Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 35913 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 3 Num. 35913 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 18/06/2025
SENTENZA
sul ricorso presentato da NOME, nato in Nigeria, il DATA_NASCITA avverso la sentenza della Corte di appello di Catanzaro del 24/01/2025 visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dalla consigliera NOME COGNOME; lette le conclusioni rassegnate, ex art. 23, comma 8, del decreto-legge n. 137 del 2020, dal Procuratore generale che ha concluso invocando l’annullamento del provvedimento impugnato, in accoglimento del primo motivo di ricorso assorbente i residui, con rinvio alla Corte di appello di Catanzaro;
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza del 24 gennaio 2025 la Corte di appello di Catanzaro ha confermato la condanna alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione (con le attenuanti generiche) pronunciata, il 14 marzo 2024, dal Tribunale di Lamezia
Terme nei confronti di NOME, ritenuto colpevole del reato, ascrittogli, di cui all’art. 7, comma 1, d.l. n.4/19, conv. in I. n. 26/19, commesso in Lamezia terme dal 14 ottobre 2020 all’aprile 2021 (ha ordinato, altresì, la trasmissione, ex art. 73, commi 3 e 10 del d.l. n. 4/19, della sentenza all’INPS territorialmente competente per la revoca del beneficio e la restituzione delle somme indebitamente dallo stesso percepite).
NOME ha proposto, a mezzo del difensore di fiducia, tempestivo ricorso con cui invoca l’assoluzione con formula ampia ex art. 530 cod.proc.pen., o, in subordine, ex art. 530, comma 2, cod.proc.pen., o, in ulteriore subordine, ai sensi del comma 3 dell’art. 530 cod.,proc.pen., per la ritenuta sussistenza della scriminante di cui all’art. 131-bis cod.pen., affidato a quattro motivi.
2.1. Col primo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett.b) cod.proc.pen., violazione dell’art. 136 Cost. per incompatibilità del requisito minimo di durata della residenza con la direttiva 2003/109/CE, con la direttiva 2011/95/CE e con l’art. 3 Cost..
La Corte di appello di Catanzaro nel rigettare il primo motivo di appello vertente in tema di abolitio criminis derivante dall’abrogazione del d.l. n. 4/19 ad opera della legge di bilancio 2023, affermava, incidentalmente, che «la norma citata prescrive che il beneficiario del sostegno economico debba essere “residente in Italia per almeno dieci anni, di cui gli ultimi due, considerati al momento della presentazione della domanda e per tutta la durata dell’erogazione del beneficio, in modo continuativo”. Il giudice di prime cure ha correttamente escluso che l’imputato avesse rispettato tale prescrizione, per come emerso dagli accertamenti della RAGIONE_SOCIALE».
Con ciò violando il disposto dell’art. 136 Cost. laddove non ha considerato che, nelle more, era intervenuta la pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea del 29 luglio 2024 nelle cause C-112/22 e C-223/22, secondo cui così il requisito della residenza decennale, come la correlata sanzione penale in caso di falsa dichiarazione sul possesso dello stesso sono incompatibili con il diritto europeo e il principio di non discriminazione. Di talché (anche a prescindere dalla pendenza innanzi alla CGUE della questione della compatibilità della “clausola di residenza” con gli artt. 26 e 29 della direttiva 2011/95/CE), la postulata necessaria assoluzione del ricorrente dal reato contestatogli.
2.2. Col secondo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett.b) cod.proc.pen., violazione degli artt. 194, comma 3, e 530, comma 2, cod.proc.pen., in relazione alla mancata prova così di una dichiarazione sottoscritta dall’imputato circa il proprio status di residente ultradecennale, come di una dichiarazione telematica in tal senso a lui direttamente imputabile.
La condanna sarebbe stata pronunciata mercè una ricostruzione dei fatti asseritamente in contrasto con le dichiarazioni rese dal teste Igt. NOME, che peraltro avrebbe riferito propri apprezzamenti, e con le fonti documentali, che attestano l’inserimento della domanda del beneficio tramite intermediario autorizzato.
