False Dichiarazioni Identità: Quando Mentire a un Pubblico Ufficiale è Reato
Fornire false dichiarazioni identità a un pubblico ufficiale è una condotta che integra una precisa fattispecie di reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini applicativi dell’art. 495 del codice penale, chiarendo aspetti fondamentali relativi alla consumazione del reato e alle cause di sospensione della prescrizione. Analizziamo insieme la decisione per comprendere le implicazioni pratiche di questa pronuncia.
Il Caso: Dalla Condanna al Ricorso in Cassazione
La vicenda processuale ha origine dalla sentenza della Corte di Appello di Bologna, che aveva parzialmente riformato una decisione di primo grado. La Corte territoriale aveva dichiarato estinta per prescrizione una contravvenzione, ma aveva confermato la responsabilità penale di un imputato per il reato di false attestazioni a un pubblico ufficiale sulla propria identità, ai sensi dell’art. 495 c.p.
Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione, basando la sua difesa su due motivi principali: l’avvenuta prescrizione del reato e l’errata qualificazione giuridica del fatto.
I Motivi del Ricorso: Prescrizione e Qualificazione del Reato
Il ricorrente sosteneva, in primo luogo, che il reato fosse ormai estinto per decorrenza dei termini di prescrizione. A suo avviso, il tempo trascorso avrebbe dovuto portare a una declaratoria di non doversi procedere.
In secondo luogo, l’imputato lamentava un’errata applicazione della legge penale. Riteneva che la sua condotta dovesse essere inquadrata nel reato meno grave previsto dall’art. 496 c.p. (false dichiarazioni sull’identità o su qualità personali proprie o altrui) e non nell’art. 495 c.p.
False Dichiarazioni Identità e la Sospensione della Prescrizione
La Suprema Corte ha dichiarato il primo motivo di ricorso manifestamente infondato. Gli Ermellini hanno evidenziato come il calcolo della prescrizione fosse stato influenzato da un periodo di sospensione. Nello specifico, il decorso dei termini era stato sospeso per 378 giorni a causa dell’astensione dalle udienze dei difensori, avvenuta tra il 25 giugno 2018 e l’8 luglio 2019.
Questo periodo di sospensione ha spostato in avanti la data di maturazione della prescrizione al 25 marzo 2024, una data successiva alla pronuncia della sentenza d’appello. Di conseguenza, al momento della decisione di secondo grado, il reato non era ancora prescritto.
La Decisione della Suprema Corte sulle False Dichiarazioni Identità
Anche il secondo motivo di ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. La Corte ha chiarito la netta differenza tra la fattispecie di cui all’art. 495 c.p. e quella dell’art. 496 c.p., confermando la corretta qualificazione giuridica data dai giudici di merito.
Le Motivazioni
La Cassazione ha ribadito un principio consolidato in giurisprudenza: la condotta di chi, essendo privo di documenti di identificazione, fornisce verbalmente false dichiarazioni identità a un pubblico ufficiale integra il reato previsto dall’art. 495 del codice penale. Questo perché tali dichiarazioni assumono il carattere di una vera e propria “attestazione” preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali. Il reato si consuma nel momento stesso in cui le false generalità vengono fornite.
La successiva verbalizzazione di tali dichiarazioni da parte dell’ufficiale pubblico è considerata una fase successiva, meramente certificativa della condotta già assunta e penalmente rilevante. Pertanto, la tesi difensiva volta a riqualificare il fatto è stata respinta in quanto in palese contrasto con il dato normativo e con la giurisprudenza di legittimità (citando il precedente Cass. n. 47044/2019).
Le Conclusioni
Sulla base di queste motivazioni, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Tale declaratoria ha impedito di rilevare l’eventuale prescrizione maturata successivamente alla sentenza di secondo grado. Di conseguenza, l’imputato è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende. La decisione conferma la severità con cui l’ordinamento punisce chi mente sulla propria identità a un pubblico ufficiale, anche quando la dichiarazione è solo verbale.
Quando si commette il reato di false dichiarazioni sull’identità personale ex art. 495 c.p.?
Secondo la sentenza, il reato si configura quando una persona, priva di documenti, fornisce verbalmente false generalità a un pubblico ufficiale. Queste dichiarazioni sono considerate un’attestazione volta a garantire le proprie qualità personali e il reato si consuma nel momento stesso in cui vengono rese.
Lo sciopero degli avvocati può incidere sulla prescrizione di un reato?
Sì. Come emerge dal caso, l’astensione dei difensori dalle udienze costituisce una causa di sospensione del corso della prescrizione. La durata dell’astensione si somma al termine ordinario, posticipando la data in cui il reato si estingue.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità impedisce alla Corte di esaminare il merito dei motivi di ricorso. Comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende. Inoltre, preclude la possibilità di dichiarare eventuali cause di estinzione del reato, come la prescrizione, maturate dopo la sentenza impugnata.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 39414 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 39414 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a FERRARA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 14/12/2023 della CORTE APPELLO di BOLOGNA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO e CONSIDERATO IN DIRITTO
che con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna, in parziale riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Bologna, ha dichiarato non doversi procedere in ordine alla contravvenzione ascrittagli (221 TULPS e 294 reg. esec. TULPS) per intervenuta prescrizione, confermando la penale responsabilità di NOME COGNOME per il reato di cui all’art. 495 cod. pen.;
che il primo motivo di ricorso con il quale l’imputato denunzia l’inosservanza della legge penale per non essere stata dichiarata l’estinzione del reato per maturazione del termine di prescrizione, è manifestamente infondato, in quanto l’asserita inosservanza è palesemente smentita dagli atti processuali. In particolare, si rileva che il decorso della prescrizione è stato sospeso per effetto dell’astensione dei difensori dal 25 giugno 2018 all’8 luglio 2019 per un totale di 378 giorni, spostando il termine di prescrizione al 25 marzo 2024, vale a dire dopo la pronuncia della sentenza di appello;
che il secondo motivo di ricorso, con cui l’imputato si duole dell’erronea applicazione della legge e dell’illogicità della motivazione in ordine alla mancata riqualificazione del fatto nei termini di cui all’art. 496, cod. pen., è manifestamente infondato, ponendosi in palese contrasto con il dato normativo e con la consolidata giurisprudenza di legittimità, ed inerendo ad asserita palese illogicità della motivazione non emergente dal provvedimento impugnato. Sul punto, infatti, deve ribadirsi che la condotta di chi, privo di documenti di identificazione, fornisca false dichiarazioni sulla propria identità integra il reato di cui all’art. 495, cod. pe rivestendo tali dichiarazioni carattere di attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali (Sez. 5, n. 47044 del 10/07/2019, Lauro, Rv. 277839). E ciò a prescindere dalla verbalizzazione di tali dichiarazioni, fase successiva alla consumazione del reato e meramente certificativa della condotta assunta;
che all’inammissibilità del ricorso consegue l’impossibilità di rilevare il decorso del termine di prescrizione (successivo alla sentenza di secondo grado) e la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento in favore della Cassa delle ammende di euro tremila;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 25 settembre 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidente