Sentenza di Cassazione Penale Sez. 5 Num. 4542 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 5 Num. 4542 Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 25/10/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME nato a CASERTA il 28/10/1994
avverso la sentenza del 23/02/2024 della CORTE APPELLO di PERUGIA
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
udito il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME che ha concluso chiedendo il rigetto del ricorso.
udito l’Avv. NOME COGNOME il quale ha esposto i motivi di gravame, insistendo nell’accoglimento del ricorso.
Ritenuto in fatto
È oggetto di ricorso la sentenza del 23 febbraio 2024, con cui la Corte d’appello di Perugia ha confermato la condanna ad anni uno di reclusione disposta in primo grado nei confronti di NOME COGNOME per il delitto di cui all’art. 496 cod. pen. Secondo la prospettazione accusatoria, l’imputato rendeva false dichiarazioni agli agenti di polizia stradale, in occasione di un controllo in un’area di sosta autostradale, affermando di chiamarsi NOME COGNOME
Avverso la sentenza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del proprio difensore, Avv. NOME COGNOME affidando le proprie censure ai quattro motivi di seguito enunciati nei limiti richiesti dall’art. 173 disp. att. cod. proc. pen.
2.1. Con il primo motivo, si duole di violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla ritenuta sussistenza del reato di cui all’art. 496 cod. pen. Della fattispecie ascritta mancherebbe, in particolare, la componente soggettiva, posto che il ricorrente si rivolse spontaneamente agli agenti di polizia stradale, mentre costoro erano impegnati a controllare le generalità dell’altro passeggero dell’auto. Non essendo stato interrogato sulle proprie generalità, non può affermarsi che egli avesse consapevolezza e volontà di rispondere a domande dei pubblici ufficiali. Pertanto, la Corte territoriale avrebbe errato nel non riqualificare il fatto nella fattispecie prevista all’art. 494 cod. pen.
2.2 Col secondo motivo, si deduce, in via subordinata, violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione all’art. 178 del codice di rito. Si contesta la nullità della sentenza di primo grado, essendo stato l’imputato attinto, per altra causa, da misura cautelare e dichiarato assente in primo grado, pur non avendo mai rinunciato espressamente a partecipare al processo. Diversamente da quanto ritenuto dalla Corte territoriale – secondo la quale è l’imputato, tramite il proprio difensore a dover comunicare al giudice il legittimo impedimento a comparire derivante da un titolo detentivo per altra causa -la difesa sostiene che, sull’imputato, non gravasse alcun onere di comunicazione circa lo stato di restrizione; cita, a supporto della propria tesi, Sezioni unite Arena del 2007.
2.3 II terzo motivo, anch’esso posto in via subordinata al primo motivo, ha a oggetto violazione di legge e vizio di motivazione, in relazione alla mancata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche sulla contestata recidiva e sulla dosi metria della pena. Immotivatamente, la Corte d’appello non avrebbe conferito alcun peso alla spontanea ammissione degli addebiti da parte dell’imputato e, dunque, al corretto e collaborativo comportamento processuale. Inoltre, sarebbero stati illogicamente disattesi consolidati orientamenti del giudice costituzionale e del giudice di legittimità in tema di recidiva, atteso che la Corte distrettuale ha
genericamente valorizzato l’esistenza di precedenti penali gravanti sul ricorrente, senza esprimere un più articolato giudizio -richiesto dalla giurisprudenza- circa i precedenti penali e il nuovo reato.
2.4 Col quarto motivo, si deduce violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 545 bis del codice di rito, per non avere la Corte territoriale reso avvertito l’imputato della facoltà di accedere alle pene sostitutive di cui all’art. 20 bis cod. pen., né reso, in motivazione, adeguate ragioni in relazione a tale omissione.
All’udienza si è svolta trattazione orale del ricorso. Il Sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME riportandosi alle conclusioni scritte in atti, ha chiesto pronunciarsi il rigetto del ricorso. La difesa ha insistito per l’accoglimento del ricorso.