In assenza di prova dell’attribuzione della dichiarazione falsa e dell’inoltro della domanda all’imputato quest’ultimo avrebbe dovuto essere assolto, quanto meno a mente dell’art. 530, comma 2, cod.proc.pen..
2.3. Col terzo motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett.b) cod.proc.pen., violazione dell’art. 530, comma 2, cod,proc.pen., e manifesta illogicità e contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 606, ‘comma 1, lett.e) cod.proc.pen..
La Corte di appello ha aggiunto che comunque l’utilizzo dell’intermediario sarebbe irrilevante perché gli obblighi informativi e conoscitivi che governano l’erogazione del beneficio gravano sempre sul sottoscrittore dell’autocertificazione, non potendosi traslare la responsabilità per il falso sull’edificio onerato della sola trasmissione burocratica.
Si tratta, secondo la difesa, di affermazione erronea ed illogica che contrasta con l’istruttoria dibattimentale dove sarebbe emerso che non c’è stata alcuna verifica della conoscenza da parte dell’imputato della lingua italiana da parte degli organi inquirenti, dunque non può ritenersi l’errore eventuale e scusabile nella compilazione della domanda in presenza di una non adeguata conoscenza della lingua italiana che impedisce al soggetto di poter presentare in autonomia la domanda e rende più vulnerabile l’imputato medesimo, che può essere facilmente indotto in errore da intermediario che non assolva i propri obblighi informativi. Situazione, questa, particolarmente rilevante nel caso di specie, atteso che la difesa dell’imputato ha depositato in giudizio di primo grado, all’udienza del 14 marzo 2024, l’attestazione di domanda di protezione internazionale dell’imputato da cui era evidente il non possesso dei requisiti di residenza ultradecennale e la conoscenza della lingua italiana. Si tratta di ulteriore motivo che avrebbe dovuto determinare una assoluzione con formula ampia o quantomeno ai sensi dell’articolo 530, comma 2, cod.proc.pen..
2.4. Col quarto motivo denuncia, ex art. 606, comma 1, lett.b) e c), cod.proc.pen., violazione degli artt. 598-bis, comma 1, 129, e 530, comma 3, cod.proc.pen. e 131-bis cod.pen., per aver la Corte territoriale omesso di pronunciarsi sulla istanza difensiva svolta in appello, e di cui pure dava atto, di riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 131-bis cod.pen. -riconoscibile secondo prospettazione difensiva nel caso di specie trattandosi di imputato incensurato, di reato dalla offensività minima tant’è che i giudici di merito hanno applicato il minimo edittale, da cui la percezione
di somme complessivamente inferiori al minimo considerato dal legislatore quale soglia per ritenere la penale rilevanza in merito ad altre fattispecie relative alla indebita percezione di erogazioni pubbliche- valutazione che avrebbe potuto svolgersi anche di ufficio per come stabilito dalla Giurisprudenza di questa Corte.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Da tale presupposto ricostruttivo, è stata desunta la compatibilità, con il sistema costituzionale, di un requisito (la previa residenza, peraltro ridotta da dieci a cinque anni) dimostrativo di un sufficiente radicamento del richiedente nel territorio dello Stato.
Tali conclusioni sono state raggiunte sottolineando, tra l’altro, che la CGUE non aveva in alcun modo verificato la fondatezza della prospettazione del Tribunale rimettente, e che del resto era stata proprio la Grande Sezione ad aver «correttamente rimesso tale verifica al sistema giurisdizionale e costituzionale che è deputato a garantire l’uniforme applicazione del diritto interno» (cfr. supra, § 2.2.2).
Ritiene il Collegio che non vi siano ragioni per discostarsi dall’impostazione della Corte costituzionale, in relazione sia a quanto appena ricordato in ordine ai rapporti tra le Corti interne e gli organi di giustizia sovranazionale, sia al concreto inquadramento delle disposizioni in tema di r.d.c. (avuto riguardo alle peculiari connotazioni della disciplina rispetto ai principi in tema di assistenza sociale), sia anche alla ritenuta piena compatibilità, con il sistema, di un requisito comprovante un apprezzabile radicamento del richiedente.
