Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35957 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35957 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 23/09/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da NOME nata in Nigeria il DATA_NASCITA; avverso la sentenza del 13/12/2024 della corte di appello di Palermo; visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del AVV_NOTAIO Procuratore generale AVV_NOTAIO che ha concluso chiedendo la dichiarazione di inammissibiltà del ricorso; lette le conclusioni del difensore dell’imputata AVV_NOTAIO che ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Palermo, riformando parzialmente la sentenza del tribunale di Marsala, di condanna di NOME in ordine al reato ex art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, rideterminava la pena finale applicata.
Avverso la predetta sentenza propone ricorso per cassazione NOME mediante il proprio difensore, deducendo due motivi di impugnazione.
Deduce, con il primo, il vizio di violazione di legge rappresentando come a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 31 del 2025 sia stata dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 2 comma 1 lett. a) n. 2) del 28.1.2019 n. 4 convertito con L. 28.3.2019 n. 26 nella parte in cui si prevedeva il requisito della residenza in Italia da almeno 10 anni per accedere al reddito di cittadinanza, sostituendolo con quello corrispondente ad almeno 5 anni. Con la conseguenza del sopravvenuto venir meno di uno degli elementi costitutivi della fattispecie ascritta alla ricorrente, atteso che la condotta attribuitale si fondava solo sulla falsità della dichiarazione relativa alla residenza decennale.
Con il secondo motivo rappresenta il vizio di motivazione circa la prova nei confronti della imputata della paternità di una dichiarazione falsa sulla sua residenza decennale in Italia.
Il primo motivo è infondato, alla luce di quanto già sostenuto da questa Corte, per cui in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, il disposto dell’art. 7, comma 1, d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, convertito, con modificazioni, dalla legge 28 marzo 2019, n. 26, sanzionante penalmente la non rispondenza al vero delle dichiarazioni del richiedente riguardanti la propria precedente residenza, è conforme ai principi costituzionali e sovranazionali, come interpretati dalla Corte di giustizia dell’Unione Europea nella sentenza 29 luglio 2024, resa nelle cause riunite C-112/22 e C-223/22 e dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 31 del 2025, pur se è limitato a cinque anni il requisito della precedente residenza del richiedente nel territorio dello Stato. Nel caso di specie, come emerge dalla sentenza impugnata, a partire dal capo di imputazione, la falsa dichiarazione coinvolge comunque una mancata residenza per almeno 5 anni atteso che l’imputata fece ingresso nello Stato italiano in data 29.5.2016 a fronte di una domanda di ottenimento del reddito di cittadinanza del 9.12.2020 collegata a dichiarazione sostitutiva unica del 1.12.2020.
Manifestamente infondato è il secondo motivo, inerente una motivazione illogica e contraddittoria: l’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), stabilisce che provvedimenti sono ricorribili per «mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, quando il vizio risulta dal testo del provvedimento
impugnato ovvero da altri atti del processo specificamente indicati nei motivi di gravame». La disposizione, letta in combinazione con l’art. 581 c.p.p., per cui è onere del ricorrente enunciare tra l’altro i motivi del ricorso, con l’indicazione specifica delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta, evidenzia che non è ammessa l’enunciazione perplessa ed alternativa dei motivi di ricorso: consegue che il ricorrente deve specificare con precisione se la deduzione di vizio di motivazione sia riferita alla mancanza, alla contraddittorietà od alla manifesta illogicità ovvero a una pluralità di tali vizi, ch vanno indicati specificamente in relazione alle varie parti della motivazione censurata. (Sez. 2^, sentenza n. 31811 dell’8 maggio 2012, Rv. n. 254329). Più di recente, la giurisprudenza di legittimità ha ulteriormente ribadito tale indirizzo, laddove si è precisato che in tema di ricorso per cassazione, la denunzia cumulativa, promiscua e perplessa della inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, nonché della mancanza, della contraddittorietà e della manifesta illogicità della motivazione rende i motivi aspecifici ed il ricorso inammissibile, ai sensi degli artt. 581, comma primo, lett. c) e 591, comma primo, lett. c), cod. proc. pen., non potendo attribuirsi al giudice di legittimità funzione di rielaborare l’impugnazione, al fine di estrarre dal coacervo indifferenziato dai motivi quelli suscettibili di un utile scrutinio (sez. 1, n. 391 del 22/09/2015 Rv. 264535 – 01 COGNOME). Si tratta di vizi eterogenei non suscettibili di sovrapporsi e cumularsi in riferimento a un medesimo segmento del costrutto motivazionale che sorregge il provvedimento impugnato. I vizi della motivazione si pongono in rapporto di reciproca esclusione, posto che ove la motivazione manchi, essa non può essere, al tempo stesso, né contraddittoria, né manifestamente illogica; di converso, la motivazione viziata non è mancante; infine, il vizio della contraddittorietà della motivazione (introdotto dall’ articolo della legge 20 febbraio 2006, n. 46, che ha novellato l’articolo 606, comma 1, lettera e), cod. proc. pen.) è nettamente connotato rispetto alla manifesta illogicità (cfr. sez. 1, n. 39122 del 22/09/2015 Rv. 264535 cit.). Orbene la mescolanza dei motivi di ricorso, cumulati nella indistinta prospettazione del ricorrente, che si esprime anche sul piano grafico in una rubrica unica richiamante il vizio di motivazione, e in una aggiunta con cui sostiene che la sentenza si limiterebbe ad affermare l’idoneità dell’inoltro telematico della domanda senza rispondere ad eccezioni difensive, tuttavia non illustrate, conclude, in maniera priva di spiegazione, per la sussistenza di una motivazione illogica e anche contraddittoria. Corte di Cassazione – copia non ufficiale
A fronte di un motivo così di per sé inammissibile, alla luce del principio richiamato in tema di proponibilità di censure motivazionali, è sufficiente rilevare
la esistenza una esplicita e chiara motivazione sul punto formulata dalla Corte (cfr. pag. 1 della sentenza impugnata).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere rigettato, con conseguente onere per la ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 23/09/2025.