False Dichiarazioni Reddito: Omettere Precedenti Penali Costa Caro
Le false dichiarazioni reddito di cittadinanza rappresentano un reato grave, specialmente quando si omettono informazioni cruciali come le condanne penali passate. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta questi casi, chiarendo importanti aspetti sulla responsabilità penale e sull’applicazione dell’aggravante della recidiva. La sentenza conferma che la propensione a delinquere di un individuo, anche se manifestata in contesti diversi, può avere un peso determinante nella valutazione del giudice.
I fatti del caso: la condanna per la dichiarazione omessa
Il caso riguarda un individuo condannato in primo grado e in appello alla pena di due anni di reclusione. Il motivo della condanna era aver presentato una domanda per ottenere il reddito di cittadinanza dichiarando il falso. Nello specifico, l’imputato aveva omesso di menzionare una precedente condanna definitiva per un reato di grave allarme sociale (associazione a delinquere), informazione che, per legge, avrebbe precluso l’accesso al beneficio. La Corte d’Appello aveva confermato la sentenza, ritenendo provata la falsità della dichiarazione e il suo ruolo determinante nell’indurre in errore l’ente erogatore.
I motivi del ricorso: responsabilità e recidiva in discussione
L’imputato ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione basandosi su due principali motivi:
1. Vizio di motivazione e violazione di legge sulla responsabilità: Si contestava la ricostruzione dei fatti e l’attribuzione della responsabilità penale.
2. Errata applicazione della recidiva: Si sosteneva che l’aggravante della recidiva fosse stata applicata illegittimamente, poiché i reati precedenti non avevano alcun collegamento con le attuali false dichiarazioni reddito, citando a supporto una sentenza della Corte Costituzionale.
Le motivazioni della Corte: le false dichiarazioni e il ruolo della recidiva
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo entrambe le doglianze con argomentazioni chiare e nette.
La valutazione dei fatti spetta al giudice di merito
In merito al primo motivo, la Corte ha ribadito un principio fondamentale del processo di legittimità: la Cassazione non può riesaminare i fatti del processo. Il suo compito è verificare la correttezza giuridica e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano fornito una ricostruzione precisa e circostanziata, evidenziando come l’omissione della condanna pregressa fosse stata l’elemento chiave che aveva indotto l’INPS a erogare indebitamente il sussidio. Lo stesso imputato, inoltre, aveva ammesso l’addebito, rendendo irrilevante chi avesse materialmente compilato la domanda. La dichiarazione era, inequivocabilmente, a lui riconducibile e determinante per l’ottenimento del beneficio.
La recidiva e la propensione a delinquere
Anche il secondo motivo è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha sottolineato che la legge sul reddito di cittadinanza (D.L. n. 4/2019) richiede esplicitamente di dichiarare determinate condanne definitive. La recidiva era stata correttamente contestata e ritenuta sussistente dal giudice, che l’aveva bilanciata in equivalenza con le attenuanti generiche. Secondo la Cassazione, è irrilevante che i reati precedenti non abbiano un “collegamento strutturale” con le false dichiarazioni reddito. Il giudice di merito aveva infatti legittimamente basato la sua valutazione sulla “spiccata propensione a delinquere” manifestata dall’imputato in un arco temporale di vent’anni. Questa valutazione discrezionale, se motivata, non è sindacabile in sede di legittimità.
Le conclusioni: le implicazioni della sentenza
L’ordinanza della Cassazione offre due importanti insegnamenti. In primo luogo, conferma la rigidità dei requisiti per l’accesso ai benefici sociali, sanzionando penalmente chiunque fornisca dichiarazioni mendaci o incomplete. In secondo luogo, rafforza il principio secondo cui la valutazione della pericolosità sociale e della propensione a delinquere di un soggetto può basarsi sulla sua intera storia criminale, a prescindere dalla natura specifica dei reati commessi. La recidiva, pertanto, non è legata solo alla ripetizione di reati omogenei, ma può essere espressione di un’attitudine generale a violare la legge, che il giudice ha il potere di considerare nel determinare la pena.
È possibile contestare in Cassazione la ricostruzione dei fatti decisa dai giudici di primo e secondo grado?
