Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35632 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35632 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 09/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a LECCE il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 13/10/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
00visti gli atti e la sentenza impugnata; dato avviso alle parti;
esaminati i motivi del ricorso di COGNOME COGNOME e letta la memoria depositata dal difensore della ricorrente, AVV_NOTAIO, che ha chiesto l’annullamento della sentenza impugnata o, in subordine, che la trattazione del ricorso sia assegnata alla Sezione ordinaria;
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME
Ritenuto che i motivi dedotti nel ricorso avverso la condanna per il delitto di falsa testimonianza non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità, perché costituiti da mere doglianze in punto di fatto ed incentrati sulla denuncia del vizio di motivazione che la lettura del provvedimento impugnato rivela essere completa e logicamente ineccepibile e dalla quale si evince l’insussistenza dei vizi dedotti. Come è noto, in tema di giudizio di cassazione, esula dai poteri della Corte quello di operare una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è riservata in via esclusiva al giudice di merito senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa valutazione delle risultanze processuali ritenute dal ricorrente più adeguate (Sez. U, n. 6402 del 2/07/1997, COGNOME, Rv. 207944; conforme, ex pluribus, Sez. 1, n. 45331 del 17/02/2023, Rezzuto, Rv. 285504 – 01).
In particolare, relativamente alla dedotta mancanza di prova in ordine alla sussistenza della falsità della deposizione resa, la Corte territoriale ha con motivazione non illogica confermato la penale responsabilità della COGNOME atteso che la versione dei fatti rappresentata dalla stessa dinanzi al Giudice è risultata totalmente smentita dalle precise e attendibili dichiarazioni del teste COGNOME NOME, poliziotto in borghese che aveva casualmente assistito all’aggressione posta in essere, per banali ragioni di circolazione stradale, da un amico della imputata (tale COGNOME NOME) a danno di altro automobilista (COGNOME NOME): aggressione negata, nella deposizione resa nel corso del giudizio instaurato per tale fatto, dalla ricorrente che aveva anzi sostenuto che era stato l’altro automobilista ad aggredire, sia pure verbalmente, lo COGNOME. Sul punto, la sentenza impugnata ha, in modo non illogico, evidenziato che l’imputata non si è limitata ad affermare di non aver visto COGNOME aggredire NOME, “ma ha categoricamente escluso che ciò sia avvenuto e anche in sede di confronto … ha recisamente contraddetto il teste COGNOME, affermando che quanto da quest’ultimo dichiarato non corrisponde al vero e non è mai avvenuto” (pag. 4); il che supera anche le deduzioni difensive in merito ad una asserita carenza della consapevolezza di dichiarare il falso, atteso che ella ha riferito, in termini di certezza, un fatto risultato obiettivamente falso e che per l’integrazione del delitto
di falsa testimonianza è sufficiente il dolo generico, ovvero la coscienza e volontà, comunque determinatasi nel teste, di rendere dichiarazioni in difformità da quanto da lui conosciuto e ricordato al momento della deposizione (Sez. 6, n. 37482 del 25/06/2014, Trojer, Rv. 260816 – 01). Anche il giudizio formulato dalla Corte territoriale (pag. 5) in merito all’attendibilità del teste COGNOME (fondato tra l’alt sulla qualifica pubblica dallo stesso rivestita, di tal che egli, seppur al momento del fatto, fuori servizio, ha redatto una annotazione sull’episodio) e quello in ordine all’inverosimiglianza di quanto detto dalla COGNOME (incompatibile con il referto medico del COGNOME, che dà atto di lesioni dal predetto riportate nell’accaduto) si sottraggono alle censure formulate dalla ricorrente, in quanto basati su una congrua valutazione degli elementi probatori.
Rilevato che manifestamente infondato – e dunque inammissibile – è anche il secondo motivo del ricorso, nel quale si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche. Sul punto, la sentenza impugnata (pag. 6) ha, da un lato, evidenziato che – al di là della sola incensuratezza, elemento che dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, non è più sufficiente a giustificare la concessione delle attenuanti generiche (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, COGNOME, Rv. 283489 – 01) – non si rinvengono elementi positivamente valorizzabili in tal senso e, dall’altro lato, ha rilevato che “l’imputata non ha manifestato alcuna resipiscenza per quanto commesso”; motivazione non illogica e dunque non sindacabile nel giudizio di legittimità.
Considerato che all’inammissibilità dell’impugnazione segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della cassa delle ammende, che si ritiene conforme a giustizia liquidare come in dispositivo.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di tremila euro in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 9 settembre 2024
Il GLYPH nsigliere re (6Q tor
GLYPH