Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 27995 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 27995 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 11/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOMECOGNOME nato ad Agnone il 5/11/1971
avverso la sentenza del 21/11/2024 della Corte d’appello di L’Aquila visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME lette le richieste del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 21 novembre 2024 la Corte d’appello di L’Aquila ha rigettato l’impugnazione proposta da NOME COGNOME nei confronti della sentenza del 2 febbraio 2023 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Vasto con la quale, a seguito di giudizio abbreviato, lo stesso COGNOME era stato condannato alla pena di un anno e quattro mesi di reclusione in relazione ai delitto di cui all’art 7 d.l. n. 4 del 2019, convertito in I. n. 26 del 2019 (ascrittogli perché, al fine ottenere il beneficio del reddito di cittadinanza, presentava la relativa domanda pur essendo consapevole della applicazione nei suoi confronti, con ordinanza del Tribunale di Lanciano notificatagli il 22 gennaio 2019, della misura cautelare del divieto di avvicinamento).
Avverso tale sentenza l’imputato ha proposto ricorso per cassazione, mediante l’Avvocato NOME COGNOME che lo ha affidato a un unico motivo, mediante il quale ha lamentato, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. e), cod. proc. pen., l’illogicità della motivazione nella parte in cui è stata ribadita sussistenza dell’elemento soggettivo del reato ascrittogli, escludendo la rilevanza dell’errore in cui era incorso il ricorrente nel compilare il modello di domanda per l’ottenimento del beneficio, nella parte relativa alla sottoposizione di componenti del nucleo familiare a misure cautelari, che era stata interpretata dal ricorrente nel senso che la domanda fosse relativa ai propri familiari e non anche al richiedente il beneficio, a causa della ambiguità della formulazione della relativa domanda nel modello; questa era posta in modo fuorviante, in quanto riferita ai componenti del nucleo familiare e non al richiedente, che, peraltro, non aveva presentato personalmente la richiesta ma tramite la propria commercialista di fiducia, alla quale il ricorrente si era rivolto proprio per la sua ignoranza della legg penale e di quella extrapenale integratrice del precetto, con la conseguente scusabilità dell’errore nei quale era incorso il ricorrente.
Ha richiamato le indicazioni fornite dalla Corte costituzionale per individuare i parametri per poter ritenere scusabile l’errore di diritto o l’ignoranza della legge, evidenziando nuovamente la rilevanza delle limitate conoscenze e delle capacità dell’agente, già considerati dalla giurisprudenza di merito proprio a proposito della configurabilità dell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 7 d.l. n. 4 del 2019.
Il Procuratore Generale ha concluso sollecitando il rigetto del ricorso, sottolineando l’irrilevanza del prospettato errore su una norma extrapenale, in quanto integratrice del precetto, e, in ogni caso, l’insussistenza dello stesso, alla luce della agevole comprensibilità dei quesiti posti al richiedente.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso, peraltro riproduttivo dell’unico motivo d’appello, adeguatamente considerato e motivatamente disatteso dalla Corte d’appello, con la conseguente genericità del ricorso (posto che il ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi proposti in sede di impugnazione e motivatamente respinti da parte del giudice del gravame deve ritenersi inammissibile, sia per l’insindacabilità delle valutazioni di merito adeguatamente e logicamente motivate, sia per la genericità delle doglianze che, solo apparentemente, denunciano un errore logico o giuridico determinato, v., in tal senso, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019, COGNOME, Rv. 276970 – 01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608 – 01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838 – 01; Sez. 6, n. 22445 del 08/05/2009, COGNOME, Rv. 244181 – 01; Sez. 5, n. 11933 del 27/01/2005, COGNOME, Rv. 231708 – 01), è, comunque, manifestamente infondato.
Va, infatti, rammentato che, in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fin richiesti dall’art. 2 di. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, in legge 28 marzo 2019, n. 26, si risolve in un errore su legge penale, che non esclude la sussistenza del dolo ex art. 5 cod. pen., in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (Sez. 2, 23265 del 07/05/2024, COGNOME, Rv. 286413 – 01, nella quale, in motivazione, è stato aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza connotati di cripticità tali da far ritenere l’oscurità d precetto).
La tesi della oscurità del dato da interpretare, derivante dal riferimento ambiguo ai componenti del nucleo familiare, che determinerebbe un errore (peraltro privo di rilievo in quanto ricadente, come notato, sulla legge penale), si scontra con la considerazione, già formulata dalla Corte d’appello, della evidente ricomprensione nel nucleo familiare anche del diretto interessato al beneficio, il primo a non dovere ricadere – evidentemente – nelle situazioni ostative individuate dalla legge con riferimento (tra le altre) alla sottoposizione a determinate misure cautelari, con la conseguente manifesta infondatezza dei rilievi sollevati su tale punto dal ricorrente, peraltro volti a censurare una valutazione di merito, sulla agevole comprensibilità dei dati richiesti e da dichiarare, giustificata in modo adeguato e pienamente logico dalla Corte d’appello.
3. L’affidamento a un professionista dell’incarico di predisporre e presentare la domanda di riconoscimento del beneficio, peraltro prospettata per la prima volta
con il ricorso per cassazione (con la conseguente preclusione alla denuncia di un vizio di motivazione sul punto, alla stregua del consolidato principio secondo cui
non può essere dedotto con ricorso per cassazione il vizio di motivazione in cui sarebbe incorso il giudice di secondo grado se il punto non gli era stata sottoposto
e l’eventuale travisamento della prova non gli era stato rappresentato, cfr. Sez. 5, n. 48703 del 24/09/2014, COGNOME, Rv. 261438 – 01; Sez. 2, n. 47035 del
03/10/2013, Giugliano, Rv. 257499 – 01), non esonera il richiedente dalle responsabilità penali conseguenti al contenuto di tale richiesta, trattandosi di
adempimento personale e indelegabile, essendo unicamente delegabile la predisposizione e l’inoltro telematico dell’atto (v., in materia di reati tributari, m
con principio valido anche per la delega alla presentazione della richiesta di ottenimento del beneficio del reddito di cittadinanza, Sez. 3, n. 9417 del
14/01/2020, Quattri, Rv. 278421 – 01; Sez. 3, n. 37856 del 18/06/2015, COGNOME,
Rv. 265087 – 01).
Il ricorso deve, dunque, essere dichiarato inammissibile, a cagione della manifesta infondatezza dell’unica censura alla quale è stato affidato.
Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ex art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento, nonché del versamento di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si determina equitativamente, in ragione dei motivi dedotti, nella misura di euro 3.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.
Così deciso il 11/7/2025