può limitarsi a proporre una lettura alternativa dei fatti o a sollevare dubbi astratti, ma deve individuare vizi logici o giuridici specifici nella motivazione della sentenza impugnata. Quando, come in questo caso, la decisione si basa su una valutazione complessiva e coerente di molteplici elementi indiziari, le critiche puramente congetturali sono destinate all’inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È possibile essere condannati per aver fornito false generalità anche se non c’è una prova diretta, come una confessione?
Sì, la sentenza dimostra che una condanna può basarsi su un complesso di prove indiziarie gravi, precise e concordanti. Nel caso specifico, dati telefonici, la disponibilità dell’auto e un comportamento simile ripetuto a breve distanza di tempo sono stati ritenuti sufficienti.

Piccole incongruenze nelle descrizioni dei testimoni possono invalidare una condanna?
No, secondo la Corte, critiche su dettagli minori come il ricordo impreciso delle fattezze fisiche o il colore dei capelli (che può essere modificato) non sono sufficienti a smontare un impianto accusatorio fondato su argomentazioni logiche e prove indiziarie concatenate.

Cosa rende un ricorso in Cassazione inammissibile in un caso di false generalità?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché ritenuto ‘meramente esplorativo e congetturale’. La difesa non si è confrontata compiutamente con il complesso delle argomentazioni logiche della sentenza d’appello, ma si è limitata a sollevare dubbi ipotetici senza intaccare la solidità del quadro probatorio.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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