Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 37719 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 37719 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: MELE NOME
Data Udienza: 10/07/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/12/2024 della CORTE D’APPELLO DI PALERMO Visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO; udito il Pubblico Ministero, in persona del AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO, che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con sentenza in data 5 dicembre 2024, la Corte d’appello di Palermo, confermando la decisione del Tribunale di Palermo, riteneva NOME COGNOME responsabile dei reati di cui agli artt. 496 e 61, n. 2 cod. pen. (capo b) e all’art. 73, Igs. n. 159 del 2011 (capo c), condannandolo alla pena di giustizia.
Il COGNOME, sottoposto alla misura di prevenzione personale della sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno nel Comune di Palermo, in data 6 giugno 2020, interrogato dai carabinieri sulla propria identità, aveva reso dichiarazioni mendaci,
affermando che le proprie generalità erano quelle riportate sul certificato di assicurazione del veicolo da lui prodotto in occasione del controllo, mentre in realtà le stesse appartenevano ad una persona diversa. Inoltre, nel medesimo contesto, era stato trovato alla guida di un veicolo dopo che la patente gli era stata revocata con provvedimento del Prefetto in data 28.1.2019.
Avverso tale sentenza, l’imputato ha proposto ricorso per cassazione articolando tre motivi di censura.
2.1. Il primo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla affermata responsabilità per il reato di cui all’art. 496 cod. pen. A differenza di quanto affermato nella sentenza impugnata, il ricorrente sostiene che sin dall’interrogatorio reso all’udienza di convalida egli aveva affermato che la ricostruzione operata dalla polizia giudiziaria era frutto di un fraintendimento in quanto egli, alla richiesta degli operatori, non aveva fornito le proprie generalità ma quelle del proprietario della vettura su cui stava viaggiando, consegnando la carta di circolazione della stessa. In ogni caso, sostiene che la condotta avrebbe dovuto essere riqualificata nel tentativo, in quanto il ricorrente spontaneamente aveva desistito dall’azione, declinando le proprie generalità.
2.2. Il secondo motivo denuncia vizio di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla invocata esclusione della recidiva. La decisione impugnata sarebbe fondata unicamente sulle emergenze del casellario giudiziale, trascurando di valutare l’esistenza di fattori oggettivi che rendessero più grave il reato e concreta la pericolosità sociale dell’imputato.
2.3. Il terzo motivo denuncia di violazione di legge e vizio di motivazione in relazione alla mancata concessione delle attenuanti generiche, essendosi la sentenza impugnata “appiattita” sulle valutazioni del giudice di primo grado.
Il AVV_NOTAIO generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile.
Considerato in diritto
Il ricorso è inammissibile per le ragioni di seguito specificate.
Il primo motivo, che contesta la correttezza della motivazione posta a base del giudizio di responsabilità per il reato di cui all’art. 496 cod. pen., inammissibile.
2.1. Esso – nel sostenere che la risposta data dall’imputato ai Carabinieri che lo avevano sottoposto a controllo sarebbe stata frutto di un fraintendimento – è
invero generico perché fondato su argomenti già vagliati dal primo giudice e che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame e, pertanto, non specifici.
Esso è altresì manifestamente infondato.
Secondo la piana ricostruzione operata da entrambi i giudici del merito, risulta che la richiesta della Polizia giudiziaria di fornire le generalità oralmente era stata rivolta a COGNOME dopo che era stato accertato che egli non era in possesso di alcun valido documento di riconoscimento, circostanza questa, che – come correttamente affermato dalla sentenza impugnata – è idonea ad escludere qualunque fraintendimento in ordine alla richiesta avanzata all’imputato. Ad avvalorare tale conclusione, il giudice di primo grado aveva altresì evidenziato che COGNOME aveva espressamente dichiarato che le sue generalità erano quelle indicate sul contratto assicurativo che aveva esibito loro (v. pag. 4 della sentenza di primo grado).
Non essendovi alcuna ragione di dubitare di quanto accertato dalla Polizia giudiziaria, la censura prospettata risulta del tutto destituita di fondamento.
2.2. Del pari manifestamente infondata è la prospettata configurabilità del reato di cui all’art. 496 cod. pen. nella forma tentata, posto che la sentenza impugnata si è correttamente attenuta ai principi affermati da questa Corte regolatrice, la quale ha ripetutamente affermato che il delitto in parola si consuma nel momento in cui la falsa dichiarazione, resa su richiesta del pubblico ufficiale o dell’incaricato di pubblico servizio, perviene a questi ultimi, per cui non ha rilevanza alcuna, ai fini della sussistenza del reato, l’eventuale ritrattazione successiva (Sez. 5, n. 23353 del 01/04/2022, Denti, Rv. 283432 – 01; Sez. 7, Ordinanza n. 24799 del 2025).
Il secondo motivo che contesta la sussistenza della recidiva non è consentito in sede di legittimità ed è manifestamente infondato.
La Corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi della giurisprudenza di legittimità secondo cui la valutazione del giudice non può fondarsi esclusivamente sulla gravità dei fatti e sull’arco temporale in cui questi risultano consumati, essendo egli tenuto ad esaminare in concreto, in base ai criteri di cui all’art. 133 cod. pen., il rapporto esistente tra il fatto per cui si proc e le precedenti condanne, verificando se ed in quale misura la pregressa condotta criminosa sia indicativa di una perdurante inclinazione al delitto che abbia influito quale fattore criminogeno per la commissione del reato sub iudice. La sentenza impugnata, con motivazione logica e coerente, ha ritenuto che i numerosi precedenti penali da cui COGNOME risulta gravato siano indice della sua spiccata capacità a delinquere nonché della sua concreta pericolosità sociale.
4. Il terzo motivo, con cui si contesta la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, non è consentita in sede di legittimità ed è manifestamente infondato.
Vale al riguardo il principio, più volte ribadito dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. 5, n. 43952 del 13/04/2017, COGNOME, Rv. 271269-01; Sez. 2, n. 3896 del 20/01/2016, COGNOME, Rv. 265826-01; Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, COGNOME, Rv. 259899), secondo cui il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli pur sempre indicati nell’art. 133 cod. pen., considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione. Questa Corte ha altresì precisato che non è necessario che il giudice di merito, nel motivare il diniego della concessione delle attenuanti generiche, prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che facci riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo disattesi o superati tutti gli altri da tale valutazione.
A tale principio la Corte di merito risulta essersi attenuta, avendo negato il beneficio in ragione della assenza di elementi di segno positivo, tenuto conto anche dei numerosi precedenti penali da cui il medesimo è gravato.
5. Alla declaratoria di inammissibilità dell’impugnazione consegue ex lege, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, equamente, in euro 3.000,00, tenuto conto che non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» (Corte cost. n. 186 del 13/06/2000).
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così è deciso, 10/07/2025