Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 45802 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 3 Num. 45802 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a Roma il 26/10/1954
avverso la sentenza del 14/06/2023 della Corte appello di Roma
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che si riporta alle conclusioni depositate e conclude per il rigetto del visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorso;
udito il difensore per la parte civile, avv.to COGNOME COGNOME che si riporta alle conclusioni scritte.
RITENUTO IN FATTO
Con pronuncia emessa il 14 giugno 2023 la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del Tribunale di Roma del 13 dicembre 2021 con la quale NOME COGNOME è stato dichiarato responsabile del reato di cui all’art. 7, comma 1, in relazione all’art. 3 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla I. 28 marzo 2019, n. 36, perché, al fine di ottenere il reddito di cittadinanza rendeva dichiarazioni false, riportando di essere in possesso dei requisiti reddituali e patrimoniali per il riconoscimento del beneficio, omettendo di segnalare il possesso di partecipazioni societarie in attività imprenditoriali, pur
essendo titolare del 100% del capitale sociale della RAGIONE_SOCIALE, fatto commesso in Roma il 30 aprile 2019, e condannato alla pena di anni uno, mesi sei di reclusione, nonché a risarcire la parte civile dei danni da liquidarsi in separata sede. In sede di appello il ricorrente veniva altresì condannate alla refusione, in favore della parte civile costituita, delle spese di rappresentanza e assistenza nel giudizio di gravame.
Avverso la sentenza pronunciata dalla Corte di appello ha proposto tempestivo ricorso per cassazione il difensore dell’imputato, affidandosi a tre motivi.
e
amministrativo) che, dovendo essere calcolata con riferimento al singolo rateo (si cita Sez. 6, n. 7963 del 20 aprile 2020), renderebbe il fatto non punibile; né potrebbe configurarsi il reato di cui all’art. 640-bis cod. pen., dal momento che il reato è più grave e l’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 prevedeva una espressa esclusione per il delitto più grave.
2.2 Con il secondo motivo, il difensore lamenta la violazione dell’art. 606, comma primo, lett. d) ed e) per la mancata assunzione di una prova decisiva, consistita nella visura camerale della RAGIONE_SOCIALE relativa al periodo 2015-2019, già richiesta come quarto motivo di appello, volto alla rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. Si lamenta che la Corte di appello non ha verificato se il capitale sociale di 850.000,00 della società RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti) fosse stato effettivamente versato, posto che all’atto del controllo l società era inattiva e quindi avrebbe potuto rappresentare una mera scatola “vuota”.
2.3 Con il terzo motivo, si deduce la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 606, lett. b) e e) cod. pen. posto che la Corte di appello ha omesso di confrontarsi con la tesi difensiva secondo cui l’imputato non era consapevole della titolarità delle quote societarie. L’imputato ha infatti dichiarato di ricoprire l’incarico rappresentante legale solo formalmente, essendosi disinteressato delle operazioni della società, della cui gestione si occupava un ragioniere. La sentenza impugnata è affetta da vizio di omessa motivazione perché nulla osserva su tali dichiarazioni.
Con requisitoria scritta il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso
Con conclusioni scritte l’avv.to NOME COGNOME nell’interesse dell’IRAGIONE_SOCIALE ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso, ovvero rigettarlo per la sua infondatezza, confermando le statuizioni civili in favore dell’ente erogatore delle prestazioni, costituitosi parte civile, con condanna delle spese e dei compensi professionali
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile.
1.1. Quanto al primo motivo di doglianza esso non supera la soglia della manifesta infondatezza in quanto il ricorrente omette del tutto di confrontarsi con i principi espressi dal diritto vivente e dalla Corte costituzionale sul tema de reddito di cittadinanza e dell’abrogazione “differita” dell’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26.
1.2 Con riferimento all’abrogazione degli artt. da 1 a 13 d.l. 28 gennaio 2019 n. 4, convertito con modificazioni dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, ad opera
dell’art. 1, comma 318, I. 29 dicembre 2022 n. 197, e dunque con riferimento, nello specifico, al disposto di cui all’art. 7 che individuava le sanzioni in materia d reddito di cittadinanza, questa Corte ha infatti già avuto modo di affermare che la concreta efficacia dell’effetto abrogativo previsto dalla disposizione della legge di bilancio, nonostante la stessa sia entrata in vigore già alla data dell’i gennaio 2023, deve intendersi sospesa sino alla data dell’i gennaio 2024 e non possono pertanto riconoscersi effetti, prima del termine di efficacia indicato, all’abrogazione “differita” della fattispecie incriminatrice (in questo senso Sez. 3, n. 39205 del 20/06/2023, COGNOME, Rv. 285140-01 e Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, Rv. 285964-01).
