LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

False dichiarazioni a pubblico ufficiale: la Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 21349/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato condannato per false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Fornire generalità false ai Carabinieri durante un controllo stradale, in assenza di documenti, integra il reato di cui all’art. 495 c.p. e non il meno grave art. 496 c.p. La Corte ha anche respinto le doglianze sulla mancata applicazione della particolare tenuità del fatto e delle attenuanti generiche.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 21 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

False dichiarazioni a pubblico ufficiale: quando si configura il reato ex art. 495 c.p.?

Fornire generalità non veritiere alle forze dell’ordine durante un controllo può avere conseguenze penali significative. La recente ordinanza n. 21349/2024 della Corte di Cassazione chiarisce la linea di demarcazione tra due diverse fattispecie di reato, confermando un orientamento consolidato sul tema delle false dichiarazioni a pubblico ufficiale. Questo provvedimento offre spunti importanti per comprendere la gravità di tali condotte e le relative implicazioni processuali.

I Fatti di Causa

Il caso nasce dal ricorso di un cittadino condannato in primo grado e in appello per i reati di cui agli articoli 495 (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale) e 385 (Evasione) del codice penale. L’imputato, durante un controllo stradale e in assenza di documenti di identità, aveva fornito ai Carabinieri generalità false. In sede di ricorso per Cassazione, la difesa ha contestato la qualificazione giuridica del fatto, sostenendo che la condotta dovesse rientrare nella meno grave ipotesi dell’art. 496 c.p. (False dichiarazioni sull’identità). Inoltre, venivano lamentate la mancata applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e delle circostanze attenuanti generiche.

L’Ordinanza della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso interamente inammissibile, rigettando tutte le censure sollevate dalla difesa e condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria. La decisione si fonda su argomentazioni precise per ciascuno dei motivi di ricorso, delineando principi di diritto sia sostanziale che processuale.

Le motivazioni: la rilevanza delle false dichiarazioni a pubblico ufficiale

Il punto centrale della decisione riguarda la corretta qualificazione del reato. La Cassazione ha ribadito che la condotta di chi, privo di documenti, fornisce verbalmente false dichiarazioni sulla propria identità a un pubblico ufficiale durante un controllo, integra il delitto di cui all’art. 495 c.p. e non quello previsto dall’art. 496 c.p. La distinzione, spiegano i giudici, risiede nel fatto che tali dichiarazioni, in assenza di altri mezzi di identificazione, assumono il carattere di un’attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali. Se mendaci, esse integrano quella “falsa attestazione” che costituisce l’elemento distintivo e più grave del reato previsto dall’art. 495 c.p., come modificato dalla legge n. 125 del 2008.

Le motivazioni: i profili processuali dell’inammissibilità

La Corte ha inoltre dichiarato inammissibili gli altri motivi per ragioni procedurali. La richiesta di applicazione dell’art. 131-bis c.p. per il reato di cui all’art. 495 c.p. è stata respinta perché non era stata sollevata come specifico motivo nel precedente grado di appello. Per quanto riguarda lo stesso istituto in relazione al reato di evasione, la Corte ha ritenuto il motivo una mera ripetizione di argomenti già esaminati e motivatamente respinti dalla Corte d’Appello. Infine, anche la doglianza sulla mancata concessione delle attenuanti generiche è stata giudicata infondata, poiché i giudici di merito avevano adeguatamente motivato la loro decisione basandosi sulla specifica condotta dell’imputato e sull’assenza di elementi positivi a suo favore.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame conferma la severità con cui l’ordinamento giuridico tratta le false dichiarazioni a pubblico ufficiale, specialmente quando rese in contesti, come un controllo di polizia, dove l’identificazione della persona è fondamentale per l’esercizio delle funzioni pubbliche. La decisione sottolinea che mentire sulla propria identità non è una leggerezza, ma un reato che lede la fede pubblica. Dal punto di vista processuale, il provvedimento ricorda l’importanza di articolare compiutamente tutte le proprie difese nei gradi di merito, poiché le omissioni non possono essere sanate per la prima volta in sede di legittimità.

Qual è la differenza tra il reato di cui all’art. 495 c.p. e quello dell’art. 496 c.p. secondo la Corte?
Integra il reato più grave previsto dall’art. 495 c.p. la condotta di colui che, privo di documenti, fornisce false dichiarazioni sull’identità ai carabinieri durante un controllo. Tali dichiarazioni, infatti, rivestono il carattere di un’attestazione preordinata a garantire le proprie qualità personali al pubblico ufficiale, costituendo l’elemento distintivo rispetto all’ipotesi meno grave dell’art. 496 c.p.

È possibile chiedere per la prima volta in Cassazione l’applicazione della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto?
No, la Corte ha stabilito che la censura relativa al mancato riconoscimento della causa di non punibilità (art. 131-bis c.p.) non è consentita in sede di legittimità se non è stata previamente dedotta come motivo di appello.

Cosa succede se un ricorso per Cassazione viene dichiarato inammissibile?
In caso di inammissibilità del ricorso, come previsto dall’art. 616 c.p.p., il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, se si ravvisano profili di colpa nell’impugnazione, anche al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati