False dichiarazioni identità: Quando il Reato si Perfeziona? La Visione della Cassazione
Fornire false dichiarazioni identità a un pubblico ufficiale è un reato grave, ma quando si può considerare effettivamente consumato? Basta la semplice dichiarazione mendace o è necessario che l’ufficiale venga effettivamente ingannato? La Corte di Cassazione, con una recente ordinanza, ha fornito chiarimenti cruciali su questo punto, dichiarando inammissibile il ricorso di un imputato e consolidando un importante principio di diritto.
I Fatti del Caso
Il caso trae origine da un ricorso presentato avverso una sentenza della Corte di Appello di Catania, che aveva confermato la condanna di un individuo per due reati: la violazione delle prescrizioni imposte da una misura di prevenzione (art. 75, D.Lgs. 159/2011) e, soprattutto, il delitto di false dichiarazioni sulla propria identità a un pubblico ufficiale (art. 495 del Codice Penale).
L’imputato, nel tentativo di ottenere una riforma della sentenza di condanna, si è rivolto alla Suprema Corte di Cassazione, sollevando tre distinti motivi di ricorso.
I Motivi del Ricorso in Cassazione
La difesa dell’imputato ha basato la propria strategia su tre argomentazioni principali, ciascuna mirata a smontare un pilastro della sentenza di condanna.
L’elemento psicologico del reato
In primo luogo, il ricorrente contestava la valutazione sull’elemento psicologico del reato di violazione delle misure di prevenzione. Secondo la difesa, la Corte di Appello non avrebbe motivato adeguatamente la sussistenza della consapevolezza (dolo) della violazione, limitandosi a ripetere le argomentazioni del giudice di primo grado.
La contestazione sulle false dichiarazioni identità e il reato tentato
Il secondo motivo, di particolare interesse, riguardava il reato di false dichiarazioni identità. La difesa sosteneva che il reato non si fosse consumato, ma che si dovesse al massimo configurare un tentativo. Questo perché, a loro dire, non era stato provato che il pubblico ufficiale fosse stato effettivamente indotto in errore dalle false generalità fornite. In pratica, se il “trucco” non riesce, il reato non sarebbe completo.
La richiesta delle attenuanti generiche
Infine, il terzo motivo lamentava la mancata applicazione delle circostanze attenuanti generiche, che avrebbero potuto comportare una riduzione della pena inflitta.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha esaminato i motivi del ricorso e li ha dichiarati tutti inammissibili, fornendo motivazioni precise e di grande rilevanza giuridica.
Il reato di false dichiarazioni identità è sempre consumato
Sul punto centrale, la Corte ha ribadito un principio consolidato: il reato di cui all’art. 495 del Codice Penale si perfeziona con la sola condotta di chi, essendo privo di documenti, fornisce a un pubblico ufficiale dichiarazioni false sulla propria identità o qualità personali. Non è necessario che il pubblico ufficiale sia effettivamente indotto in errore.
La ragione è che la norma tutela la fede pubblica, ovvero la fiducia che la collettività ripone nelle attestazioni e dichiarazioni. La dichiarazione mendace, in assenza di altri mezzi di identificazione, assume di per sé un carattere di attestazione preordinata a garantire le proprie qualità personali. Pertanto, la semplice menzogna è sufficiente a integrare il reato consumato, rendendo irrilevante l’ipotesi del tentativo.
La Corte ha inoltre qualificato i primi due motivi di ricorso come “aspecifici”, in quanto si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già presentate e respinte in appello, senza un confronto critico con le puntuali motivazioni della Corte territoriale. Questo è un errore procedurale comune che porta spesso all’inammissibilità del ricorso in Cassazione.
Per quanto riguarda le attenuanti generiche, i Giudici Supremi hanno rilevato che, contrariamente a quanto sostenuto dal ricorrente, i giudici di merito le avevano applicate, ma le avevano ritenute equivalenti alle aggravanti contestate. Questa operazione, nota come “giudizio di comparazione”, è una valutazione discrezionale del giudice e non è sindacabile in sede di legittimità, a meno che non sia palesemente illogica o arbitraria, cosa che in questo caso non è stata riscontrata.