No, la Corte di Cassazione ha chiarito che non può riesaminare le prove o la ricostruzione dei fatti. Il suo compito è limitato a verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata, senza entrare nel merito delle valutazioni fattuali.
Omettere una condanna penale passata nella domanda per il reddito di cittadinanza è un reato?
Sì, la legge richiede esplicitamente di dichiarare determinate condanne penali definitive. Omettere tale informazione costituisce il reato di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento indebito del beneficio, in quanto induce in errore l’ente erogatore.
L’aggravante della recidiva si applica solo se i nuovi reati sono simili a quelli commessi in passato?
No, la Corte ha stabilito che la recidiva può essere ritenuta sussistente anche se non c’è un collegamento diretto tra i reati vecchi e quelli nuovi. Il giudice può basare la sua valutazione sulla generale e persistente propensione a delinquere dell’imputato, desunta dalla sua storia criminale complessiva.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 38581 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 38581 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 19/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME nato a GELA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 28/10/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
NOME COGNOME ricorre per cassazione avverso la sentenza in epigrafe indicata con la quale la Corte d’appello ha confermato la sentenza del Tribunale di condanna dell’imputato alla pena di anni due di reclusione, per aver dichiarato il falso al fine di ottenere il benefi reddito di cittadinanza ai sensi dell’art. 7 comm4-1 e 3 del d.l. n. 4/2019, avendo omesso d dichiarare di essere stato condannato per il delitto di cui all’art. 416 cod. pen, con rec reiterata in regime di equivalenza con le riconosciute attenuanti generiche.
Il ricorrente formula due motivi di ricorso. Con il primo lamenta vizio di motivazione violazione di legge in ordine alla responsabilità del reato. Con il secondo, lamenta vizio motivazione e violazione di legge in ordine all’applicazione della contestata recidiva alla lu della sentenza della Corte costituzionale del 23 luglio 2015 n. 185, non avendo i reati commessi alcun collegamento con il reato contestato.
La prima doglianza non rientra nel numerus clausus delle censure deducibili in sede di legittimità, investendo profili di valutazione della prova e di ricostruzione del fatto riserv cognizione del giudice di merito, le cui determinazioni, al riguardo, sono insindacabili cassazione ove siano sorrette da motivazione congrua, esauriente e idonea a dar conto dell’iter logico-giuridico seguito dal giudicante e delle ragioni del decisum. Nel caso di specie, dal cadenze motivazionali della sentenza d’appello è enucleabile una ricostruzione dei fatti precisa e circostanziata. I giudici di secondo grado hanno rilevato che l’omissione dell’imputato nel domanda INPS, riguardante una condanna pregressa, ha indotto l’ente in errore e determinato l’erogazione indebita del contributo. Peraltro, lo stesso COGNOME ha ammesso l’addebito contestatogli. Il giudice a quo ha specificato poi che non rileva accertare chi abbia materialment compilato la domanda, né può trattarsi di mero errore materiale, essendo la dichiarazione determinante per l’accesso al beneficio.
Anche la seconda doglianza è manifestamente infondata. La Corte d’appello ha infatti evidenziato, in linea di fatto, come nel caso di specie ricorra l’ipotesi di sentenza definiti art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, essendo stato condannato per il delitto di cui all’art. 416-bi pen i , con sentenza della Corte di appello di Caltanissetta, divenuta irrevocabile il 25/06/201 Nel caso in esame, la recidiva è dunque ritualmente contestata e ritenuta sussistente iTtkatle dal giudice che non la ha disapplicata, secondo quanto sarebbe rientrato nelle sue facoltà discrezionali, trattandosi di aggravante ad applicazione facoltativa, ma la ha ritenuta equivalen alle circostanze attenuanti. È dunque irrilevante che i precedenti penali presenti nel casella giudiziale non abbiano alcun collegamento strutturale con il reato contestato avendo comunque il giudice richiamato la spiccata propensione a delinquere manifestata dall’odierno imputato senza soluzione di continuità per un arco temporale di ben 20 anni.
Stante l’inammissibilità del ricorso, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., non ravvisando assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. Sent. n. 186 del 13/06/2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura, ritenuta equa, di 3.000 euro in favore della Cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese proc della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma il 19/09/2025
Il consigliere estensore
Il Presidente