False Dichiarazioni Identità: la Cassazione Conferma la Linea Dura
Fornire generalità non veritiere alle forze dell’ordine durante un controllo può sembrare una leggerezza, ma le conseguenze legali possono essere molto serie. Le false dichiarazioni identità sono al centro di una recente ordinanza della Corte di Cassazione, che chiarisce la differenza tra due importanti articoli del codice penale e conferma un orientamento severo. La Suprema Corte, con l’ordinanza n. 1388 del 2024, ha stabilito che mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale, in assenza di documenti, integra il reato più grave di ‘Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale’ (art. 495 c.p.) e non quello più lieve di ‘False dichiarazioni sull’identità’ (art. 496 c.p.).
I Fatti del Caso
La vicenda giudiziaria ha origine da un controllo stradale. Un automobilista, fermato dai Carabinieri e sprovvisto di documenti di riconoscimento, forniva verbalmente delle generalità false. A seguito di ciò, veniva processato e condannato sia in primo grado che in appello per il reato previsto dall’articolo 495 del codice penale.
L’imputato, non rassegnandosi alla condanna, proponeva ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali: chiedeva la derubricazione del reato nella fattispecie meno grave dell’art. 496 c.p. e, in subordine, l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, disciplinata dall’art. 131-bis c.p.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando integralmente la condanna inflitta nei gradi di merito. La Corte ha ritenuto entrambi i motivi di ricorso infondati. Il ricorrente è stato quindi condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte e le false dichiarazioni identità
L’analisi delle motivazioni è fondamentale per comprendere la portata della decisione. La Corte ha smontato le argomentazioni difensive con rigore giuridico, basandosi su principi consolidati.
La Distinzione Cruciale tra Art. 495 e Art. 496 c.p.
Il cuore della pronuncia risiede nella netta distinzione tra le due norme penali. La difesa sosteneva che la condotta dovesse rientrare nel più mite art. 496 c.p. Tuttavia, la Cassazione ha ribadito che, secondo una giurisprudenza consolidata, integra il reato di cui all’art. 495 c.p. la condotta di chi, privo di documenti, fornisce ai Carabinieri false dichiarazioni sulla propria identità.
Il motivo? Tali dichiarazioni, in quel contesto, non sono mere menzogne, ma assumono il “carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali”. In altre parole, quando non ci sono documenti, la parola data alla forza pubblica diventa l’unico mezzo per attestare la propria identità, e se mendace, integra la fattispecie più grave. L’art. 495 c.p., infatti, punisce proprio la falsa attestazione che induce in errore il pubblico ufficiale su elementi essenziali della persona.
Il Rigetto della Causa di Non Punibilità
Anche il secondo motivo, relativo all’applicazione della non punibilità per particolare tenuità del fatto, è stato respinto. La Corte lo ha giudicato generico e una mera ripetizione di quanto già esaminato e correttamente rigettato dalla Corte d’Appello. Quest’ultima aveva evidenziato che “la condotta del ricorrente nel suo complesso è apparsa articolata e diretta ad ottenere un vantaggio patrimoniale con modalità penalmente rilevanti”. Questa valutazione di merito, esente da vizi logici, preclude l’applicazione dell’istituto premiale, che è riservato a fatti di minima offensività, e impedisce alla Cassazione una ‘rilettura’ degli elementi di fatto, di competenza esclusiva dei giudici di primo e secondo grado.
Conclusioni
L’ordinanza in commento rappresenta un importante monito: mentire sulla propria identità alle forze dell’ordine non è mai una buona idea e non è una condotta da prendere alla leggera. La Corte di Cassazione conferma che, in assenza di documenti, le dichiarazioni verbali assumono un valore giuridico specifico e vincolante. Le false dichiarazioni identità in tale contesto sono considerate un’attestazione a tutti gli effetti, la cui falsità integra il più grave reato previsto dall’art. 495 c.p., con conseguenze sanzionatorie ben più severe. Inoltre, la possibilità di beneficiare della non punibilità per tenuità del fatto è esclusa quando la condotta si inserisce in un contesto più ampio di agire illecito, come nel caso di specie.
Fornire false generalità ai Carabinieri durante un controllo stradale è un reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, questa condotta integra il reato di ‘Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulle qualità personali’, previsto dall’articolo 495 del codice penale, che è più grave rispetto a quello dell’art. 496 c.p.
Qual è la differenza chiave tra il reato previsto dall’art. 495 c.p. e quello dell’art. 496 c.p. in questo contesto?
La differenza fondamentale risiede nel valore della dichiarazione. Secondo la sentenza, quando si è privi di documenti, le dichiarazioni verbali rese a un pubblico ufficiale per attestare la propria identità non sono semplici affermazioni, ma vere e proprie attestazioni. La falsità in questo contesto integra il reato dell’art. 495 c.p., che punisce specificamente le false attestazioni, a differenza dell’art. 496 c.p. che riguarda più genericamente le false dichiarazioni.
È possibile invocare la non punibilità per ‘particolare tenuità del fatto’ se si mente sulla propria identità alla polizia?
Nel caso specifico esaminato, la richiesta è stata respinta. La Corte ha ritenuto che la condotta dell’imputato fosse complessa e finalizzata a ottenere un vantaggio con modalità penalmente rilevanti. Questo esclude la ‘particolare tenuità del fatto’, dimostrando che l’applicazione di tale beneficio dipende dal contesto complessivo e dalla gravità della condotta, non solo dal singolo atto di mentire.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 1388 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 1388 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: PILLA EGLE
Data Udienza: 06/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il 26/12/1962
avverso la sentenza del 24/04/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
-Rilevato che COGNOME NOME ricorre avverso la sentenza della Corte d’Appello di Roma del 24 aprile 2023 che ha confermato la pronuncia di condanna del Tribunale cittadino del 26 aprile 2019 per il delitto di cui all’art. 495 cod. pen
Considerato che in data 21 novembre 2023, è pervenuta memoria difensiva sottoscritta dal difensore di fiducia, avv. NOME COGNOME nell’interesse del ricorrente, con la quale, ulteriormente argomentando, ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato che il primo motivo di ricorso, che lamenta la mancata derubricazione della fattispecie di reato in quella meno grave di cui all’art.496 cod. pen. è manifestamente infondato non confrontandosi con la consolidata giurisprudenza di questa Corte secondo cui integra il reato di cui all’art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, fornisca ai carabinieri, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propri identità, considerato che dette dichiarazioni – in assenza di altri mezzi di identificazione – rivestono carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali, e, quindi, ove mendaci, ad integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’ar 495 cod. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui all’art. 496 cod. pen. (Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014, (2015), Rv. 262658); la sentenza impugnata ha operato buon governo della richiamata pronunzia con motivazione in fatto immune da vizi logici.
Considerato che il secondo motivo di ricorso, relativo alla mancata applicazione della causa di non punibilità di cui all’art.131 bis cod. pen., risult generico nonché reiterativo del motivo già dedotto in appello e puntualmente disatteso dalla corte di merito che, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento (in particolare, la condotta del ricorrente nel suo complesso è apparsa articolata e diretta ad ottenere un vantaggio patrimoniale con modalità penalmente rilevanti); esula, infatti, dai poteri della Corte di cassazione quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto post a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito (per tutte: S. U, n. 6402, del 30/4/1997, COGNOME, Rv. 207944).
-Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 6 dicembre 2023 Il consigliere estensore COGNOME9> Il Presidente