A ben vedere, del resto, la divergenza tra le due Cortrnon attiene tanto al merito della questione che qui rileva, quanto soprattutto ai presupposti ricostruttivi, in relazione ai quali, peraltro la CGUE – come già più volte ricordato – non ha ritenuto di verificare in alcun modo l’esattezza dell’impostazione prospettata dal giudice del rinvio pregiudiziale. Ciò consente di ritenere, tra l’altro, che la presente decisione non si ponga in effettivo contrasto con le opposte conclusioni raggiunte da una recente sentenza di questa Suprema Corte (Sez. 2, n. 13345 del 05/03/2025, Pena Abreu Rv. 287933 – 01), dal momento che tale sentenza è stata pronunciata anteriormente all’intervento della Corte costituzionale.
In tale complessiva cornice ermeneutica e ricostruttiva, non può che riaffermarsi , la piena conformità ai principi costituzionali e sovranazionali della disposizione volta a sanzionare penalmente la non rispondenza al vero delle dichiarazioni rese, in sede di richiesta del beneficio, con riferimento alla previa residenza (pur nel limite di cinque anni, quanto alla durata)».
1.2. Nel caso che ne occupa è rimasto accertato che il 14 ottobre 2020 l’imputato ha presentato la domanda di ammissione al beneficio richiesto, cui è stato ammesso sicchè ha percepito, dal novembre 2020 ad aprile 2021, un ammontare complessivo di euro tremila.
Oncrocio delle banche dati consultate dalla RAGIONE_SOCIALE RAGIONE_SOCIALE ha fatto emergere la circostanza della legale residenza in Italia dal 16 febbraio 2017, data di attribuzione del codice fiscale.
1.3. Sicchè risulta innegabilmente che alla data della domanda NOME risiedeva in Italia solo da poco più di tre anni, e che dunque non aveva maturato il requisito, minimo, di legale permanenza nello Stato da cinque anni, secondo il dictum della Corte Costituzionale.
Né il ricorrente contesta alcunchè a proposito della durata della propria permanenza in Italia.
Ne consegue l’infondatezza del motivo come proposto.
Infondati sono, anche, il secondo e terzo motivo, che, per analogia di contenuto, possono essere trattati congiuntamente e che, peraltro, ripropositivi delle doglianze proposte in appello, senza adeguato confronto con le motivazioni rese dal Giudice di merito, si palesano, ancor prima, inammissibili.
2.1. Il ricorso è inammissibile, ove vengano riproposte in questa sede di legittimità doglianze già correttamente disattese, in fatto e diritto, dalla Corte territoriale. E’ infatti inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che si risolvono nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, non massimata e Sez. 2, n. 7986 del 18/11/2016, dep. 2017, La Gumina, Rv 269217).
La funzione tipica dell’impugnazione, d’altro canto, è quella della critica argomentata avverso il provvedimento cui si riferisce. Tale critica argomentata si realizza attraverso la presentazione di motivi che, a pena di inammissibilità (artt. 581 e 591 c.p.p.), debbono indicare specificamente le ragioni di diritto e gli elementi di fatto che sorreggono ogni richiesta. Contenuto essenziale dell’atto di impugnazione è, pertanto, innanzitutto e indefettibilmente il confronto puntuale (cioè con specifica indicazione delle ragioni di diritto e degli elementi di fatto che fondano il dissenso) con le argomentazioni del provvedimento il cui dispositivo si contesta (testualmente Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv 254584 e Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
Se il motivo di ricorso si limita a riprodurre il motivo d’appello, quindi, per ciò solo si destina all’inammissibilità, venendo meno in radice l’unica funzione per la quale è previsto e ammesso (la critica argomentata al provvedimento), posto che con siffatta mera riproduzione il provvedimento ora formalmente ‘attaccato’, lungi dall’essere destinatario di specifica critica argomentata, è di fatto del tutto ignorato (sempre, da ultimo, Sez. 2, n. 19411 del 12/3/2019, COGNOME, cit.).
