False Dichiarazioni: la Cassazione Conferma che la Ritrattazione Non Salva
Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ribadisce un principio fondamentale in materia di false dichiarazioni: il reato si perfeziona nel momento stesso in cui vengono rese, e una successiva correzione non è sufficiente a cancellarlo. Questa decisione offre spunti importanti sulla natura dei reati istantanei e sui limiti della difesa basata sulla ritrattazione o sulla presunta desistenza volontaria.
I Fatti del Caso: una Dichiarazione Mendace e il Successivo Ripensamento
Il caso ha origine da una condanna per il reato di false dichiarazioni sulla propria identità, previsto dall’articolo 496 del codice penale. Un individuo, interpellato da un’autorità, forniva generalità non veritiere. Solo in un secondo momento, lo stesso soggetto comunicava i dati corretti. Sia in primo grado che in appello, i giudici avevano ritenuto l’imputato colpevole, confermando la condanna. L’imputato, tramite il suo difensore, ha quindi proposto ricorso per Cassazione, sostenendo l’insussistenza del reato.
Il Motivo del Ricorso: False Dichiarazioni e Desistenza Volontaria
La difesa ha incentrato il ricorso su un unico motivo: la violazione di legge riguardo alla configurabilità del reato. La tesi difensiva suggeriva, in sostanza, che la successiva comunicazione delle generalità corrette dovesse essere interpretata come una forma di desistenza volontaria o, comunque, come un atto capace di rendere penalmente irrilevante la condotta precedente. Secondo questa visione, la volontà di correggere l’errore avrebbe dovuto escludere la punibilità.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha respinto categoricamente la tesi difensiva, dichiarando il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno chiarito, richiamando la consolidata giurisprudenza, che il reato di false dichiarazioni è un reato istantaneo. Ciò significa che la sua consumazione avviene nel preciso istante in cui la falsa dichiarazione viene resa all’autorità competente.
Nel momento in cui l’imputato ha comunicato le generalità errate, tutti gli elementi costitutivi del reato, sia oggettivi che soggettivi, si sono perfettamente integrati. La condotta criminosa si era, in quel preciso momento, già conclusa.
Di conseguenza, la successiva ritrattazione, ovvero la comunicazione dei dati corretti, è un evento che si colloca in un momento in cui il reato si era già perfezionato. Tale correzione, hanno spiegato i giudici, è del tutto irrilevante ai fini della sussistenza del reato. Allo stesso modo, non è possibile parlare di desistenza volontaria, poiché questa presuppone l’interruzione di un’azione criminosa non ancora giunta a compimento. In questo caso, invece, il reato era già stato interamente commesso.
Le Conclusioni: Quando è Troppo Tardi per Correggersi
L’ordinanza in esame conferma un principio granitico: nel reato di false dichiarazioni, non c’è spazio per ‘ripensamenti’ con efficacia liberatoria. La legge tutela l’interesse alla veridicità delle dichiarazioni rese a determinate figure istituzionali, e la lesione di questo interesse si concretizza istantaneamente. La decisione della Cassazione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione di tremila euro. Questa pronuncia serve da monito: la tempestività e la veridicità nelle comunicazioni con le autorità non ammettono seconde occasioni.
In caso di false dichiarazioni sull’identità, se mi correggo subito dopo, commetto comunque reato?
Sì. Secondo la Corte di Cassazione, il reato di false dichiarazioni si perfeziona nel momento esatto in cui la dichiarazione non veritiera viene resa. Una successiva correzione (ritrattazione) non elimina il reato, che si è già consumato.
La ‘desistenza volontaria’ si può applicare al reato di false dichiarazioni?
No. La sentenza chiarisce che la desistenza volontaria non è configurabile quando il reato si è già concluso. Poiché il reato di false dichiarazioni è istantaneo, una volta pronunciata la falsità, non è più possibile ‘desistere’ da qualcosa che è già stato compiuto.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione viene dichiarato ‘inammissibile’ per manifesta infondatezza?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come in questo caso la somma di tremila euro da versare alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31726 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31726 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 10/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a GIULIANOVA il 28/10/1994
avverso la sentenza del 17/10/2024 della CORTE APPELLO di L’AQUILA
dato avviso alle parti;
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di L’Aquila che ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri di cui all’art 496 cod. pen.
Letta la memoria difensiva, pervenuta in data 5 settembre 2025, a firma del difensore di fiducia avv. NOME COGNOME con la quale si insiste per l’accoglimento del ricorso.
Considerato che il primo ed unico motivo di ricorso, che denunzia violazione di legge in ordine alla configurabilità del reato, è manifestamente infondato in quanto prospetta enunciati ermeneutici in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità.
Nella specie, la Corte territoriale, con motivazione esente da vizi logici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (si vedano, in particolare, pagg. 2 e 3) facendo applicazione di corretti argomenti giuridici ai fini dell’affermazione della responsabilità. Invero, tramite un congruo richiamo alla giurisprudenza di questa Corte, il giudice ha chiarito che il reato contestato si consuma nel momento in cui viene resa la falsa dichiarazione, essendo dunque irrilevante, ai fini della sussistenza dello stesso, una eventuale ritrattazione successiva. Parimenti infondata la doglianza difensiva che sostiene una possibile ipotesi di desistenza volontaria, dal momento che le generalità corrette sono state fornite solo in un secondo momento e, pertanto, quando il reato si era già consumato. Alla luce di tali considerazioni, il giudice ha dunque ribadito l’impossibilità di assolvere l’imputato in quanto tutti gli elementi costituitivi del reato, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo, risultano perfettamente integrati;
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 10 settembre 2025
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