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False dichiarazioni per gratuito patrocinio: il caso

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni finalizzate all’ottenimento del gratuito patrocinio. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, i quali avevano ravvisato la piena consapevolezza dell’imputato nella presentazione di dati reddituali non veritieri e nell’omissione di beni (un’autovettura). Secondo la Suprema Corte, il notevole divario tra reddito dichiarato ed effettivo è un elemento sufficiente a dimostrare l’intento fraudolento, rendendo irrilevanti le giustificazioni addotte.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False dichiarazioni per il Gratuito Patrocinio: quando il ricorso è inammissibile

L’accesso al gratuito patrocinio è un diritto fondamentale, ma si basa su un patto di fiducia con lo Stato: la veridicità delle informazioni fornite. Le false dichiarazioni volte a ottenere indebitamente questo beneficio costituiscono un reato grave. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per analizzare le conseguenze di tali condotte e i limiti del ricorso in sede di legittimità.

I Fatti di Causa

Il caso riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato aveva presentato istanza per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, rendendo false dichiarazioni circa la propria situazione reddituale. Nello specifico, era stato accertato un notevole divario tra il reddito dichiarato e quello effettivo, oltre all’omessa indicazione della proprietà di un’autovettura, sebbene intestata alla moglie convivente. La Corte d’Appello aveva confermato la condanna a un anno e un mese di reclusione e a una multa di millecento euro, ritenendo provata la piena consapevolezza dell’imputato.

Il Ricorso in Cassazione e le Doglianze dell’Imputato

L’imputato, tramite il suo difensore, ha presentato ricorso in Cassazione, basandolo su un unico motivo: l’erronea applicazione della legge penale. La difesa sosteneva la mancanza dell’elemento soggettivo del reato, ovvero la volontà cosciente di dichiarare il falso. A supporto di questa tesi, veniva lamentato un travisamento della prova, in particolare della testimonianza di un’addetta di un patronato presso cui l’imputato si era recato per presunti chiarimenti sulla compilazione della domanda. Secondo la difesa, questo dimostrerebbe l’assenza di dolo.

Le motivazioni della Corte di Cassazione sulla base delle false dichiarazioni

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo una mera riproposizione di censure già esaminate e correttamente respinte dai giudici di merito. La Corte ha sottolineato come la motivazione della Corte d’Appello fosse logica e congrua nel dimostrare la piena consapevolezza dell’imputato. Gli elementi decisivi sono stati:

1. Il Rilevante Divario Reddituale: La significativa differenza tra quanto dichiarato e quanto effettivamente percepito è stata considerata un fatto oggettivo che, da solo, difficilmente può essere frutto di una semplice dimenticanza.
2. L’Omissione di Beni: L’aver taciuto la disponibilità di un’autovettura, anche se intestata al coniuge convivente, è stato un ulteriore indice della volontà di nascondere il reale tenore di vita.

La Corte ha inoltre chiarito che la circostanza di essersi recato presso un patronato non esclude la colpevolezza. I giudici di merito avevano correttamente valutato che tale fatto non inficiava la consapevolezza della falsità degli importi dichiarati. Il tentativo della difesa di sollecitare una nuova e diversa interpretazione delle prove è stato respinto, poiché la Corte di Cassazione non può sostituire la propria valutazione a quella del giudice di merito, ma può solo sindacare la logicità della motivazione, che in questo caso è stata ritenuta ineccepibile.

Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale: di fronte a false dichiarazioni palesi e a significative discrepanze economiche, è difficile sostenere la tesi dell’errore o della mancanza di dolo. La Corte di Cassazione conferma che il suo ruolo non è quello di un terzo grado di giudizio sui fatti, ma di garante della corretta applicazione della legge. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, per il ricorrente, non solo la condanna al pagamento delle spese processuali ma anche al versamento di una cospicua somma alla Cassa delle ammende, a testimonianza della serietà con cui l’ordinamento sanziona i tentativi di abusare degli strumenti di tutela dei non abbienti.

Cosa si rischia in caso di false dichiarazioni per ottenere il gratuito patrocinio?
Si rischia una condanna penale per il reato previsto dall’art. 95 d.P.R. 115/2002, che può comportare la reclusione e una multa, come avvenuto nel caso di specie.

Affermare di aver avuto dubbi sulla compilazione è una difesa valida?
No, secondo questa decisione, non è una difesa sufficiente. La Corte ha ritenuto che il fatto di essersi recato presso un patronato per chiedere informazioni non escludesse la piena consapevolezza della falsità degli importi dichiarati, specialmente a fronte di un notevole divario tra reddito dichiarato ed effettivo.

La Corte di Cassazione può riesaminare le prove di un processo?
No, la Corte di Cassazione non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o degli elementi di prova. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge e la logicità della motivazione della sentenza impugnata. Un ricorso che chiede una diversa interpretazione delle prove è destinato all’inammissibilità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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