2.2. La Corte di appello, in linea con le acquisizioni probatorie dibattimentali del primo grado di giudizio ha attestato come «La domanda di accesso al beneficio del
reddito di cittadinanza può essere inoltrata soltanto tramite il portale telematico predisposto dall’RAGIONE_SOCIALE da parte di un soggetto abilitato o dal richiedente, se dotato di SPID. In entrambi i casi l’accertamento dell’identità del richiedente, che di fatto inserisce dei segni di spunta in corrispondenza delle varie voci da compilare, è fatta o dal soggetto abilitato o implicito nell’utilizzo dello SPID, sistema di riconoscimento digitale riferito esclusivamente al suo titolare, sicché non possono avanzarsi ragionevoli dubbi sulla provenienza della richiesta di accesso al beneficio da parte dell’imputato, che ha persino ricevuto alcune tranche di pagamento senza opporvisi o restituirle all’ente erogatore».
Ha, anche, fugando le argomentazioni difensive in merito a quella che ha definito «adombrata negligenza del CAF», rilevato che, non è provata alcuna intermediazione di tal fatta, quand’anche la stessa si fosse in concreto verificata essa non sarebbe stata dirimente «non potendosi traslare la responsabilità per il falso sull’ufficio onerato della sola trasmissione burocratica (S.C. n. 23265 del 07/05/2024, Ud (dep. 10/06/2024) Rv 286413- 01), in tema di false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del reddito di cittadinanza, l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto a percepirne l’erogazione, in difetto dei requisiti a tal fin richiesti dall’art. 2 d.l. 28 gennaio 2019, numero 4, convertito con modificazioni in I. 28 Marzo 2019 n. 26, si risolve in errore sulla legge penale che non esclude la sussistenza del dolo ex art. cod.pen. in quanto l’anzidetta disposizione integra il precetto penale di cui all’art. 7 del citato d.l. (in motivazione, la Corte ha aggiunto che non ricorre neanche un caso di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, non presentando la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza, connotati di criticità tali da far ritenere l’oscurità del precetto).
A tanto deve aggiungersi che in ogni caso il Tribunale (trattasi di cd. doppia conforme) aveva dato atto della esatta riconducibilità della compilazione dell’istanza alla sua persona, per avere il teste NOME riferito della presentazione della domanda con le sue credenziali informatiche, ed in assenza di dati che, per converso, ne attestassero la riconducibilità a centri per l’avviamento fiscale (quali, ad esempio, l’indirizzo di posta elettronica di regola inserito nell’apposita casella per attestare la provenienza della domanda).
2.3. Introduce ora la difesa, a sostegno delle proprie argomentazioni, la questione, del tutto nuova, della fallace conoscenza della lingua italiana in capo al ricorrente. 2.3.1. Si osserva, al proposito, che la stessa è estranea ai motivi di appello per come risultante dal riassunto propostone dalla Corte nell’incipit della motivazione
della propria decisione.
E che è inammissibile il ricorso per cassazione con cui si deduca una violazione di legge verificatasi nel giudizio di primo grado, se non si procede alla specifica contestazione del riepilogo dei motivi di appello, contenuto nella sentenza
impugnata, che non menzioni la medesima violazione come doglianza già proposta in sede di appello, in quanto, in mancanza della predetta contestazione, il motivo deve ritenersi proposto per la prima volta in cassazione, e quindi tardivo (v., ex multis, Sez. 2, n. 31650 del 03/04/2017, COGNOME, Rv. 270627 – 01).
