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False generalità: quando il reato è più grave?

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per aver fornito false generalità ai carabinieri dopo essere stato arrestato per furto. La Corte ha stabilito che la condotta, finalizzata a sottrarsi alle proprie responsabilità, è di particolare gravità e non può beneficiare della causa di non punibilità per tenuità del fatto. La richiesta di riqualificare il reato è stata respinta per genericità.

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Pubblicato il 24 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False generalità: la Cassazione conferma la condanna

Fornire false generalità a un pubblico ufficiale è un reato che può avere conseguenze significative, specialmente se commesso in un contesto di pregressa attività criminale. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito la gravità di tale condotta, dichiarando inammissibile il ricorso di un uomo che, dopo un arresto per furto, aveva mentito sulla propria identità ai carabinieri.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dalla condanna di un individuo, confermata in primo e secondo grado, per il reato di cui all’art. 495 del codice penale. L’imputato era stato arrestato per furto e, al momento dell’identificazione da parte dei carabinieri, aveva fornito dati personali non veritieri.

L’uomo ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su tre motivi principali:
1. La richiesta di riqualificare il reato in una fattispecie meno grave (art. 496 c.p.), sostenendo che il possesso di un documento d’identità valido al momento dei fatti dovesse cambiare l’inquadramento giuridico.
2. La presunta illogicità della motivazione della Corte d’Appello, che aveva escluso la riqualificazione poiché le false dichiarazioni erano state trascritte in un atto pubblico.
3. La mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, prevista dall’art. 131-bis c.p.

L’analisi della Corte e la gravità delle false generalità

La Corte di Cassazione ha rigettato completamente le argomentazioni del ricorrente, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici hanno ritenuto i primi due motivi generici e non idonei a confutare le corrette argomentazioni giuridiche della sentenza d’appello.

L’inapplicabilità della particolare tenuità del fatto

Il punto centrale della decisione riguarda il terzo motivo, ovvero la richiesta di applicare l’art. 131-bis del codice penale. La Corte ha definito questa doglianza “manifestamente infondata”.

La ragione di tale rigetto risiede nella valutazione del contesto in cui il reato è stato commesso. Il Giudice di appello aveva correttamente sottolineato la “particolare gravità del reato”. L’imputato, infatti, aveva fornito le false generalità non per una semplice leggerezza, ma con il preciso scopo di sottrarsi alle proprie responsabilità penali a seguito di un arresto per furto. Questo comportamento ostruzionistico nei confronti della giustizia è stato considerato un fattore aggravante che esclude la possibilità di qualificare l’offesa come “tenue”.

Le conseguenze dell’inammissibilità

A seguito della dichiarazione di inammissibilità del ricorso, la Suprema Corte ha condannato il ricorrente non solo al pagamento delle spese processuali, ma anche al versamento di una somma di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

Le motivazioni

La decisione della Cassazione si fonda su un principio chiaro: la valutazione della gravità di un reato non può prescindere dal contesto e dalle finalità della condotta dell’agente. Nel caso di specie, le false generalità sono state fornite per ostacolare l’accertamento di un altro e più grave reato. La Corte ha ritenuto che i motivi del ricorso fossero generici perché non si confrontavano adeguatamente con la logica giuridica della decisione impugnata, che aveva già correttamente evidenziato come la trascrizione delle false dichiarazioni in un atto pubblico rafforzasse la configurabilità del reato contestato. La particolare gravità del fatto, finalizzato a eludere le conseguenze di un arresto per furto, è stata la ragione determinante per escludere l’applicazione dell’art. 131-bis c.p., rendendo il relativo motivo di ricorso manifestamente infondato.

Le conclusioni

Questa ordinanza conferma un orientamento rigoroso della giurisprudenza. Mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale per sfuggire alla giustizia è una condotta che non può essere considerata di lieve entità. La decisione sottolinea che il tentativo di depistare le autorità dopo la commissione di un reato aggrava la posizione dell’imputato, precludendogli l’accesso a benefici come la non punibilità per particolare tenuità del fatto. La pronuncia serve da monito sull’importanza della lealtà e della correttezza nei rapporti con le istituzioni, anche e soprattutto in momenti di accertamento della responsabilità penale.

Fornire false generalità a un carabiniere è sempre un reato grave?
Sì, secondo questa ordinanza, la gravità è accentuata quando la condotta è finalizzata a sottrarsi alle proprie responsabilità per un altro reato, come un furto. In tale contesto, il fatto non può essere considerato di “particolare tenuità”.

È possibile ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) se si forniscono false generalità?
No, non in un caso come questo. La Corte ha stabilito che la particolare gravità del reato, commesso dall’imputato per sfuggire alle conseguenze di un arresto per furto, impedisce l’applicazione di tale causa di non punibilità.

Qual è la conseguenza se un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la condanna diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente è condannato al pagamento delle spese del procedimento e di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende, che in questo caso è stata fissata a 3.000 euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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