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False generalità: assoluzione se si rettifica subito

Un cittadino fornisce false generalità alla polizia ma le corregge poco dopo in Questura. La Corte di Cassazione ha confermato l’assoluzione, stabilendo che se la rettifica avviene in un contesto unitario di accertamento dell’identità, il reato non sussiste perché la condotta iniziale perde la sua rilevanza penale.

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Pubblicato il 25 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False generalità: quando la rettifica esclude il reato?

La dichiarazione di false generalità a un pubblico ufficiale integra un reato previsto dall’articolo 495 del Codice Penale. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito che se la persona corregge le proprie dichiarazioni in un arco temporale e contestuale all’accertamento, il reato può non sussistere. Analizziamo questa importante decisione per capire le sue implicazioni pratiche.

I fatti del caso

Durante un controllo di polizia, un cittadino straniero esibiva un atto giudiziario recante un nome diverso dal proprio. Successivamente, condotto presso gli uffici della Questura per l’identificazione completa, forniva le sue esatte generalità, confermate poi dalle comunicazioni consolari.

In primo grado, l’uomo veniva condannato per il reato di false dichiarazioni sulla propria identità. La Corte d’Appello, tuttavia, ribaltava la decisione, assolvendo l’imputato con la formula “perché il fatto non sussiste”. Secondo i giudici di secondo grado, l’intera operazione di accertamento dell’identità doveva essere considerata come un’unica azione. In tale contesto, la rettifica quasi immediata delle proprie generalità rendeva irrilevante la precedente dichiarazione mendace.

Il ricorso del Procuratore e il reato di false generalità

Il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello proponeva ricorso in Cassazione, sollevando due questioni principali:

1. Errore procedurale: Il Procuratore sosteneva che la Corte d’Appello avrebbe dovuto dichiarare la nullità della sentenza di primo grado a causa della difformità tra il fatto contestato (aver falsamente dichiarato di chiamarsi in un certo modo) e quello emerso (aver fornito le generalità di un’altra persona). Secondo il ricorrente, gli atti avrebbero dovuto essere restituiti al Pubblico Ministero.
2. Travisamento dei fatti: In subordine, il Procuratore lamentava che l’assoluzione fosse errata, poiché il reato si era già consumato nel momento in cui l’imputato aveva fornito le false generalità agli agenti durante il primo controllo, a prescindere dalla successiva correzione.

Le motivazioni

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato.

In primo luogo, i Giudici Supremi hanno stabilito che la Corte d’Appello ha agito correttamente. Il principio di economia processuale impone che, se un giudice ritiene il fatto non sussistente, deve procedere con l’assoluzione, anche in presenza di un errore nel capo di imputazione. La trasmissione degli atti al Pubblico Ministero, prevista dall’articolo 521 del codice di procedura penale, presuppone che il fatto accertato sia ‘diverso’ ma comunque penalmente rilevante, non ‘insussistente’. Poiché la Corte territoriale aveva concluso per l’insussistenza del reato, l’esito assolutorio era corretto e prioritario rispetto alla rilevazione dell’errore formale nell’imputazione.

In secondo luogo, la Cassazione ha dichiarato inammissibile il motivo relativo al travisamento dei fatti. La valutazione della Corte d’Appello, secondo cui l’intera sequenza – dal primo contatto alla definitiva identificazione in Questura – costituiva un’unica operazione di accertamento, è stata considerata una valutazione di merito, non censurabile in sede di legittimità. I giudici di secondo grado hanno ritenuto che, essendo l’accertamento un processo unitario, la pronta rettifica da parte dell’imputato avesse privato di offensività la condotta iniziale.

Le conclusioni

Questa sentenza offre un’importante chiave di lettura sull’applicazione dell’articolo 495 del Codice Penale. La Corte stabilisce che la rilevanza penale delle false generalità va valutata nel contesto complessivo dell’accertamento. Se la correzione avviene in modo tempestivo e all’interno della stessa fase di identificazione, la condotta può essere considerata non punibile perché, nel suo complesso, non lede l’interesse protetto dalla norma, ovvero la corretta identificazione della persona da parte dell’autorità pubblica. La decisione sottolinea quindi l’importanza di una valutazione unitaria e non frammentata del comportamento del soggetto.

Fornire false generalità a un pubblico ufficiale è sempre reato?
Non necessariamente. Secondo questa sentenza, se la persona corregge la propria dichiarazione spontaneamente e in un tempo molto breve, all’interno dello stesso contesto di accertamento della sua identità, il reato può essere considerato insussistente.

Cosa succede se il fatto contestato all’imputato è diverso da quello che emerge nel processo?
Di norma, il giudice dovrebbe trasmettere gli atti al Pubblico Ministero. Tuttavia, se il giudice ritiene che il fatto emerso, per quanto diverso, sia comunque non penalmente rilevante (ad esempio, “insussistente”), può procedere direttamente all’assoluzione per ragioni di economia processuale.

Perché la Corte ha assolto l’imputato nonostante avesse inizialmente mentito sulla sua identità?
La Corte ha considerato l’intero processo di identificazione, dal controllo su strada alla formalizzazione in Questura, come un’unica operazione. Poiché l’imputato ha fornito le sue corrette generalità durante questa operazione unitaria, la menzogna iniziale è stata ritenuta irrilevante ai fini della configurazione del reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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