Falsa testimonianza: la Cassazione chiarisce i limiti del ricorso
L’obbligo di dire la verità quando si testimonia in un processo è uno dei pilastri del nostro sistema giudiziario. Il reato di falsa testimonianza, previsto dall’art. 372 del codice penale, sanziona proprio chi viola questo dovere. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i contorni di questo reato e, soprattutto, i limiti entro cui è possibile contestare una condanna in sede di legittimità.
I Fatti del Processo
Il caso analizzato dalla Suprema Corte riguarda un imputato condannato in secondo grado per il reato di falsa testimonianza. Inizialmente, l’individuo era stato accusato anche di calunnia, ma era stato assolto da tale imputazione. La condanna per falsa testimonianza, invece, era stata confermata dalla Corte d’Appello.
Secondo l’accusa, l’imputato aveva reso dichiarazioni non veritiere in due distinti procedimenti civili (uno davanti al Tribunale e l’altro davanti al Giudice di Pace). In particolare, le sue affermazioni mendaci riguardavano la documentazione posta a fondamento di alcune pretese creditorie. La Corte d’Appello aveva ritenuto che tali dichiarazioni, se fossero state credute, avrebbero potuto influenzare l’esito dei giudizi. Inoltre, l’istruttoria dibattimentale aveva inequivocabilmente smentito quanto affermato dall’imputato.
L’imputato ha quindi proposto ricorso per Cassazione, lamentando un’errata valutazione dei fatti e chiedendo il riconoscimento della causa di non punibilità prevista dall’art. 384 del codice penale, sostenendo di aver agito per tutelare un proprio interesse.
La Decisione della Cassazione sulla falsa testimonianza
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. Questa decisione non entra nel merito della colpevolezza o innocenza dell’imputato, ma si concentra sulla correttezza formale e logica del ricorso stesso e della sentenza impugnata. I giudici hanno ritenuto che i motivi presentati dal ricorrente non fossero idonei a mettere in discussione la decisione della Corte d’Appello.
Di conseguenza, la condanna è diventata definitiva e il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro a favore della Cassa delle ammende.
Le Motivazioni della Corte
La motivazione della Suprema Corte si fonda su due punti principali.
In primo luogo, il ricorso è stato qualificato come una semplice “rivisitazione critica della vicenda”. In altre parole, l’imputato non ha sollevato questioni di legittimità (cioè violazioni di legge o vizi logici della motivazione), ma si è limitato a proporre una propria interpretazione dei fatti, diversa da quella accolta dai giudici di merito. La Corte di Cassazione, però, non è un terzo grado di giudizio in cui si possono riesaminare le prove; il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge. La sentenza d’appello, secondo gli Ermellini, aveva motivato in modo puntuale e logico sulla sussistenza degli elementi del reato, evidenziando come le deposizioni dell’imputato fossero state smentite dalle prove raccolte.
In secondo luogo, è stata respinta la richiesta di applicare la causa di non punibilità dell’art. 384 c.p. (che esclude la punibilità per chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore). La Corte ha chiarito che l’interesse di fatto vantato dall’imputato nel procedimento civile non era tale da generare un’incapacità a testimoniare o da ostacolare l’obbligo di dire il vero. Non sussisteva, quindi, quella situazione di “necessità” che la norma richiede per escludere la pena.
Conclusioni
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale del processo penale: il ricorso in Cassazione non può trasformarsi in un appello mascherato. Per contestare una condanna davanti alla Suprema Corte è necessario individuare specifici vizi di legittimità nella sentenza impugnata, e non limitarsi a offrire una ricostruzione alternativa dei fatti. Inoltre, la pronuncia conferma che la causa di non punibilità per chi testimonia il falso ha un ambito di applicazione molto ristretto, legato a situazioni di reale e inevitabile costrizione, e non può essere invocata semplicemente per giustificare dichiarazioni mendaci volte a proteggere un mero interesse economico o fattuale.
Quando un ricorso in Cassazione per falsa testimonianza rischia di essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso rischia di essere dichiarato inammissibile quando, invece di denunciare violazioni di legge o vizi logici della motivazione della sentenza impugnata, si limita a proporre una diversa interpretazione delle prove e una rilettura critica dei fatti già valutati dai giudici di merito.
L’avere un interesse personale in una causa civile esclude sempre la punibilità per falsa testimonianza?
No. Secondo la Corte, un interesse di fatto vantato dall’imputato in un processo civile non è di per sé sufficiente a giustificare la falsa testimonianza e a integrare la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., la quale richiede una situazione di costrizione derivante dalla necessità di salvare sé stessi da un grave e inevitabile danno.
Cosa significa che la deposizione dell’imputato è stata smentita dall’istruzione dibattimentale?
Significa che le prove raccolte durante il processo (come documenti, altre testimonianze o perizie) hanno contraddetto e dimostrato la falsità di tutte le circostanze riferite dall’imputato durante la sua testimonianza.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33975 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33975 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME NOME a LAGONEGRO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 24/09/2024 della CORTE APPELLO SEZ.DIST. di COGNOME
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Visti gli atti e la sentenza impugnata (condanna per articolo 372 cod. pen.); esaminati motivi di ricorso.
Rilevato che, con il primo motivo, il ricorrente si limita ad effettuare una rivisitazione critica della vicenda oggetto di giudizio senza confrontarsi con la sentenza di appello che, dopo avere assolto per il reato di calunnia, ha confermato la condanna per il reato di falsa testimonianza e ha motivato puntualmente sulla sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di quest’ultimo reato. A pagina 13 della sentenza impugnata si legge infatti che l’imputato ha certamente riferito circostanze false in grado di incidere, ove credute, sulle decisioni del Tribunale e del Giudice di pace di Taranto, in ragione della falsa rappresentazione riguardo alla documentazione posta a fondamento delle pretese creditorie nelle rispettive sedi rivendicate. La sentenza impugnata si sofferma, inoltre, alla medesima pagina, sul fatto che tutte le circostanze emerse dalla deposizione dell’imputato sono state smentite dagli esiti della istruzione dibattimentale.
Quanto al mancato riconoscimento della causa di non punibilità di cui all’art. 384 cod. pen., la Corte ha rilevato che l’interesse di fatto vantato dall’imputato non era ostativo all’obbligo di testimoniare e non determinava, pertanto, alcuna incapacità a testimoniare neppure nella sede del processo civile (vedi pagg. 13 e 14).
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 20/06/2025.