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False dichiarazioni reddito cittadinanza: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37397/2025, si è pronunciata sul reato di false dichiarazioni per il reddito di cittadinanza. Il caso riguardava un beneficiario che, dopo l’introduzione di nuovi requisiti (assenza di misure cautelari), aveva presentato una falsa autocertificazione richiesta dall’INPS per proseguire l’erogazione. La Corte ha stabilito che tale condotta integra il reato più grave previsto dall’art. 7, comma 1, del D.L. 4/2019, e non la fattispecie meno grave, poiché la dichiarazione è finalizzata a ottenere indebitamente la prosecuzione del beneficio. Per un’altra ricorrente, invece, l’azione penale è stata dichiarata improcedibile per decorso dei termini processuali.

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Pubblicato il 25 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Dichiarazioni Reddito di Cittadinanza: Quando il Reato è più Grave?

La Corte di Cassazione interviene con una sentenza di grande rilevanza per chiarire le conseguenze penali delle false dichiarazioni per il reddito di cittadinanza, specialmente quando i requisiti di legge cambiano dopo che il beneficio è già stato concesso. La pronuncia analizza il caso di un cittadino che ha reso una falsa autocertificazione su richiesta dell’INPS per continuare a percepire il sussidio, stabilendo che tale condotta integra la fattispecie di reato più grave.

I Fatti del Caso

La vicenda giudiziaria riguarda due persone condannate in appello per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza.

Il primo ricorrente aveva presentato la domanda iniziale quando la legge non richiedeva ancora di dichiarare l’assenza di misure cautelari a proprio carico. Successivamente, a seguito di una modifica normativa che introduceva questo requisito, l’INPS inviò a tutti i beneficiari un modulo per autocertificare il possesso delle nuove condizioni. L’uomo, pur essendo sottoposto all’obbligo di dimora, dichiarò il falso, attestando che nessun componente del suo nucleo familiare fosse soggetto a misure cautelari.

La seconda ricorrente, condannata per un fatto analogo, ha impugnato la sentenza d’appello lamentando la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (dato l’importo esiguo percepito, circa 893 euro) e la revoca della sospensione condizionale della pena, a suo dire disposta in violazione del divieto di reformatio in peius.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha emesso una decisione differenziata per i due ricorrenti.

Per il primo, il ricorso è stato rigettato. I giudici hanno confermato la sua responsabilità per il reato più grave previsto dall’art. 7, comma 1, del D.L. n. 4/2019.

Per la seconda ricorrente, invece, la Corte ha dichiarato l’improcedibilità dell’azione penale. Pur ritenendo il ricorso ammissibile nel merito, i giudici hanno constatato il decorso dei termini massimi di durata del giudizio di cassazione, come previsto dall’art. 344-bis del codice di procedura penale, introdotto dalla Riforma Cartabia.

Le Motivazioni sulle false dichiarazioni reddito di cittadinanza

La parte più significativa della sentenza riguarda la motivazione con cui la Corte ha qualificato la condotta del primo ricorrente. La sua difesa sosteneva che la falsa dichiarazione, essendo successiva all’ottenimento del beneficio, dovesse al massimo integrare la fattispecie meno grave di omessa comunicazione di informazioni rilevanti per la revoca o la riduzione del sussidio (art. 7, comma 2).

La Cassazione ha respinto questa tesi. I giudici hanno spiegato che le disposizioni transitorie della legge di conversione (art. 13, comma 1-bis) avevano subordinato la prosecuzione dell’erogazione del beneficio oltre i primi sei mesi proprio alla presentazione di un’ulteriore certificazione che attestasse il possesso dei nuovi requisiti. Di conseguenza, la falsa autocertificazione richiesta dall’INPS non era una mera comunicazione successiva, ma un atto necessario e strumentale per continuare a “ottenere indebitamente il beneficio”. Pertanto, la condotta rientra a pieno titolo nell’ipotesi più grave (punita con la reclusione da due a sei anni) e non in quella minore.

La Posizione della Seconda Ricorrente e l’Improcedibilità

Per quanto riguarda la seconda ricorrente, la Corte ha prima chiarito che il giudice d’appello può legittimamente revocare ex officio una sospensione condizionale della pena, se emergono cause ostative non note al primo giudice. Tuttavia, l’esame del merito è stato precluso da una questione procedurale. I termini per la definizione del giudizio di cassazione erano scaduti, obbligando la Corte a dichiarare l’improcedibilità dell’azione penale, chiudendo così il processo senza una decisione sulla colpevolezza.

Le Conclusioni

La sentenza offre due importanti principi di diritto. In primo luogo, chiarisce che le false dichiarazioni sul reddito di cittadinanza relative a requisiti introdotti successivamente e richieste dall’INPS per la prosecuzione del beneficio configurano il reato più grave di cui all’art. 7, comma 1, D.L. 4/2019. La dichiarazione mendace, in questo contesto, è considerata un mezzo per ottenere un’erogazione che altrimenti sarebbe stata interrotta. In secondo luogo, il caso evidenzia l’impatto concreto della Riforma Cartabia, mostrando come i termini di improcedibilità possano portare alla chiusura di un processo, indipendentemente dalla fondatezza delle accuse o dei motivi di ricorso.

Chi fa una falsa dichiarazione su un requisito introdotto dopo aver già ottenuto il Reddito di Cittadinanza commette reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, se l’INPS richiede un’autocertificazione per verificare nuovi requisiti necessari a proseguire l’erogazione del beneficio, una dichiarazione falsa integra il reato più grave previsto dall’art. 7, comma 1, del D.L. 4/2019, poiché è finalizzata a ottenere indebitamente la continuazione del sussidio.

La Corte d’Appello può revocare una sospensione condizionale della pena anche se il Pubblico Ministero non ha fatto appello su quel punto?
Sì. La sentenza conferma che il giudice d’appello può revocare d’ufficio la sospensione condizionale della pena qualora, sulla base di elementi di prova nuovi o non noti in primo grado, emergano cause ostative alla concessione del beneficio, come una precedente condanna a pena sospesa.

Cosa significa che l’azione penale è diventata “improcedibile” per decorso dei termini?
Significa che il processo si estingue senza una decisione finale sulla colpevolezza o innocenza dell’imputato, perché è stato superato il tempo massimo stabilito dalla legge (art. 344-bis c.p.p., introdotto dalla Riforma Cartabia) per la durata di quel grado di giudizio. Questo porta alla chiusura definitiva del procedimento.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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