In tale quadro è poi intervenuto il legislatore che, con l’art. 13 d.l. 4 maggio 2023, n. 48, convertito con modificazioni dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, collocato tra le disposizioni transitorie e finali, ha altresì stabilito che «al beneficio di all’articolo 1 del decreto-legge 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’articolo 7 del medesimo decreto-legge, vigenti alla data in cui il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023».
Proprio sul punto le Sezioni Unite hanno osservato che «..’art. 1, comma 318, legge 29 dicembre 2022, n. 197, ha abrogato l’art. 7 dl. n. 4 del 2019, a decorrere, però, dal 10 gennaio 2024. Il legislatore, peraltro, nell’introdurre il cd. «assegno di inclusione» (misura di sostegno economico e di inclusione sociale e professionale destinata a sostituire integralmente il Rdc e definita dall’art. 1, comma 1, decreto 5 legge 4 maggio 2023, n. 48, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 luglio 2023, n. 85, «quale misura nazionale di contrasto alla povertà, alla fragilità e all’esclusione sociale delle fasce deboli attraverso percorsi d inserimento sociale, nonché di formazione, di lavoro e di politica attiva del lavoro»), ha contestualmente ed espressamente previsto che al Rdc continuano ad applicarsi le disposizioni di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019 vigenti alla data in il beneficio è stato concesso, per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023» (Sez. U, n. 49686 del 13/07/2023, Giudice, in motivazione).
1.3 Nel proposto ricorso si sostiene che la fattispecie penale, nel periodo intercorso tra l’entrata in vigore della legge di Bilancio ed il d.l. n. 48 del 20 (che ha introdotto la norma transitoria, oltre alle nuove fattispecie incriminatrici) sarebbe stata abrogata, anche se gli effetti della suddetta abrogazione erano stati rimandati e ciò in quanto la norma transitoria introdotta dall’art. 13 cit. soggiace, tra gli altri, al principio della irretroattività. Ciò escluderebbe la conti normativa tra la fattispecie incriminata e le ipotesi previste dal nuovo art. 8 d.l. n 48 del 2023 e renderebbe il fatto commesso dall’imputato non punibile per
intervenuta abrogazione e perché non rientrante in nessun’altra ipotesi di reato (né nel reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. né nel delitto di cui all’art. 640cod. pen.)
1.4 La tesi è priva di pregio proprio in base a quanto già affermato da questa Corte, laddove si è precisato che «…coordinandosi con la prevista abrogazione della disciplina del reddito di cittadinanza a far tempo dal 10 gennaio 2024, la sopravenuta disposizione – richiamata in motivazione anche dalla citata decisione delle Sezioni unite che ne ha sostanzialmente tratto analoghe conclusioni – fa salva l’applicazione delle sanzioni penali dalla stessa previste per i fatti commessi sino al termine finale di efficacia della relativa disciplina. La previsione sostanzialmente deroga al principio di retroattività della lex mitior altrimenti conseguente, ex art. 2, comma 2, cod. pen., alla prevista abrogazione dell’art. 7 d.l. 4/2019, ma questa deroga – che, come noto, sul piano del rispetto delle garanzie costituzionali è suscettibile d’essere valutata esclusivamente con riguardo di principi ricavabili dall’art. 3 Cost. e, ove non contrasti con questi, è altresì rispettosa della disciplin ricavabile dalle convenzioni internazionali (cfr., per tutte, Corte cost., sent. n. 236 del 22 luglio 2011) – non presta il fianco a censure, essendo indubbiamente sorretta da una del tutto ragionevole giustificazione. Ed invero, essa semplicemente assicura tutela penale all’erogazione del reddito di cittadinanza, in conformità ai presupposti previsti dalla legge, sin tanto che sarà possibile continuare a fruire di tale beneficio, così coordinandosi con la sua prevista soppressione a far tempo dal 1° gennaio 2024 e con la nuova incriminazione di cui all’art. 8 d.l. 48/2023, che, strutturata in termini del tutto identici e riferit analoghi benefici per il futuro introdotti in sostituzione del reddito di cittadinanz continua a prevedere il medesimo disvalore penale delle condotte di mendacio e di omessa comunicazione volte all’ottenimento o al mantenimento delle nuove provvidenze economiche» (Sez. 3, n. 7541 del 24/01/2024, COGNOME, in motivazione). Corte di Cassazione – copia non ufficiale
1.5 A tali considerazioni, già espresse da questa Corte, si aggiungono quelle convergenti espresse proprio dalla stessa Corte cost., sent. n. 54 del 2024, che ha avuto modo di affermare che «l’entrata in vigore dell’art. 1, comma 318, della legge n. 197 del 2022, avvenuta il 10 gennaio 2023, non ha prodotto alcun immediato effetto abrogativo delle disposizioni censurate, essendo stato questo espressamente rinviato dallo stesso comma « decorrere dal 10 gennaio 2024», cioè a distanza di un anno. con il suddetto art. 13, comma 3, del d.l. n. 48 del 2023, come convertito, entrato in vigore ben prima che, per effetto del richiamato art. 1, comma 318, potesse prodursi l’abrogazione (tra le altre) delle disposizioni censurate, il legislatore ha chiaramente manifestato la volontà che le condotte previste e punite dall’art. 7 del d.l. n. 4 del 2019, come convertito,
continuino a essere considerate penalmente rilevanti, escludendo dunque il prodursi di una abolitio criminis dal 10 gennaio 2024.»
