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False dichiarazioni reddito cittadinanza: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per un cittadino straniero che aveva ottenuto il reddito di cittadinanza tramite false dichiarazioni sul requisito di residenza. La sentenza stabilisce che il requisito di residenza quinquennale è legittimo e conforme ai principi costituzionali, non configurandosi come mera assistenza sociale. Di conseguenza, le false dichiarazioni reddito cittadinanza integrano il reato, e la responsabilità penale non può essere esclusa né dall’intervento di un intermediario né dalla presunta ignoranza della legge o della lingua italiana. I motivi di ricorso generici o ripetitivi sono stati dichiarati inammissibili.

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Pubblicato il 9 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Dichiarazioni Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma la Condanna

Con una recente sentenza, la Corte di Cassazione ha affrontato il tema delle false dichiarazioni reddito cittadinanza, confermando la condanna penale nei confronti di un cittadino straniero che aveva attestato falsamente il possesso del requisito di residenza. La decisione chiarisce importanti principi sulla legittimità della normativa, sulla responsabilità personale del dichiarante e sui limiti delle difese basate sull’ignoranza della legge o sull’ausilio di intermediari.

I Fatti del Caso: La Dichiarazione e la Condanna

Il caso riguarda un cittadino di origine nigeriana condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 7 del D.L. n. 4/2019. L’imputato aveva presentato domanda per il reddito di cittadinanza nel 2020, percependo indebitamente circa tremila euro tra novembre 2020 e aprile 2021. Le indagini della Guardia di Finanza avevano accertato che, al momento della domanda, l’uomo risiedeva in Italia da poco più di tre anni, un periodo inferiore al requisito minimo di permanenza legale nello Stato, fissato dalla Corte Costituzionale in cinque anni.

I Motivi del Ricorso in Cassazione

La difesa ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su quattro motivi principali:
1. Incompatibilità con il diritto europeo: Si sosteneva che il requisito della residenza decennale (poi ridotto a quinquennale) fosse in contrasto con le direttive UE e con il principio di non discriminazione, citando una pronuncia della Corte di Giustizia dell’Unione Europea.
2. Mancanza di prova: La difesa contestava la prova che la dichiarazione falsa fosse direttamente attribuibile all’imputato, suggerendo un errore da parte di un intermediario.
3. Illogicità della motivazione: Si criticava la Corte d’Appello per non aver considerato la scarsa conoscenza della lingua italiana da parte dell’imputato, che lo avrebbe reso vulnerabile a errori nella compilazione della domanda.
4. Mancata applicazione dell’art. 131-bis c.p.: Si lamentava l’omessa valutazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La Decisione della Corte sulle False Dichiarazioni Reddito di Cittadinanza

La Corte di Cassazione ha rigettato tutti i motivi, dichiarando il ricorso infondato e, per alcuni aspetti, inammissibile.
Sul primo e più rilevante motivo, i giudici hanno ribadito la piena legittimità del requisito di residenza. Richiamando una precedente sentenza della stessa Sezione e una pronuncia della Corte Costituzionale (n. 31/2025), la Cassazione ha sottolineato che il reddito di cittadinanza non è una semplice misura di assistenza sociale, ma un istituto con connotazioni peculiari (temporaneità, impegni lavorativi, requisiti di onorabilità). Questa natura giustifica la richiesta di un ‘sufficiente radicamento’ del richiedente nel territorio dello Stato, dimostrato da un periodo minimo di residenza di cinque anni. La pronuncia della CGUE, basata sul presupposto che il RdC fosse una misura di assistenza sociale, non è stata ritenuta vincolante, in quanto la qualificazione dell’istituto spetta all’ordinamento nazionale.

Inammissibilità degli Altri Motivi di Ricorso

Gli altri motivi sono stati giudicati inammissibili. Il secondo e il terzo motivo sono stati considerati una mera riproposizione delle doglianze già presentate in appello, senza un confronto specifico con le motivazioni della sentenza impugnata. La Corte ha chiarito che la responsabilità per le dichiarazioni mendaci grava sempre sul sottoscrittore, anche se si avvale di un intermediario. Inoltre, l’ignoranza della legge penale non è una scusante, specialmente quando riguarda un requisito chiaro e comprensibile come la durata della residenza.
Anche il quarto motivo, relativo alla particolare tenuità del fatto, è stato dichiarato inammissibile per ‘genericità assoluta’, in quanto l’istanza in appello era stata presentata in modo assertivo e privo di adeguata argomentazione.

Le Motivazioni della Sentenza

La sentenza si fonda su alcuni pilastri giuridici fondamentali. In primo luogo, la distinzione tra le misure di assistenza sociale pure e il reddito di cittadinanza, la cui disciplina specifica permette al legislatore di imporre requisiti come la residenza prolungata. In secondo luogo, il principio di auto-responsabilità del dichiarante: chi sottoscrive una domanda si assume la paternità e la veridicità di quanto attestato, e non può scaricare la colpa su terzi o sulla propria negligenza. Infine, la Corte ha riaffermato un principio cardine del processo penale: l’inammissibilità dei ricorsi generici o ripetitivi, che non svolgono la funzione critica richiesta dall’atto di impugnazione. L’ignoranza della legge penale non è scusabile (art. 5 c.p.), a meno che non sia inevitabile, circostanza non ravvisata nel caso di specie, data la semplicità del precetto violato.

Conclusioni

La decisione consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso in materia di false dichiarazioni reddito cittadinanza. La sentenza ribadisce che il requisito di residenza è un pilastro legittimo della normativa e che la responsabilità penale per false attestazioni è personale e difficilmente eludibile. I cittadini, soprattutto stranieri, devono prestare la massima attenzione nella compilazione delle domande per l’accesso a benefici pubblici, poiché l’ordinamento non ammette giustificazioni basate sulla negligenza, sulla scarsa conoscenza della lingua o sull’affidamento a intermediari.

Il requisito di residenza per il reddito di cittadinanza è legittimo secondo la Cassazione?
Sì. La Corte di Cassazione, in linea con la Corte Costituzionale, ha stabilito che il requisito di residenza minimo di cinque anni è legittimo. Il reddito di cittadinanza non è considerato una mera misura di assistenza sociale, ma un istituto più complesso che giustifica la richiesta di un sufficiente radicamento del richiedente sul territorio nazionale.

Chi è responsabile in caso di false dichiarazioni reddito di cittadinanza presentate tramite un intermediario (es. CAF)?
La responsabilità penale per le false dichiarazioni ricade sempre su colui che sottoscrive la domanda. Secondo la sentenza, non è possibile ‘traslare’ la responsabilità sull’intermediario, il cui ruolo è limitato alla trasmissione burocratica della pratica. Il dichiarante è l’unico garante della veridicità delle informazioni fornite.

L’ignoranza della legge o la scarsa conoscenza della lingua italiana possono giustificare false dichiarazioni?
No. La Corte ha stabilito che l’errore sulla sussistenza dei requisiti si risolve in un errore sulla legge penale, che di norma non scusa. La normativa sul reddito di cittadinanza non è stata ritenuta così complessa o oscura da rendere l’errore inevitabile. La scarsa conoscenza della lingua italiana, inoltre, è stata considerata un’argomentazione nuova e tardiva, e comunque non idonea a escludere la colpevolezza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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