Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 37397 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 37397 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 15/10/2025
SENTENZA
sui ricorsi proposti da
NOME NOME, nato in Svizzera il DATA_NASCITA
COGNOME NOME, nata a Messina il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 16/06/2023 del la Corte d’appello di Messina visti gli atti, il provvedimento impugnato, i ricorsi e le memorie; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO, che conclude per l’inammissibilità de i ricorsi; lette le conclusioni, per i ricorrenti, de ll’ AVV_NOTAIO, il quale chiede l’ accoglimento dei ricorsi.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza emessa in data 16 giugno 2023, la Corte d ‘ appello di Messina ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Patti del 29 settembre 2022, all’esito di giudizio abbreviato, nella parte in cui aveva
dichiarato la penale responsabilità di NOME COGNOME e NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, e li aveva condannati, rispettivamente, alla pena di un anno e otto mesi di reclusione e di un anno e quattro mesi di reclusione, ed ha revocato il beneficio della sospensione condizionale della pena concesso a NOME COGNOME.
Secondo quanto ricostruito dai Giudici di merito: NOME COGNOME, in data 5 ottobre 2019, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, a ll’atto di presentazione dell’autocertificazione richiesta dall’RAGIONE_SOCIALE , avrebbe omesso di comunicare all’ ente previdenziale di essere sottoposto alla misura cautelare personale coercitiva dell’obbligo di dimora ; NOME COGNOME, in data 27 ottobre 2020, al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, all’atto di presentazione della relativa domanda, avrebbe omesso di comunicare all’RAGIONE_SOCIALE di essere sottoposta alla misura cautelare personale coercitiva dell’obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
Hanno presentato ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte di appello indicata in epigrafe NOME COGNOME e NOME COGNOME, con atto sottoscritto dall’AVV_NOTAIO, articolando un unico motivo.
Con il motivo, si denunciano violazione di legge nonché vizio di motivazione, a norma dell’art. 606, comma 1, lett. b) ed e) , cod. proc. pen., avuto riguardo, da un lato, alla configurabilità o comunque alla corretta qualificazione del reato con riguardo a NOME COGNOME, e, per altro verso, al diniego dell’istituto di cui all’art. 131bis cod. pen. e alla revoca della sospensione della pena relativamente a NOME COGNOME.
2.1. Si deduce, con riferimento a NOME COGNOME, innanzitutto, che la Corte d’appello ha erroneamente ricondotto il comportamento del medesimo a ll’ipotesi di cui al comma 1 dell’art. 7 d.l. n. 4 del 2019, anziché alla meno grave ipotesi prevista dal comma 2 del medesimo art. 7.
Si osserva che, al momento della presentazione della domanda volta all’ottenimento del beneficio, non era previsto alcun obbligo di comunicare la sottoposizione a misura cautelare personale. Si evidenzia che tale obbligo è stato introdotto solo in un momento successivo, a seguito del quale l’RAGIONE_SOCIALE ha richiesto ai beneficiari di autocertificare l ‘in sussistenza del requisito ostativo. Si conclude che la condotta accertata integrerebbe l’ipotesi di reato di cui al secondo comma del citato articolo, trattandosi dell’ omessa comunicazione di informazioni richieste successivamente all’ottenimento del reddito di cittadinanza. Si precisa, altresì, che, anche volendo qualificare le predette dichiarazioni come integrazione della domanda principale, la condotta rientrerebbe comunque nell’ambito applicativo del
secondo comma, poiché dette dichiarazioni sono state rese successivamente al riconoscimento del beneficio.
Si deduce, ancora con riferimento a NOME COGNOME, e più radicalmente, che non è configurabile alcuna ipotesi penalmente rilevante.
Si rappresenta che, siccome la sottoposizione a misura cautelare personale determina la sospensione del beneficio e non la revoca dello stesso, deve ritenersi escluso che l ‘omissione dell a relativa comunicazione rilevi ai sensi dell’art. 7, comma 2, d.l. n. 4 del 2019, non potendo ritenersi che la stessa abbia ad oggetto una notizia inclusa nel novero delle «informazioni dovute e rilevanti ai fini della revoca o della riduzione del beneficio».
2.2. Si deduce, con riferimento a NOME COGNOME, in primo luogo, che non emergono elementi ostativi all ‘applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.
Si evidenzia in proposito l’esiguità dell’importo percepito dall’imputata , pari a circa 893,17 euro, nonché la mancanza di abitualità della condotta e di un particolare impulso criminoso.
Si deduce, ancora con riferimento a NOME COGNOME, e in secondo luogo, che la Corte territoriale, non avrebbe potuto disporre la revoca del beneficio della sospensione condizionale della pena concesso in primo grado.
Si rimarca che, sul punto, non vi è stata alcuna impugnazione o sollecitazione da parte del Pubblico Ministero, e che, di conseguenza, la sentenza, in ordine a tale statuizione, è incorsa nella violazione del divieto di reformatio in peius .
