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False dichiarazioni patrocinio: ricorso inammissibile

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un’imputata condannata per false dichiarazioni per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Il ricorso è stato respinto perché, pur lamentando una violazione di legge, in realtà contestava la ricostruzione dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità. La Corte ha confermato la condanna e ha disposto il pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

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Pubblicato il 25 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False Dichiarazioni Patrocinio a Spese dello Stato: Quando il Ricorso è Inammissibile

L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese legali. Tuttavia, l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è subordinata alla veridicità delle dichiarazioni reddituali. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione si è pronunciata proprio su un caso di false dichiarazioni patrocinio, stabilendo l’inammissibilità del ricorso e confermando la condanna della ricorrente. Analizziamo la decisione per comprendere i principi applicati dalla Suprema Corte.

Il Contesto del Caso Giudiziario

La vicenda processuale ha origine dalla condanna di una persona per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. Tale norma punisce chiunque rende dichiarazioni false od omette informazioni rilevanti al fine di ottenere o mantenere il beneficio del patrocinio a spese dello Stato. La condanna, inizialmente pronunciata dal Tribunale, era stata confermata dalla Corte d’Appello.

Contro la sentenza di secondo grado, la difesa ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo una violazione di legge riguardo all’elemento psicologico del reato. In sostanza, si affermava che l’imputata non avesse agito con dolo, in quanto sarebbe stata indotta in errore sui redditi del coniuge a causa di una presunta separazione di fatto, che però non era mai stata formalmente dimostrata.

Le False Dichiarazioni Patrocinio e i Limiti del Ricorso in Cassazione

Il punto cruciale della decisione della Cassazione risiede nella natura dei motivi di ricorso. La difesa, pur qualificando formalmente il proprio gravame come una censura per “violazione di legge”, ha di fatto articolato delle “doglianze in fatto”. Ha cioè chiesto alla Suprema Corte una nuova e diversa valutazione degli elementi di prova, come la presunta separazione di fatto, al fine di escludere l’intenzione di commettere il reato.

La Corte di Cassazione, tuttavia, non è un terzo grado di giudizio nel merito. Il suo compito è limitato al controllo di legittimità, ovvero verificare che i giudici dei gradi precedenti abbiano correttamente applicato la legge e che la loro motivazione sia logica e non contraddittoria. Non può, quindi, riesaminare i fatti o sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito.

Le Motivazioni della Suprema Corte

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, ha evidenziato come le argomentazioni difensive si limitassero a contrapporre una propria ricostruzione dei fatti a quella, logicamente argomentata, della Corte d’Appello. Quest’ultima aveva già dato conto dell’infondatezza della tesi difensiva, rilevando che la separazione di fatto non era stata provata e che, al contrario, i redditi di terzi (il coniuge) risultavano chiaramente dalla documentazione fiscale prodotta.

Secondo la Cassazione, la motivazione della sentenza d’appello era completa, coerente e priva di vizi logici manifesti. Di conseguenza, il tentativo della difesa di proporre una diversa valutazione dei medesimi elementi era estraneo al perimetro del giudizio di legittimità. Il ricorso mancava, inoltre, di una necessaria analisi critica delle argomentazioni della corte territoriale, limitandosi a riproporre le proprie tesi, come già stabilito da consolidata giurisprudenza (incluse le Sezioni Unite).

Le Conclusioni: Conseguenze della Dichiarazione di Inammissibilità

La declaratoria di inammissibilità del ricorso ha comportato due importanti conseguenze per la ricorrente, in applicazione dell’articolo 616 del codice di procedura penale. Innanzitutto, è stata condannata al pagamento delle spese processuali relative al giudizio di cassazione. In secondo luogo, è stata condannata al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.

Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del nostro sistema processuale: il ricorso per cassazione deve essere fondato su specifici vizi di legittimità e non può essere utilizzato come un pretesto per ottenere una terza valutazione dei fatti. La vicenda sottolinea l’importanza di presentare dichiarazioni veritiere per l’accesso al patrocinio a spese dello Stato e le severe conseguenze, non solo penali ma anche processuali, che derivano da un abuso di tali strumenti di tutela.

Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile dalla Corte di Cassazione?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché, pur essendo formalmente presentato come una contestazione sulla violazione di legge (relativa all’elemento psicologico del reato), in realtà conteneva doglianze di fatto. La difesa chiedeva alla Corte una nuova valutazione delle prove, cosa non permessa nel giudizio di legittimità, che si limita al controllo della corretta applicazione del diritto.

Qual è il reato contestato nel caso di specie?
Il reato contestato è quello previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002, che punisce chiunque renda dichiarazioni false o ometta informazioni rilevanti allo scopo di essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato.

Quali sono le conseguenze economiche per chi propone un ricorso inammissibile in Cassazione?
In base all’art. 616 del codice di procedura penale, la parte che ha proposto un ricorso dichiarato inammissibile viene condannata al pagamento delle spese del procedimento e al versamento di una somma pecuniaria in favore della Cassa delle ammende. Nel caso specifico, la somma è stata fissata in tremila euro.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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