Falsa testimonianza: la Cassazione conferma l’inammissibilità del ricorso generico
Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione si è pronunciata su un caso di falsa testimonianza, delineando con chiarezza i confini dell’ammissibilità del ricorso presentato avverso una condanna. La decisione sottolinea come la genericità e la manifesta infondatezza dei motivi, specialmente quando si limitano a riproporre questioni già ampiamente esaminate nei gradi di merito, portino inevitabilmente a una declaratoria di inammissibilità. Questo principio è fondamentale per garantire l’efficienza del sistema giudiziario e la certezza del diritto.
I Fatti del Processo
Il caso ha origine dalla condanna di una donna per il reato di falsa testimonianza, previsto dall’art. 372 del codice penale. L’imputata aveva presentato ricorso in Cassazione contestando la motivazione della sentenza della Corte d’Appello, che aveva confermato la sua responsabilità penale. Secondo la difesa, la motivazione era errata e infondata. La testimonianza incriminata era stata resa a favore del cognato, nel tentativo, secondo l’accusa, di scagionarlo da altre responsabilità.
L’Analisi della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha esaminato i motivi del ricorso, ritenendoli non meritevoli di accoglimento. I giudici hanno qualificato il ricorso come ‘meramente reiterativo’, ovvero una semplice ripetizione di censure già adeguatamente analizzate e respinte sia in primo grado che in appello. La Corte d’Appello, infatti, aveva fornito una motivazione ampia, diffusa e logicamente coerente per giustificare la condanna.
Le motivazioni della decisione sulla Falsa testimonianza
La decisione della Cassazione si fonda su due pilastri principali. In primo luogo, la genericità e la manifesta infondatezza del motivo di ricorso. In secondo luogo, l’inverosimiglianza della versione fornita dall’imputata, smentita da prove concrete e inequivocabili emerse nel processo a carico del cognato.
Tra queste prove, decisive sono state:
1. Il ritrovamento di una somma di 1.390 euro in contanti (monete e banconote di vario taglio) addosso al cognato al momento di un controllo all’uscita dall’abitazione che condivideva con la ricorrente.
2. Il rinvenimento, durante la perquisizione domiciliare, di un elenco di nomi e cifre, insieme all’annotazione di una somma di 1.300 euro in corrispondenza della data del fatto.
Questi elementi, secondo la Corte, dimostravano in modo coerente la volontà della ricorrente di dichiarare il falso per favorire il parente, rendendo la sua testimonianza oggettivamente e soggettivamente non credibile.
Conclusioni
L’ordinanza in esame ribadisce un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: non è possibile utilizzare il ricorso per cassazione come un terzo grado di giudizio sul merito dei fatti. Quando le corti inferiori hanno valutato le prove in modo logico e coerente, fornendo una motivazione adeguata, la Cassazione non può riesaminare i fatti. Di conseguenza, il ricorso è stato dichiarato inammissibile, con la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di 3.000 euro in favore della cassa delle ammende. La decisione serve da monito sull’importanza di fondare i ricorsi su vizi di legittimità specifici e non su una generica contestazione della valutazione delle prove effettuata dai giudici di merito.
Quando un ricorso per cassazione per falsa testimonianza può essere dichiarato inammissibile?
Quando i motivi sono generici, manifestamente infondati e si limitano a riproporre le stesse argomentazioni già valutate e respinte dai giudici di merito con motivazioni logiche e corrette.
Quali elementi possono smentire la versione di un testimone e provare la falsa testimonianza?
Secondo questa ordinanza, elementi oggettivi e concreti come il ritrovamento di somme di denaro, annotazioni scritte e altre risultanze processuali che contraddicono la dichiarazione resa possono essere considerati prove sufficienti a dimostrare la falsità della testimonianza.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La persona che ha proposto il ricorso viene condannata a pagare le spese del procedimento e a versare una somma di denaro, determinata dalla Corte, alla cassa delle ammende, a titolo di sanzione per aver adito la Corte senza validi motivi.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11285 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11285 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 16/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 07/06/2023 della CORTE APPELLO di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
OSSERVA
ritenuto che il motivo di ricorso proposto nell’interesse di COGNOME NOMENOME con il qua contesta la correttezza della motivazione posta a base dell’affermazione di responsabilità pe reato di cui all’art. 372 cod. pen., non è ammissibile per genericità e manifesta infondatezz rilevato, inoltre, che il motivo è meramente reiterativo di profili di censu adeguatamente vagliati e disattesi dai giudici di merito con corretti argomenti giuridici no con ampia e diffusa motivazione, che con argomentazioni logiche dà conto della inverosimiglianza della versione resa sia sul piano oggettivo che soggettivo, oltre ad ess smentita dalle inequivoche risultanze del processo a carico del cognato (dalle quali risult che questi, controllato all’uscita dall’abitazione condivisa con la ricorrente, aveva la somm 1.390 euro, suddivisa in monete e banconote di vario taglio, e nel corso della perquisizi domiciliare era stato trovato un elenco di nomi e cifre e l’annotazione della cifra di 1.300 in corrispondenza della data del fatto), coerentemente ritenute dimostrative della volontà de ricorrente di dichiarare il falso per favorire il cognato;
ritenuto, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con conseguent condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si stima equo determinare in euro tremila.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 16 febbraio 2024
Il consigliere estensore