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False dichiarazioni: quando è reato ex art. 495 c.p.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 20407/2024, ha confermato la condanna per il reato di false dichiarazioni a un pubblico ufficiale (art. 495 c.p.) a carico di un individuo che aveva fornito generalità non veritiere durante un controllo stradale. La Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo la richiesta di riqualificazione del fatto e la concessione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto. Quest’ultima è stata negata a causa dei precedenti penali dell’imputato, indicativi di un’abitualità a delinquere.

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Pubblicato il 18 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Dichiarazioni: la Cassazione chiarisce i limiti della punibilità

Fornire false dichiarazioni a un pubblico ufficiale è una condotta che il nostro ordinamento sanziona con severità. Ma cosa accade quando l’autore del reato chiede l’applicazione di istituti premiali come la non punibilità per tenuità del fatto? Con l’ordinanza n. 20407 del 2024, la Corte di Cassazione offre importanti chiarimenti, confermando che i precedenti penali possono precludere questo beneficio, anche a fronte di un reato apparentemente minore.

I Fatti di Causa

Il caso ha origine da un controllo stradale avvenuto a Parma. Un automobilista, sprovvisto di documenti di identificazione, veniva fermato dai Carabinieri. Interrogato sulle proprie generalità, l’uomo forniva informazioni non veritiere sulla propria identità. Per questo comportamento, veniva condannato in primo grado e in appello per il reato previsto dall’art. 495 del codice penale (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).
L’imputato decideva quindi di presentare ricorso per cassazione, basandolo su tre motivi principali.

Le False Dichiarazioni e la Valutazione della Cassazione

La Suprema Corte ha esaminato i tre motivi di ricorso, dichiarandoli tutti inammissibili.

1. La Richiesta di Messa alla Prova

Il primo motivo riguardava il rigetto dell’istanza di sospensione del processo con messa alla prova. La difesa sosteneva una violazione di legge, ma la Cassazione ha confermato la decisione della Corte d’Appello. La richiesta era stata presentata fuori tempo massimo: la Riforma Cartabia aveva fissato un termine perentorio per i procedimenti già pendenti, e l’istanza era stata depositata ben oltre tale scadenza, rendendola irricevibile.

2. La Qualificazione del Reato

Il secondo motivo contestava la qualificazione giuridica del fatto. La difesa chiedeva di inquadrare la condotta nel reato meno grave di cui all’art. 496 c.p. (False dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri). Anche su questo punto, la Corte ha respinto la tesi difensiva. I giudici hanno ribadito il principio secondo cui fornire false dichiarazioni sulla propria identità a un pubblico ufficiale durante un controllo, in assenza di altri mezzi di identificazione, integra pienamente il reato di cui all’art. 495 c.p. Questo perché tali dichiarazioni sono preordinate a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, costituendo una vera e propria attestazione.

3. Il Diniego della Particolare Tenuità del Fatto

Il terzo motivo, e forse il più significativo, lamentava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.). La difesa riteneva che la condotta fosse di lieve entità e meritasse il beneficio. La Cassazione ha ritenuto il motivo infondato, avallando la valutazione della Corte territoriale.

Le Motivazioni

La Corte di Cassazione ha spiegato che il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa e congiunta di tutti gli elementi della fattispecie concreta. Non basta guardare all’entità del danno o del pericolo, ma occorre considerare le modalità della condotta e il grado di colpevolezza, come previsto dall’art. 133 c.p.
Nel caso specifico, i giudici di merito avevano correttamente valorizzato non solo la gravità intrinseca del mentire a un pubblico ufficiale, ma soprattutto l'”abitualità del comportamento” dell’imputato. La sua inclinazione a violare le norme e a usare l’inganno era desumibile dai suoi precedenti penali, che includevano condanne per omicidio colposo e truffa. Secondo la Corte, questa tendenza a delinquere è un elemento ostativo dirimente per l’applicazione dell’art. 131-bis c.p. Non è necessario, a tal fine, un’analisi di tutti gli indicatori dell’art. 133 c.p., essendo sufficiente evidenziare quelli ritenuti più rilevanti, come appunto l’abitualità del comportamento.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: la valutazione di un reato non può essere mai avulsa dalla personalità e dalla storia criminale del suo autore. Le false dichiarazioni a un pubblico ufficiale non sono una leggerezza, ma un atto che mina la fiducia e l’efficienza della pubblica amministrazione. Questa decisione chiarisce che istituti come la particolare tenuità del fatto non sono un automatismo, ma un beneficio da concedere solo quando la condotta è realmente episodica e il suo autore non manifesta una persistente inclinazione al crimine. Per i cittadini, il messaggio è chiaro: la sincerità nei rapporti con le autorità è un dovere civico la cui violazione può avere conseguenze penali serie, non facilmente eludibili.

Fornire false generalità a un Carabiniere durante un controllo stradale costituisce il reato di cui all’art. 495 c.p.?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi, privo di documenti, fornisce false dichiarazioni sulla propria identità ai Carabinieri durante un controllo integra il reato di cui all’art. 495 c.p., poiché tali dichiarazioni sono considerate un’attestazione preordinata a garantire le proprie qualità personali al pubblico ufficiale.

È possibile chiedere la messa alla prova in appello in qualsiasi momento?
No, la possibilità di richiedere la messa alla prova, anche in appello, è soggetta a termini perentori stabiliti dalla legge. Nel caso analizzato, la richiesta è stata dichiarata intempestiva perché presentata oltre il termine di 45 giorni previsto dalla Riforma Cartabia per i procedimenti pendenti.

Avere precedenti penali impedisce di ottenere la non punibilità per particolare tenuità del fatto?
Sì, può impedirlo. La Corte ha stabilito che l’abitualità del comportamento dell’imputato, desumibile da precedenti penali (nel caso specifico, per omicidio colposo e truffa), è un elemento sufficiente a negare la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, in quanto indica un’inclinazione a violare le norme.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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