CONSIDERATO IN DIRITTO
Per le ragioni di seguito precisate, il ricorso di NOME COGNOME è infondato, mentre nei confronti di NOME COGNOME deve essere dichiarata l’improcedibilità del l’azione penale a norma dell’art. 344 -bis cod. proc. pen.
Le censure enunciate nel ricorso di NOME COGNOME, condannato a norma dell’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, per aver attestato mediante autocertificazione presentata a seguito di richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE che nessun componente del suo nucleo familiare fosse sottoposto a misura cautelare, nonostante proprio egli versasse in tale condizione, contestano la configurabilità di un illecito penale, poiché al momento della presentazione dell’originaria richiesta il requisito della mancata sottoposizione a misura cautelare personale non era richiesto dalla legge, o comunque, in subordine, la mancata riqualificazione del fatto nella meno grave fattispecie delittuosa di cui al comma 2 dell’art. 7 cit.
2.1. Per l’esame delle censure appena sintetizzate è utile fornire immediatamente la descrizione degli elementi di fatto rilevanti, come esposti nella sentenza impugnata e non specificamente contestati nel ricorso.
L’attuale ricorrente, quando aveva presentato la richiesta per l’erogazione del beneficio del c.d. ‘reddito di cittadinanza’, non aveva indicato alcunché in ordine alla propria sottoposizione a misura cautelare personale, ma, in quel momento, il requisito non era richiesto dalla legge, posto che lo stesso è stato introdotto per effetto delle modifiche recate al d.l. n. 4 del 2019 dalla legge di conversione 28 marzo 2019, n. 26, entrata in vigore il 30 marzo 2019.
Successivamente all’entrata in vigore della nuova disciplina, per effetto delle modifiche recate dalla citata legge di conversione n. 26 del 2019, l’RAGIONE_SOCIALE aveva provveduto ad inviare ai soggetti già percettori del beneficio apposita modulistica, invitando gli stessi ad autocertificare la sussistenza dei nuovi requisiti prescritti.
L’attuale ricorrente, ricevuta tale richiesta, in data 5 ottobre 2019, sebbene fosse personalmente sottoposto alla misura cautelare personale dell’obbligo di dimora, presentava all’RAGIONE_SOCIALE autocertificazione nella quale attestava che nessun componente del suo nucleo familiare era sottoposto a misura cautelare.
2.2. La questione da esaminare, quindi, è se il soggetto già ammesso a fruire del reddito di cittadinanza in base alla disciplina del d.l. n. 4 del 2019 prima dell’entrata in vigore della legge di conversione n. 26 del 2019, risponde del reato di false dichiarazioni rese a seguito di successiva richi esta dell’RAGIONE_SOCIALE per verificare la sussistenza dei requisiti successivamente introdotti per effetto della citata legge di conversione.
La risposta deve essere affermativa in considerazione del combinato disposto delle disposizioni di legge rilevanti.
Invero, l’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019 prevede: « Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, al fine di ottenere indebitamente il beneficio di cui all’articolo 3, rende o utilizza dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero omette informazioni dovute, è punito con la reclusione da due a sei anni».
L’art. 2 , comma 1, lett. c-bis ), d.l. n. 4 del 2010, come introdotto dalla legge di conversione n. 26 del 2019, dispone: «Il reddito di cittadinanza è riconosciuto ai nuclei familiari in possesso cumulativamente, al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, dei seguenti requisiti: c- bis ) per il richiedente il beneficio, la mancata sottoposizione a misura cautelare personale, anche adottata a seguito di convalida dell’arresto o del fermo, nonché la mancanza di condanne definitive, intervenute nei dieci anni precedenti la richiesta, per taluno dei delitti indicati all’articolo 7, comma 3».
L’art. 13, comma 1 -bis , d.l. n. 4 del 2019, come introdotto dalla legge di conversione n. 26 del 2019, statuisce: «1bis . Sono fatte salve le richieste del reddito di cittadinanza presentate sulla base della disciplina vigente prima della data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto. I benefici riconosciuti sulla base delle predette richieste sono erogati per un periodo non superiore a sei mesi pur in assenza dell’eventuale ulteriore certificazione, documentazione o dichiarazione sul possesso dei requisiti, richiesta in forza delle disposizioni introdotte dalla legge di conversione del presente decreto ai fini dell’accesso al beneficio».
Come si può agevolmente desumere dal coordinamento delle riportate previsioni di legge, la disposizione transitoria di cui all’art. 13, comma 1bis , d.l. cit., introdotta dalla legge di conversione, ha consentito l’erogazione del beneficio in base alle domande presentate anteriormente all’entrata in vigore della legge di conversione anche in assenza delle ulteriori informazioni da questa richieste per la durata di soli sei mesi. Inoltre, e ancor più significativamente ai fini in esame, la medesima disposizione transitoria ha espressamente previsto una «eventuale ulteriore certificazione, documentazione o dichiarazione sul possesso dei requisiti, richiesta in forza delle disposizioni introdotte dalla legge di conversione del presente decreto ai fini dell’accesso al beneficio».
