False Dichiarazioni a Pubblico Ufficiale: la Cassazione Conferma la Condanna
Fermati per un controllo stradale e senza documenti, cosa fare? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 12410/2024) chiarisce le gravi conseguenze del fornire false dichiarazioni a pubblico ufficiale in tale circostanza. La Suprema Corte ha ribadito un principio fondamentale: mentire sulla propria identità agli agenti integra il reato previsto dall’art. 495 del codice penale, e non una violazione minore. Analizziamo insieme la vicenda e le importanti conclusioni dei giudici.
I Fatti di Causa
Il caso nasce dal ricorso presentato da un automobilista, condannato in primo grado e in appello per il reato di false attestazioni a un pubblico ufficiale. Durante un normale controllo di polizia stradale, l’uomo, sprovvisto di documenti di identificazione, aveva fornito agli agenti operanti delle generalità false. Tali dichiarazioni mendaci erano state poi inserite nel “verbale di accompagnamento” redatto dalle forze dell’ordine.
L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, sostenendo che la sua condotta non integrasse il più grave reato contestato (art. 495 c.p.), ma eventualmente altre fattispecie meno gravi, e che la motivazione della Corte d’Appello fosse viziata.
L’Analisi della Corte e le False Dichiarazioni a Pubblico Ufficiale
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. I giudici hanno colto l’occasione per riaffermare alcuni punti fermi della giurisprudenza in materia di false dichiarazioni a pubblico ufficiale.
La Differenza tra Art. 495 e Art. 496 c.p.
Il punto centrale della difesa verteva sulla corretta qualificazione giuridica del fatto. La Corte ha chiarito che la condotta di chi, privo di documenti, fornisce verbalmente false generalità a un pubblico ufficiale durante un controllo, integra pienamente il reato di cui all’art. 495 c.p. (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale sulla identità o su qualità personali proprie o di altri).
Questo perché, in assenza di altri mezzi di identificazione, le dichiarazioni verbali assumono il valore di un’attestazione preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali. Se mendaci, queste dichiarazioni costituiscono l’elemento distintivo del reato previsto dall’art. 495 c.p., come modificato dalla legge n. 125 del 2008.
L’Irrilevanza dell’Art. 192 del Codice della Strada
L’imputato aveva anche invocato l’art. 192 del Codice della Strada, che impone ai conducenti di esibire i documenti di circolazione e la patente. La Corte ha smontato questa argomentazione, spiegando che tale norma si limita a disciplinare gli obblighi relativi ai documenti per la circolazione stradale, ma non ha alcun effetto sulla portata dell’art. 495 del codice penale. Quest’ultimo, infatti, non sanziona la mancanza di documenti, bensì la falsità personale dichiarata a un pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni.
Le Motivazioni della Decisione
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile non solo per l’infondatezza nel merito, ma anche per un vizio di metodo. L’imputato, infatti, si era limitato a reiterare le stesse doglianze già presentate in appello, senza confrontarsi criticamente con le specifiche e puntuali motivazioni con cui la Corte d’Appello le aveva respinte. La sentenza impugnata aveva chiaramente spiegato come, sulla base della testimonianza di un agente, le false generalità fossero state formalizzate in un “verbale di accompagnamento”, un atto pubblico a tutti gli effetti.
La manifesta infondatezza del ricorso, al limite della temerarietà, ha portato la Corte a non limitarsi a condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali. In applicazione dell’art. 616 c.p.p., e ravvisando una colpa nell’aver presentato un’impugnazione palesemente destinata al fallimento, i giudici hanno anche disposto la condanna al pagamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un orientamento giurisprudenziale chiaro e severo: mentire sulla propria identità a un pubblico ufficiale è un reato. La sentenza sottolinea che la veridicità delle dichiarazioni rese a un agente durante un controllo è un bene giuridico tutelato penalmente. Non si tratta di una semplice infrazione amministrativa, ma di una condotta che lede la fede pubblica e l’affidabilità degli atti formati dai pubblici ufficiali. Questa decisione funge da monito sull’importanza della lealtà e della correttezza nei rapporti con le autorità e sulle pesanti conseguenze, sia penali che economiche, che possono derivare da un comportamento contrario, incluso l’abuso dello strumento processuale del ricorso in Cassazione.
Fornire false generalità a un poliziotto durante un controllo stradale costituisce reato?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, la condotta di chi, privo di documenti, fornisce verbalmente false dichiarazioni sulla propria identità a un pubblico ufficiale integra il reato di cui all’art. 495 del codice penale (Falsa attestazione o dichiarazione a un pubblico ufficiale).
Perché in questo caso non si applica una sanzione meno grave o una semplice violazione del Codice della Strada?
Perché l’art. 495 c.p. sanziona specificamente la falsità personale attestata a un pubblico ufficiale. Le norme del Codice della Strada, come l’art. 192, riguardano l’obbligo di avere con sé i documenti di guida e circolazione, ma non escludono né limitano l’applicazione del codice penale quando una persona mente sulla propria identità.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso per manifesta infondatezza?
Comporta non solo la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, ma anche, qualora si ravvisi una colpa nella presentazione del ricorso, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende a titolo sanzionatorio per l’uso improprio dello strumento processuale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12410 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12410 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/12/2023
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ROMA il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 05/05/2023 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Rilevato NOME COGNOME ricorre avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma ch ne ha confermato la condanna per il reato di cui all’art. 495, comma 1, cod. pen.;
considerato che l’unico motivo di ricorso – con il quale si denunciano la violazione legge penale e il vizio di motivazione in ordine all’affermazione di responsabilità dell’imputat
manifestamente infondato in quanto questa Corte ha già chiarito che integra il reato cui all’art. 495 cod. pen., la condotta di colui che, privo di documenti di identificazione, for operanti, nel corso di un controllo stradale, false dichiarazioni sulla propria identità (conside dette dichiarazioni – in assenza di altri mezzi di identificazione – rivestono carattere di att preordinata a garantire al pubblico ufficiale le proprie qualità personali e quindi, ove menda integrare la falsa attestazione che costituisce l’elemento distintivo del reato di cui all’art. pen., nel testo modificato dalla legge n. 125 del 2008, rispetto all’ipotesi di reato di cui a cod. pen.: cfr. Sez. 5, n. 7286 del 26/11/2014 – dep. 2015, Sdiri, Rv. 262658 – 01), non valend senso contrario l’invocato disposto dell’art. 192 cod. strada (relativo agli obblighi verso fun ufficiali e agenti) che, per quel che qui rileva, impone ai conducenti dei veicoli l’esibizione ag ed agenti ai quali spetta l’espletamento dei servizi di polizia stradale, del documento di circol e della patente di guida, se prescritti, e ogni altro documento che, ai sensi delle norme in mate circolazione stradale, devono avere con sé (cfr. comma 2), norma che non limita la porta applicativa dell’art. 495 cod. pen., il quale non attiene ai documenti relativi alla regolare circ su strada ma sanziona una falsità personale;
e non si confronta con la motivazione della sentenza impugnata che ha disatteso i medesimo ordine di doglianze qui reiterato, indicando pure a chiare lettere in particolare come, s base della deposizione del teste COGNOME, sia emerso che le false generalità declinate dall’imput nel corso di un controllo stradale siano confluite nel «verbale di accompagnamento» redatto dag operanti (Sez. 6, n. 8700 del 21/01/2013, Leonardo, Rv. 254584 – 01);
ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, cui consegue art. 616 cod. proc. pen. la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché ravvisandosi profili di colpa in ragione dell’evidente inammissibilità dell’impugnazione (cfr. cost., sent. n. 186 del 13/06/2000; Sez. 1, n. 30247 del 26/01/2016, Failla, Rv. 267585 – 01) – a versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che appare equo determinare in euro tremila;
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spe processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 13/12/2023.