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False dichiarazioni: quando scatta il reato? Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Nascostosi in casa di un detenuto ai domiciliari e fingendo di non trovare i documenti, la sua condotta è stata ritenuta una risposta a una richiesta implicita di identificazione degli agenti, integrando così il reato.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Dichiarazioni a Pubblico Ufficiale: Quando la Domanda è Implicita

L’Ordinanza n. 11666/2024 della Corte di Cassazione affronta un caso emblematico di false dichiarazioni a pubblico ufficiale, chiarendo quando si possa ritenere integrato il reato previsto dall’art. 496 del codice penale. La pronuncia è di particolare interesse perché si sofferma sull’elemento della “interrogazione” da parte dell’autorità, specificando che essa non deve essere necessariamente esplicita, ma può desumersi dal contesto e dalle azioni degli agenti.

Il Caso: Occultamento e Finzione per Evitare l’Identificazione

I fatti alla base della vicenda vedono un soggetto condannato in primo e secondo grado per il reato di false dichiarazioni. Durante un controllo, l’individuo era stato trovato nascosto all’interno dell’abitazione di una persona agli arresti domiciliari. In seguito, per sottrarsi all’identificazione, aveva condotto gli agenti presso la propria residenza, simulando di non riuscire a trovare i propri documenti d’identità.

Questo comportamento ostruzionistico e mendace è stato interpretato dai giudici di merito come una condotta penalmente rilevante, volta a ingannare i pubblici ufficiali sulla propria identità o qualità personali.

Il Motivo del Ricorso e le False Dichiarazioni a Pubblico Ufficiale

La difesa dell’imputato ha presentato ricorso in Cassazione lamentando una violazione di legge. Il punto centrale dell’argomentazione difensiva era l’insussistenza dell’elemento specializzante del reato, ovvero l’essere stato “interrogato” sulla propria identità. Secondo il ricorrente, in assenza di una domanda diretta e formale da parte degli agenti, la sua condotta non poteva configurare il delitto contestato.

In sostanza, la tesi era che, non essendoci stata una richiesta esplicita di fornire le generalità, le sue azioni non potevano essere considerate delle false dichiarazioni a pubblico ufficiale in risposta a un’interrogazione.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, e quindi inammissibile. Il ragionamento dei giudici di legittimità si è concentrato sulla logicità della motivazione della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva correttamente evidenziato come le circostanze concrete del controllo rendessero palese l’intento identificativo degli agenti.

La Corte ha stabilito che la condotta dell’imputato non era stata spontanea, ma una chiara reazione a un’iniziativa degli operanti. Il fatto di trovarsi insieme a un detenuto, di essersi nascosto e di aver poi inscenato la ricerca del documento, sono tutti elementi che, letti nel loro insieme, portano alla “ragionevole conclusione” che l’uomo stesse rispondendo a una richiesta, seppur implicita, di identificazione. L’interrogazione, quindi, non necessita di formule sacramentali, ma può emergere dai fatti, quando l’attività del pubblico ufficiale è palesemente finalizzata a ottenere informazioni sull’identità di una persona.

Le Conclusioni: L’Interpretazione Estensiva del Reato

Questa ordinanza ribadisce un principio importante: per la configurazione del reato di cui all’art. 496 c.p., l’elemento della richiesta da parte del pubblico ufficiale non va interpretato in senso restrittivo e formalistico. Il contesto operativo e le finalità dell’intervento di polizia sono sufficienti a configurare una richiesta di fornire le proprie generalità. Di conseguenza, qualsiasi dichiarazione (o condotta, come in questo caso) mendace o reticente, tenuta in tale contesto, integra pienamente il reato di false dichiarazioni a pubblico ufficiale. La decisione, quindi, condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende, confermando la solidità dell’impianto accusatorio dei gradi di merito.

Per configurare il reato di false dichiarazioni ex art. 496 c.p. è necessaria una domanda esplicita da parte del pubblico ufficiale?
No, secondo l’ordinanza, non è necessaria una domanda esplicita. La richiesta di fornire le proprie generalità può essere implicita e desumersi dalle circostanze e dall’iniziativa degli operanti volta a identificare un soggetto.

Quale comportamento è stato considerato sufficiente per integrare il reato nel caso di specie?
La condotta dell’imputato, che prima si è nascosto e poi ha condotto gli agenti al proprio domicilio fingendo di non trovare il documento di identità, è stata ritenuta una risposta non spontanea a un’iniziativa di identificazione della polizia, integrando così il reato.

Qual è stato l’esito del ricorso e perché?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché la motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta non manifestamente illogica. La Corte di Cassazione ha ritenuto ragionevole la conclusione che la condotta dell’imputato fosse una reazione a una richiesta di identificazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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