Inammissibile è anche il secondo motivo di appello, con cui si deduce la mancata assunzione di una prova decisiva.
2.1 Questa Corte accede alla giurisprudenza di legittimità secondo cui, in ragione della sua natura eccezionale, in cassazione può essere censurata la mancata rinnovazione in appello dell’istruttoria dibattimentale qualora si dimostri l’oggettiva necessità dell’incombente istruttorio e, di conseguenza, l’esistenza, nell’apparato motivazionale posto a base della decisione impugnata, di lacune o manifeste illogicità, ricavabili dal testo del medesimo provvedimento e concernenti punti di decisiva rilevanza, che sarebbero state presumibilmente evitate se si fosse provveduto all’assunzione o alla riassunzione di determinate prove in appello (Sez. 5, n. 32379 del 12/04/2018, COGNOME, Rv. 273577 – 01; Sez. 6, n. 1256 del 28/11/2013, dep. 2014, COGNOME, Rv. 258236 – 01).
2.2 Nel caso di specie alcuna censura può muoversi al giudice di appello che ha respinto la richiesta di acquisizione della visura camerale della società, ritenendo che essa non rilevasse ai fini dell’accertamento della responsabilità dell’imputato, chiamato a rispondere per l’omessa denuncia della sua quota di partecipazione alla società, rispetto alla quale a nulla rileva l’ammontare del capitale sociale o l’effettivo versamento degli 850.000,00-della società RAGIONE_SOCIALE all’epoca dei fatti).
Il terzo motivo è del pari inammissibile. Si deduce l’omessa valutazione degli elementi di prova a sostegno della difesa ed in particolare delle dichiarazioni rese dall’imputato in merito alla assenza di consapevolezza della titolarità delle quote, ma il denunciato vizio di omessa valutazione degli elementi di prova e di travisamento degli stessi è, come detto, inammissibile in quanto si risolve nel riproporre la tesi sostenuta dal giudice di prime cure, su cui la Corte di appello si è ampiamente confrontata, e finisce con il chiedere, a questa Corte, una diversa ricostruzione del fatto, che non le è consentita (Sez. 5, n. 12634 del 22/03/2006, COGNOME, Rv. 233780; Sez. 3, n. 37006 del 27/09/2006, COGNOME, Rv. 235508-01; Sez. 5, n. 39048 del 25/09/2007, COGNOME, Rv. 238215- 01; Sez. 3, n. 18521 del 11/01/2018, COGNOME, Rv. 273217 – 01; Sez. 5, n. 26455 del 09/06/2022, COGNOME Silva COGNOME, Rv. 283370-01).
In conclusione, il proposto ricorso è inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere per il ricorrente del pagamento delle spese del procedimento nonché, tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità”,
quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in euro 3.000,00.
Il collegio intende in tal modo esercitare la facoltà, introdotta dall’art. comma 64, I. n. 103 del 2017, di aumentare, oltre il massimo edittale, la sanzione prevista all’art. 616 cod. proc. pen. in caso di inammissibilità del ricorso, considerate le ragioni della inammissibilità stessa come sopraindicate.
L’imputato va inoltre condannato alle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel giudizio dalla parte civile INPS che si liquidano in complessivi euro 3.500,00, oltre spese generali al 15%.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende. Condanna, inoltre, l’imputato alla rifusione delle spese di rappresentanza e difesa sostenute nel presente giudizio dalla parte civile INPS che liquida in complessivi euro 3500,00 oltre spese generali al 15%.
Così deciso il 11/09/2024.