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Falsa testimonianza per paura: quando è reato?

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per falsa testimonianza di quattro persone che avevano mentito durante un processo per omicidio. Gli imputati sostenevano di aver agito per paura di ritorsioni da parte degli autori del delitto. La Corte ha respinto i ricorsi, dichiarandoli inammissibili, e ha chiarito che il timore per la propria incolumità fisica non rientra nell’esimente specifica prevista per la falsa testimonianza, la quale protegge solo da un nocumento alla libertà o all’onore. Per invocare lo stato di necessità, è indispensabile provare un pericolo grave, attuale e non altrimenti evitabile, condizione non soddisfatta da un generico timore.

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Pubblicato il 20 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa testimonianza per paura: la Cassazione stabilisce i limiti della giustificazione

Mentire in tribunale per paura di ritorsioni è un dilemma che può presentarsi nelle aule di giustizia. Ma questo timore può giustificare legalmente una falsa testimonianza? Con la sentenza n. 21074/2024, la Corte di Cassazione ha offerto una risposta netta, confermando la condanna di quattro testimoni che avevano mentito durante un processo per omicidio, e delineando i rigidi confini delle esimenti come lo stato di necessità.

I fatti di causa

Il caso trae origine da un processo per omicidio, durante il quale quattro persone, chiamate a testimoniare, hanno reso dichiarazioni palesemente false e reticenti. Le loro versioni dei fatti contrastavano in modo evidente con le prove raccolte, in particolare con il contenuto di diverse intercettazioni ambientali e telefoniche. Da queste prove emergeva che i testimoni non solo avevano assistito all’omicidio, ma erano anche stati oggetto di minacce e pressioni da parte degli autori del delitto per non rivelare la verità.

Condannati in primo grado e in appello per falsa testimonianza (e uno di loro anche per calunnia nei confronti dei carabinieri), gli imputati hanno proposto ricorso in Cassazione. La loro difesa si basava principalmente sull’applicazione delle cause di non punibilità previste dagli articoli 384 (Causa di non punibilità) e 54 (Stato di necessità) del codice penale, sostenendo di aver mentito perché costretti dal timore per la propria incolumità fisica.

La decisione della Corte di Cassazione e la falsa testimonianza

La Sesta Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato tutti i ricorsi inammissibili, confermando integralmente le condanne. La Corte ha ritenuto i motivi di ricorso generici e meramente ripetitivi di censure già adeguatamente respinte nei precedenti gradi di giudizio. La sentenza si è concentrata sulla corretta interpretazione delle esimenti invocate, chiarendo perché la paura, da sola, non sia sufficiente a scriminare il reato.

Le motivazioni

Il cuore della decisione risiede nella distinzione operata dai giudici tra le diverse cause di non punibilità e i loro presupposti applicativi.

1. L’esimente speciale dell’art. 384 c.p. vs. lo stato di necessità: La Corte ha ribadito che l’art. 384 c.p. prevede una causa di non punibilità specifica per chi commette falsa testimonianza per la necessità di salvare sé stesso o un prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento nella libertà o nell’onore. Questa norma, per il suo carattere di specialità, non si estende al pericolo per l’incolumità fisica. Per quest’ultima ipotesi, si deve fare riferimento alla scriminante generale dello stato di necessità (art. 54 c.p.).

2. I requisiti rigorosi dello stato di necessità: Per poter invocare lo stato di necessità, non basta un semplice timore o una generica sensazione di pericolo. La giurisprudenza richiede la prova di una situazione di pericolo con caratteristiche ben precise: deve essere grave, attuale e non altrimenti evitabile. Nel caso di specie, la Corte ha stabilito che gli imputati non avevano fornito la prova di un pericolo concreto e imminente. Il dovere civico di collaborare con la giustizia non può essere derogato di fronte al mero pericolo di intimidazioni. Anzi, la sentenza sottolinea che è compito dello Stato tutelare i testimoni, ma il testimone ha l’obbligo di deporre il vero.

3. La rilevanza della testimonianza: La difesa aveva anche tentato di minimizzare l’importanza delle dichiarazioni false, sostenendo che non fossero state decisive per la condanna degli assassini. La Cassazione ha respinto anche questa argomentazione, chiarendo che, ai fini della configurabilità del reato di falsa testimonianza, è sufficiente che la deposizione sia pertinente ai fatti di causa e abbia un’oggettiva idoneità, anche solo potenziale, ad alterare l’accertamento della verità processuale. Non è necessario che abbia concretamente influito sulla decisione finale.

Le conclusioni

La sentenza in esame riafferma un principio fondamentale del nostro ordinamento: la testimonianza è un dovere civico cruciale e la sua veridicità è un bene giuridico di primaria importanza. La paura di ritorsioni, per quanto umanamente comprensibile, non costituisce una giustificazione automatica per mentire in tribunale. Per essere scriminati, è necessario dimostrare l’esistenza di un pericolo grave, attuale e inevitabile, un onere probatorio estremamente difficile da soddisfare. Questa decisione serve da monito sulla serietà dell’obbligo di testimoniare e rafforza l’idea che la protezione dei testimoni è un compito dello Stato, ma non può diventare un pretesto per inquinare la ricerca della verità processuale.

La paura di subire ritorsioni può giustificare una falsa testimonianza?
No. Secondo la Corte di Cassazione, un generico timore o la paura di future ritorsioni non sono sufficienti a giustificare la falsa testimonianza. Per invocare la scriminante dello stato di necessità è richiesta la prova di un pericolo grave, attuale e non altrimenti evitabile per la propria incolumità fisica.

Qual è la differenza tra l’esimente dell’art. 384 c.p. e lo stato di necessità dell’art. 54 c.p. per un testimone?
L’esimente dell’art. 384 c.p. è specifica per alcuni reati contro l’amministrazione della giustizia (tra cui la falsa testimonianza) e si applica solo se si è agito per salvare sé stessi o un congiunto da un grave e inevitabile danno alla libertà o all’onore. Lo stato di necessità (art. 54 c.p.), invece, è una scriminante generale che si applica quando si agisce per salvarsi da un pericolo attuale di un danno grave alla persona (incolumità fisica).

Perché il ricorso degli imputati è stato dichiarato inammissibile?
I ricorsi sono stati dichiarati inammissibili per genericità, in quanto si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte con motivazioni adeguate dalla Corte di Appello, senza confrontarsi criticamente con le ragioni della decisione impugnata. Inoltre, le censure erano infondate nel merito, poiché non sussistevano i presupposti legali per l’applicazione delle cause di non punibilità invocate.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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