Di conseguenza, deve ritenersi che, secondo questa disciplina: a) erano consentite richieste di integrazione di informazioni da parte dell’RAGIONE_SOCIALE; b) le conseguenti autocertificazioni costituivano il presupposto per l’elargizione del beneficio per il periodo successivo al decorso di sei mesi dall’inizio dell’erogazione.
Così ricostruito il dato normativo, può allora concludersi che il rilascio di una mendace autocertificazione su richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE in ordine alla sussistenza dei requisiti (negativi) introdotti dalla legge di conversione n. 26 del 2019 integra esattamente la condotta di rendere dichiarazioni attestanti cose non vere al fine di ottenere indebitamente il beneficio del reddito di cittadinanza, ossia la condotta prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019.
2.3. Affermato che il rilascio di una mendace autocertificazione su richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE in ordine alla sussistenza dei requisiti (negativi) introdotti dalla legge di conversione n. 26 del 2019 integra esattamente la condotta prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019, risulta conseguenziale il giudizio di infondatezza delle censure formulate nel ricorso.
Invero, le censure formulate nel ricorso di NOME COGNOME contestano esclusivamente che il rilascio di una mendace autocertificazione su richiesta dell’RAGIONE_SOCIALE in ordine alla sussistenza dei requisiti (negativi) introdotti dalla legge di conversione n. 26 de l 2019 integri la condotta prevista dall’art. 7, comma 1, d.l. n. 4 del 2019.
Con riferimento al ricorso di NOME COGNOME, invece, deve dichiararsi l’improcedibilità dell’azione penale a norma dell’art. 344 -bis cod. proc. pen.
Innanzitutto, deve escludersi che il ricorso sia inammissibile, avendo riguardo, in particolare, alle censure che contestano la revoca, da parte del Giudice di appello, della sospensione condizionale concessa in primo grado, nonostante l’assenza di impugnazione o sollecitazione da parte del Pubblico Ministero.
In argomento, infatti, si è affermato che il giudice di appello può revocare ex officio la sospensione condizionale della pena concessa, in violazione dell’art. 164, quarto comma, cod. pen., in presenza di cause ostative, a condizione che le stesse non fossero documentalmente note al giudice che ha concesso il beneficio, avendo egli l’onere di procedere a una doverosa verifica al riguardo (Sez. 3, n. 42004 del 05/10/2022, Maggio, Rv. 283712 -01).
E, nella specie, la Corte d’appello ha disposto la revoca della sospensione condizionale della pena, rilevando che tale beneficio era stato erroneamente concesso in primo grado, data la precedente condanna alla pena condizionalmente sospesa di un anno e otto mesi di reclusione e 4.000,00 euro di multa, ma non ha indicato di aver acquisito nuovi elementi di prova in ordine a questo profilo.
Esclusa l’inammissibilità del ricorso, che preclude in radice la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale a norma dell’art. 344 -bis cod. proc. pen. (cfr., in particolare, Sez. 4, n. 20971 del 13/05/2025, Silm, Rv. 288268 -01, e Sez. 2, n. 40349 del 27/06/2024, Piano, Rv. 287085 -01 ), quest’ultima deve essere rilevata, ove ne sussistano i presupposti.
E, nella specie, i termini per l’improcedibilità dell’azione penale a norma dell’art. 344 -bis cod. proc. pen. sono decorsi perché: a) la sentenza della Corte d’appello è stata pronunciata il 16 giugno 2023, ed ha indicato il termine di novanta giorni per il deposito della motivazione, sicché il termine per l’improcedibilità è obiettivamente fissato per il 13 giugno 2025; b) la precisata sentenza della Corte d’appello è stata depositata soltanto il 13 dicembre 2024 e gli atti sono pervenuti in Corte di cassazione l’11 febbraio 2025; c) il ricorso è stato fissato davanti alla VII Sezione penale per l ‘udienza del 30 maggio 2025, ma non è stato definito in quella sede per ché si è rilevata la ‘non’ inammissibilità del ricorso; d) una volta restituito il ricorso dalla VII Sezione, non vi erano più i termini per fissare ritualmente l’udienza per la trattazione dello stesso entro il 13 giugno 2025, essendo necessari a tal fine almeno venti giorni.
Conclusivamente, l’infondatezza delle censure enunciate nel ricorso di NOME COGNOME determinano il rigetto di tale atto di impugnazione e la condanna del medesimo al pagamento delle spese processuali, mentre, con riferimento a
NOME COGNOME, il decorso del termine previsto dall’art. 344 -bis cod. proc. pen. e l’ammissibilità del suo ricorso determinano la declaratoria di improcedibilità dell’azione penale in forza della disposizione appena citata.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso di COGNOME NOME che condanna al pagamento delle spese processuali. Dichiara l’improcedibilità dell’azione penale a norma dell’art. 344 -bis cod. proc. pen. nei confronti di COGNOME NOME.
Così deciso il 15/10/2025.
Il Consigliere estensore Il Presidente NOME COGNOME NOME COGNOME