Le Conclusioni
L’ordinanza della Corte di Cassazione si rivela di grande importanza pratica. Essa chiarisce in modo inequivocabile che chiunque fornisca false dichiarazioni identità a un pubblico ufficiale commette un reato consumato, e non semplicemente tentato, nel momento stesso in cui pronuncia la menzogna. La legge protegge l’affidabilità delle dichiarazioni rese alle autorità, e la sola azione di mentire sulla propria identità mina questa fiducia, integrando la fattispecie penale. La decisione, inoltre, funge da monito sull’importanza di formulare ricorsi specifici e critici verso le sentenze impugnate, evitando la mera riproposizione di argomenti già vagliati.
Quando si considera consumato il reato di false dichiarazioni sull’identità personale?
Il reato si considera consumato nel momento in cui un soggetto, privo di documenti di identificazione, fornisce a un pubblico ufficiale false dichiarazioni sulla propria identità. Non è necessario che il pubblico ufficiale venga effettivamente ingannato; la semplice dichiarazione mendace integra la fattispecie di reato.
È possibile presentare in Cassazione gli stessi motivi di ricorso già respinti in Appello?
No, non è sufficiente. Un ricorso per Cassazione è considerato inammissibile se si limita a una pedissequa reiterazione delle doglianze già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di merito. È necessario un confronto critico e argomentato con la sentenza che si impugna.
Il giudice è sempre obbligato a ridurre la pena se applica le attenuanti generiche?
No. Il giudice può applicare le attenuanti generiche ma ritenerle, tramite un giudizio di comparazione, equivalenti alle circostanze aggravanti contestate. In questo caso, le circostanze si bilanciano e la pena non viene diminuita. Questa valutazione è discrezionale e censurabile solo se manifestamente illogica o arbitraria.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11827 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11827 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a PADERBON( GERMANIA) il 06/06/1974
avverso la sentenza del 28/05/2024 della CORTE APPELLO di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
u2-
Rilevato che NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di appello di Catania che ha confermato la condanna dell’imputato per i reati di cui agli artt. 75, d.lgs. n. 159 del e 495 cod. pen.;
ritenuto il primo motivo di ricorso – che deduce violazione di legge e vizi di motivazi in relazione all’elemento psicologico del delitto di cui all’art. 75, d.lgs. n. 159 del 2011 consentito in sede di legittimità in quanto fondato su doglianze che risolvendosi nella pedisseq reiterazione di quelle già dedotte in appello e puntualmente disattese dalla Corte di meri devono essere considerate aspecifiche, omettendo di assolvere la tipica funzione di una critic argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso (Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710 – 01), che ha dato conto degli elementi dai quali è stata tratta, illogicamente, la ritenuta consapevolezza delle violazioni consumate (e, in particolare, dichiarazione di false generalità, compiuta per occultarle);
rilevato che con il secondo motivo il ricorso denunzia violazione di legge e vizi di motivaz in relazione alla mancata applicazione della disciplina del tentativo con riferimento all’art cod. pen.;
ritenuto che esso sia aspecifico, in quanto fondato su doglianze che omettono qualunque confronto critico con le puntuali argomentazioni della Corte di appello circa la non necessità il pubblico ufficiale sia effettivamente indotto in errore e, inoltre, che sia manifest infondato, atteso che il reato di cui all’art. 495 cod. pen. è integrato dalla condotta di co privo di documenti di identificazione, fornisca false dichiarazioni sulla propria identità, rive dette dichiarazioni – in assenza di altri mezzi di identificazione – carattere di attes preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 470 10/07/2019, COGNOME, Rv. 277839 – 01);
ritenuto che il terzo motivo di ricorso – che contesta la mancata applicazione de circostanze attenuanti generiche – sia manifestamente infondato in quanto le suddette circostanze sono state applicate dai Giudici di merito e ritenute equivalenti alle conte aggravanti alla stregua di considerazioni ragionate e argomentate da parte del Giudice del merito (si veda pag. 3 della sentenza impugnata), come tali incensurabili in sede di legittimità (v. U, n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931 – 01, secondo cui il giudizio di comparazione fra opposte circostanze non è censurabile in sede di legittimità quando non sia frutto di me arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione, risolvendosi valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito);
ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con condanna d ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di tremila euro in favore dell Cassa delle ammende;
PER QUESTI MOTIVI
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento del processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26 febbraio 2025.