Considerato in diritto
Il primo motivo è manifestamente infondato, derivando la reiterativa censura da una completa omissione, da parte della difesa, di un effettivo e critico confronto con la motivazione (v. Sez. U, n. 8825 del 27/10/2016, dep. 2017, COGNOME, Rv. 268823, per il principio secondo cui devono ritenersi inammissibili i motivi di ricorso per cassazione non solo quando essi risultino intrinsecamente indeterminati, ma altresì allorché difettino della necessaria correlazione con le ragioni poste a fondamento del provvedimento impugnato, nel senso che le doglianze del ricorrente devono “dialogare” in maniera critica con quelle del provvedimento impugnato e non seguire una propria, autonoma linea ricostruttiva, che finisca però per non contrapporsi e smentire le ragioni della decisione avversata; si veda anche Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01: «in tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili i motivi che si limitano a riprodurre le censure dedotte in appello, anche se con l’aggiunta di frasi incidentali di censura alla sentenza impugnata meramente assertive ed apodittiche, laddove difettino di una critica argomentata avverso il provvedimento impugnato e l’indicazione delle ragioni della loro decisività rispetto al percorso logico seguito dal giudice di merito»; Sez. 2, n. 42046 del 17/07/2019, Boutartour, Rv. 277710-01, sempre a proposito dell’inammissibilità dei motivi che si risolvano nella pedissequa reiterazione di quelli già dedotti in appello e puntualmente disattesi dalla corte di merito, dovendosi gli stessi considerare non specifici ma soltanto apparenti, in quanto omettono di assolvere la tipica funzione di una critica argomentata avverso la sentenza oggetto di ricorso; e, ancora, sulla necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle
poste a fondamento dell’impugnazione. Infine, sul medesimo principio, v. Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, COGNOME, Rv. 253849 – 01).
Nella parte motiva dell’impugnata sentenza, si è limpidamente chiarito, con precipuo riferimento agli atti istruttori (rispetto ai quali la difesa invoca surrettiziamente una rivalutazione al fine di trarne proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito, chiedendo alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete: Sez. U, n. 14722 del 30/01/2020, COGNOME, Rv. 279005, in motivazione; Sez. U, n. 22242 del 27/01/2011, COGNOME, Rv. 249651, in motivazione; Sez. U, n. 12 del 31/05/2000, COGNOME, Rv. 216260) che l’imputato, interrogato dagli agenti di polizia stradale (e, quindi, da pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni) circa le proprie generalità, ha dapprima affermato di non aver documenti di identità al seguito, per poi fornire false generalità.
Pertanto, correttamente il caso di specie è stato inquadrato dai giudici di merito nella fattispecie di cui all’art. 496 cod. pen., atteso che l’imputato, con la propria condotta, 1) ha reso una falsa dichiarazione a pubblici ufficiali richiedenti, in merito a una qualità che concorre a individuare l’identità della persona (v. Sez. 5, n. 26073 del 09/06/2005, COGNOME, Rv. 232340 – 01: «integra il reato di false dichiarazioni sulla identità o su qualità personali proprie o di altri -art. 496 cod. pen.-, la condotta di colui che – fermato dai carabinieri ad un posto di controllo – fornisca false indicazioni sulla propria residenza, la quale rientra nel novero delle qualità e condizioni personali e, pertanto, concorre a individuare l’identità della persona»); 2) ha leso il bene della fede pubblica, tutelato dall’art. 496 cod. pen. (su cui, più di recente, v. Sez. 5, n. 23353 del 01/04/2022, Denti, Rv. 283432 02); ha agito con coscienza e volontà della condotta delittuosa (posto che, come evidenziato dai giudici di merito, l’imputato ha fornito una falsa dichiarazione sulla propria identità in seguito alla richiesta degli agenti di polizia). Anche l’elemento soggettivo del reato deve quindi ritenersi correttamente ravvisato, dal momento che, ai fini del giudizio sul dolo generico richiesto dalla citata fattispecie incriminatrice, «è sufficiente la coscienza e volontà della condotta delittuosa>> .. ) Sez. 5, n. 18476 del 26/02/2016, COGNOME, Rv. 266549 – 01: fattispecie in cui l’imputato, nel corso di un controllo stradale, richiesto, tra l’altro, di riferir sull’esistenza di precedenti a suo carico, sebbene non obbligato a rispondere ma ammonito circa le conseguenze penali in caso di false dichiarazioni, aveva consapevolmente dichiarato non avere precedenti penali).
