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Falsa testimonianza della vittima: nessuna scusante

Un uomo, vittima di lesioni da parte della moglie, fornisce una falsa testimonianza per proteggerla, accusando un ignoto aggressore. La Corte di Cassazione ha stabilito che la causa di non punibilità non si applica in questi casi. Essendo la persona offesa dal reato, l’uomo aveva l’obbligo di testimoniare il vero e non godeva della facoltà di astenersi prevista per i prossimi congiunti. La sentenza di assoluzione è stata quindi annullata, riaffermando che la falsa testimonianza della vittima di un reato intrafamiliare è un reato punibile.

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Pubblicato il 28 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Testimonianza della Vittima: La Cassazione Nega la Scusante

Quando la vittima di un reato commesso in famiglia mente per proteggere il proprio aggressore, commette reato? La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 21310 del 2025, offre una risposta netta, chiarendo i confini tra i doveri familiari e l’obbligo di dire la verità in tribunale. Il caso analizzato riguarda una falsa testimonianza della vittima di lesioni, che aveva tentato di scagionare la coniuge accusando un fantomatico estraneo. La Corte ha annullato l’assoluzione, stabilendo un principio fondamentale: chi è vittima di un reato ha sempre l’obbligo di testimoniare il vero, anche se l’imputato è un parente stretto.

I fatti del caso

Un uomo, nel corso del processo a carico della moglie imputata per lesioni personali aggravate ai suoi danni, dichiarava in tribunale di essere stato accoltellato da uno sconosciuto all’esterno della propria abitazione. Tuttavia, le prove raccolte smentivano categoricamente questa versione: abbondanti tracce di sangue erano presenti solo all’interno dell’appartamento e non sul luogo della presunta aggressione esterna. Inoltre, graffi ed escoriazioni sul viso dell’uomo erano incompatibili con la sua narrazione. Era evidente che le lesioni erano state inferte dalla moglie durante un alterco domestico.

La decisione del Tribunale e il ricorso del Procuratore

In primo grado, il Tribunale di Trieste aveva assolto l’uomo dal reato di falsa testimonianza, applicando la causa di non punibilità prevista dall’articolo 384 del codice penale. I giudici avevano fatto leva sul principio stabilito dalle Sezioni Unite ‘Genovese’, secondo cui non è punibile chi rende false dichiarazioni se, pur avendo la facoltà di astenersi dal testimoniare, non è stato avvertito di tale diritto.

Contro questa decisione, il Procuratore generale ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo un punto cruciale: l’uomo, in qualità di persona offesa (vittima) del reato commesso dalla moglie, non aveva alcuna facoltà di astenersi. Al contrario, era obbligato per legge a testimoniare.

Falsa testimonianza vittima: L’obbligo di verità prevale

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del Procuratore, ritenendolo fondato e fornendo un’importante chiarificazione sull’interpretazione delle norme processuali.

La deroga all’astensione per la persona offesa

L’articolo 199 del codice di procedura penale concede ai prossimi congiunti dell’imputato la facoltà di astenersi dal testimoniare, per evitare un doloroso conflitto tra l’affetto familiare e il dovere civico di contribuire alla giustizia. Tuttavia, la stessa norma prevede un’eccezione fondamentale: questa facoltà non si applica quando il congiunto è la persona offesa dal reato. In questo caso, l’interesse alla protezione della vittima e all’accertamento della verità prevale sui legami familiari.

Il richiamo alla Corte Costituzionale

La Cassazione ha rafforzato la propria argomentazione citando una recente sentenza della Corte Costituzionale (n. 200/2024), la quale ha definito l’obbligo di testimoniare per la vittima come una vera e propria ‘forma di protezione’. Questo obbligo previene le intimidazioni che spesso si verificano in contesti familiari e garantisce la genuinità della prova, poiché proviene direttamente dal titolare dell’interesse protetto dalla legge. Per la vittima non si pone il ‘dilemma morale’ tra salvare un congiunto e dire la verità, poiché il suo ruolo primario è quello di portatore di un interesse leso che chiede giustizia.

Le motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte ha censurato la sentenza di primo grado per aver applicato in modo errato i principi giuridici. I giudici di merito non hanno considerato la circostanza determinante: l’imputato era la persona offesa del reato per cui testimoniava. In quanto vittima, non aveva né la facoltà di astenersi né il diritto a ricevere l’avviso relativo a tale facoltà. Di conseguenza, il richiamo alla sentenza ‘Genovese’ era del tutto impertinente, poiché quel principio si applica solo a chi, avendo il diritto di astenersi, non ne viene informato.
La Corte ha ribadito che la posizione del prossimo congiunto-persona offesa non si differenzia da quella di un qualsiasi altro testimone: entrambi sono tenuti a dire la verità. La falsa deposizione, quindi, non poteva essere coperta dalla causa di non punibilità.

Le conclusioni

La sentenza stabilisce con chiarezza un principio di grande rilevanza pratica, soprattutto nei casi di reati consumati in ambito familiare. La vittima di un reato ha il dovere di rendere una testimonianza veritiera, anche quando l’imputato è un suo stretto congiunto. Mentire per proteggere l’aggressore integra il reato di falsa testimonianza, e non è possibile invocare la causa di non punibilità prevista dall’art. 384 c.p., poiché manca il presupposto fondamentale: il diritto di astenersi dal testimoniare.

La vittima di un reato commesso da un familiare ha il diritto di non testimoniare?
No, secondo l’art. 199 del codice di procedura penale, la persona offesa dal reato non gode della facoltà di astenersi dal testimoniare, anche se l’imputato è un prossimo congiunto. L’obbligo di testimoniare prevale.

Se la vittima mente in tribunale per proteggere il familiare-aggressore, commette reato?
Sì, rendendo dichiarazioni non veritiere sotto giuramento, la vittima commette il reato di falsa testimonianza. L’obbligo di dire la verità non viene meno a causa del legame familiare con l’imputato.

Perché la causa di non punibilità non si applica alla falsa testimonianza della vittima in questo caso?
La causa di non punibilità, legata alla mancata informazione sulla facoltà di astenersi (principio ‘Genovese’), non è applicabile perché la vittima del reato non ha mai avuto tale facoltà. L’esimente presuppone l’esistenza di un diritto che, in questo caso, la legge esclude espressamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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