2.4. Ma anche a prescindere da tale, ulteriore, motivo di inammissibilità del motivo, che tenta, anche, di introdurre una diversa, più favorevole all’imputato, lettura dei fatti basata su mere ipotesi giustificative disancorate da fonti di prova, si osserva che anche sul punto dedotto col motivo in esame questa Corte di legittimità ha avuto modo di chiarire che «non è ravvisabile l’ipotesi di cui all’art. 47, comma 3, cod. pen., poiché le norme contenute nel D.L. n.4 del 2019, nello stabilire i requisiti di accesso al reddito di cittadinanza, integrano il precetto penale contenuto nell’art. 7 d.l. 28 gennaio 2019, n. 4, essendo in esso incorporate, posto che la norma penale punisce chi effettua false indicazioni dei dati di fatto riportati nell’autodichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza. Ne deriva che l’ignoranza o l’errore circa la sussistenza del diritto ad ottenere il reddito, pur non essendo in possesso dei suddetti requisiti, si risolve in ignoranza o in errore sulla legge penale. Né è sostenibile che si versi in un’ipotesi di inevitabilità dell’ignoranza della legge penale, poiché la normativa in tema di concessione del reddito di cittadinanza non presenta certamente connotati di cripticità tali da potersi ricondurre all’ottica dell’oscurità del precetto. Non nemmeno riscontrabile, in materia, una situazione di caos interpretativo o dì assoluta estraneità del contenuto precettivo delle norme alla sensibilità del cittadino» (Sezione 3, 7541/2024 cit.; Sezione 3, n. 44924 del 27/9/2023, Clement, n.m.).
2.4.1. Invero, nel caso di specie l’informazione risultata falsa è relativa al periodo di permanenza sul territorio dello Stato, dunque, ad una circostanza di facile e immediata intuitiva comprensione.
2.5. I motivi sono dunque infondati.
Inammissibile è il quarto motivo di ricorso con cui si lamenta la mancata valutazione della sussistenza dei presupposti di una pronuncia ai sensi dell’art. 131-bis cod.pen., fornendo una qualche giustificazione alla invocata istanza.
3.1. Nulla risulta a proposito di una richiesta di tal fatta al Tribunale.
3.2. Pur enunciata col primo motivo di appello, in limine, la doglianza di una mancata assoluzione ai sensi dell’art. 131-bis cod.pen., le deduzioni difensive si son limitate a quanto di seguito, testualmente, si riporta : ” si ritiene applicabi al caso di specie anche la causa di esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131-bis cod.pen.”.
Richiesta in relazione alla quale non si disconosce, certamente, la mancata risposta da parte della Corte territoriale.
3.3. Si osserva, tuttavia, che si trattava di motivo semplicemente assertivo, privo di qualsivoglia argomentazione, dunque palesemente geneticamente inammissibile per genericità assoluta.
3.4. Si rileva che il difetto di motivazione della sentenza di appello in ordine a motivi generici, anche proposti in concorso con altri motivi specifici, non può formare oggetto di ricorso per cassazione, poiché i motivi generici restano viziati da inammissibilità originaria, quand’anche il giudice dell’impugnazione non abbia pronunciato in concreto tale sanzione (Sez. 5, n. 44201 del 29/09/2022, Testa, Rv. 283808 – 01; Sez. 3, n. 10709 del 25/11/2014, dep. 2015, Botta, Rv. 262700 – 01).
In tal caso si parla di «inammissibilità originaria» (nella specie per genericità), cui consegue, nonostante la proposizione del gravame, il passaggio in giudicato della sentenza di merito (Sez. 5, n. 4867 del 29/11/2000, COGNOME, Rv. 219060 – 01), posto che essa colpisce l’impugnazione nel suo momento iniziale, con la conseguenza che non si instaura il rapporto processuale di impugnazione (Sez. 1, n. 13665 del 12/11/1998, COGNOME, Ry. 212023 – 01).
Inoltre, è inammissibile per carenza d’interesse il ricorso per cassazione avverso la sentenza di secondo grado che non abbia preso in considerazione un motivo di appello inammissibile “ah origine” per manifesta infondatezza, in quanto l’eventuale accoglimento della doglianza non sortirebbe alcun esito favorevole in sede di giudizio di rinvio (Sez. 3, Sentenza n. 46588 del 03/10/2019, Bercigli, Rv. 277281 – 01).
Ne consegue l’infondatezza del ricorso nella sua complessità. E la condanna del ricorrente alle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Così deciso in Roma il 18 giugno 2025
Il Presidente