2. Il secondo motivo è infondato. Sez. U, n. 37483 del 26/09/2006, Arena, Rv. 234600 – 01, invocate dal ricorrente, si occupano della questione – diversa da
quella posta a fondamento della doglianza – dell’esistenza di un onere di comunicare l’impedimento (nella specie, la detenzione per altra causa) in tempo utile per consentire la traduzione (nella vicenda esaminata dalle Sezioni Unite, essa era stata comunicata solo in udienza).
Tuttavia, che l’impedimento derivante dalla detenzione per altra causa assuma rilievo solo in quanto noto al giudice procedente è indiscusso nella sentenza che, infatti, precisa come solo “la accertata presenza di un legittimo impedimento, del quale il giudice sia comunque cognito (enfasi aggiunta), in mancanza di qualsivoglia dichiarazione di rinuncia, non sortisce, evidentemente, alcun effetto abdicativo, ed in mancanza di un atto di tal genere la dichiarazione di contumacia è illegittimamente resa”.
Medesime conclusioni sono state ribadite da Sez. U, n. 35399 del 24/06/2010, F., Rv. 247835 – 01 e da Sez. U, n. 7635 del 30/09/2021, dep. 2022, Costantino, Rv. 282806 – 01, secondo cui, laddove l’imputato sia detenuto per altra causa (evidentemente diverso essendo il caso della detenzione per la causa per la quale si procede, perché in tale ipotesi il giudice ne è necessariamente edotto e sono disciplinati positivamente i poteri volti a superare l’impedimento mediante l’emissione dell’ordine di traduzione o del provvedimento di autorizzazione a giungere all’udienza con mezzi propri in presenza del regime di detenzione presso la propria abitazione), si richiede che il giudice sia messo a conoscenza dell’impedimento.
Pertanto, qualora l’imputato sia detenuto o agli arresti domiciliari, o comunque sottoposto a limitazione della libertà personale che non gli consente la presenza in udienza, poiché in tali casi è in re ipsa il legittimo impedimento, il giudice, in qualunque modo ed in qualunque tempo venga a conoscenza dello stato di restrizione della libertà, anche in assenza di una richiesta dell’imputato, deve d’ufficio rinviare il processo ad una nuova udienza e disporre la traduzione dell’imputato, salvo che non vi sia stato un espresso rifiuto dell’imputato ad assistere all’udienza.
Ma, nel caso di specie, non è controverso che la conoscenza dello stato detentivo dell’imputato sia stata rappresentata (dal difensore subentrato in data 30 marzo 2022) al giudice soltanto all’ultima udienza, quando ne è stata coerentemente disposta la traduzione (come risulta dagli atti, cui questo Collegio ha accesso, attesa la natura processuale della questione dedotta: cfr. Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001, Policastro, Rv. 220092 – 01). Infatti, il 2 aprile 2022 il Tribunale di Terni ha ordinato la traduzione dell’imputato per udienza del 21 aprile 2022.
Per completezza va aggiunto come l’esame degli atti disveli altresì che, prima di allora sia l’avviso di conclusione delle indagini sia il decreto che dispone
il giudizio siano stati notificati nelle mani proprie del ricorrente, ciò che implica la conoscenza dell’iter processuale in capo a quest’ultimo.
Il terzo motivo è infondato, avendo la Corte d’appello reso sufficienti ragioni in merito alla contestazione della recidiva. A tal proposito, va ribadito che il giudizio sulla recidiva deve essere compiuto alla luce non già di un astratto canone di pericolosità sociale, né tanto meno guardando alla recidiva in guisa di un mero «status soggettivo desumibile dal certificato penale ovvero dal contenuto dei provvedimenti di condanna emessi nei confronti di una persona» (Sez. 5, n. 46804, del 4/10/2021, COGNOME, Rv. 282383-01), bensì sulla falsariga del concreto rapporto tra il fatto-reato per cui si procede e le pregresse condotte criminose dell’imputato. Che un siffatto giudizio vada espresso sulla base di un’attenta considerazione della concretezza del caso di specie è stato ricordato dalle Sezioni Unite, secondo cui «la recidiva è, piuttosto, una circostanza pertinente al reato che richiede un accertamento, nel caso concreto, della relazione qualificata tra lo status e il fatto che deve risultare sintomatico, in relazione alla tipologia dei reati pregressi e all’epoca della loro consumazione, sia sul piano della colpevolezza che su quello della pericolosità sociale» (S.U., n. 20798 del 24/2/2011, Indelicato, Rv. 249664-01).
Nel caso in esame, tale verifica è svolta con adeguato approfondimento, avendo la Corte distrettuale motivato il giudizio in tema di accresciuta pericolosità sociale dell’imputato attraverso il riferimento a un precedente specifico e ai numerosi precedenti per delitti contro il patrimonio., La valutazione in tema di recidiva espressa dai giudici dell’appello, infine, deve ritenersi sufficientemente parametrata alle peculiarità del caso in scrutinio anche alla luce della recente pronuncia delle Sezioni unite di questa Corte (Sez. U, n. 32318 del 30/03/2023, COGNOME, Rv. 284878 – 01), secondo cui «in tema di recidiva reiterata contestata nel giudizio di cognizione, ai fini della relativa applicazione è sufficiente che, al momento della consumazione del reato, l’imputato risulti gravato da più sentenze definitive per reati precedentemente commessi ed espressivi di una maggiore pericolosità sociale, oggetto di specifica e adeguata motivazione, senza la necessità di una previa dichiarazione di recidiva semplice».
Il quarto motivo è infondato, sia per quel che ha riguardo alla dedotta violazione dell’art. 545 bis del codice di rito sia per quanto concerne la lamentata carenza motivazionale. A tal proposito, si osserva, innanzitutto, che la richiesta di pena sostitutiva non era stata formulata in appello; come affermato dalla giurisprudenza di legittimità, «in tema di pene sostitutive delle pene detentive brevi, la disposizione di cui all’art. 545-bis cod. proc. pen., è applicabile, nei limiti del principio devolutivo, anche al giudizio di appello, nel senso che le sanzioni
sostitutive possono trovare applicazione solo se il relativo tema sia stato specificamente devoluto nei motivi di appello» (v. Sez. 6, n. 46013 del 28/09/2023, COGNOME, Rv. 285491 – 01, enfasi aggiunta).
Oratale onere, come ricordato, non era stato assolto dalla difesa; non può, pertanto, rimproverarsi alla Corte distrettuale di avere omesso la motivazione sul punto (posto che l’onere motivazionale del giudice è correlato alla richiesta di pena sostitutiva formulata, sul punto, v. cfr. Sez. 6, n. 43263 del 13/09/2023, Lo Monaco Rv. 285358 – 01).
In ogni caso, anche a voler accedere alla tesi propugnata dal ricorrente, può rilevarsi come le osservazioni dedicate dalla Corte territoriale sul trattamento sanzionatorio e, soprattutto, in tema di conferma del giudizio di equivalenza tra le circostanze (segnatamente, nel punto in cui la Corte d’appello si è espressa negativamente sull’invocata prevalenza delle circostanze attenuanti generiche, rendendo persuasive ragioni, logicamente articolate), possono intendersi come implicita motivazione sul profilo in parola, posto che, come ricordato da questa Corte, «in tema di sanzioni sostitutive di pene detentive brevi, i “fondati motivi” che, ai sensi dell’art. 58, comma 1, seconda parte, legge 24 novembre 1981, n. 689, come sostituito dall’art. 71, comma 1, lett. f), d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, non consentono la sostituzione della pena, richiedono un’adeguata e congrua motivazione in merito al giudizio di bilanciamento, in chiave prognostica, tra le istanze volte a privilegiare forme sanzionatorie consone alla finalità rieducativa le pene sostitutive – e l’obiettivo di assicurare effettività alla pena» Sez. 5, n. 17959 del 26/01/2024, NOME COGNOME Rv. 286449 – 01).
Per le ragioni illustrate, il Collegio rigetta il ricorso. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex art. 616 cod. proc. pen, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 25/10/2024
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Il consigliere estensore
Il presidente