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Falsa testimonianza: annullata condanna della Cassazione

La Corte di Cassazione ha annullato con rinvio una sentenza di condanna per falsa testimonianza. Il caso riguardava una donna accusata di aver mentito per fornire un alibi al suo ex compagno, imputato in un processo per omicidio. La Suprema Corte ha ravvisato una palese contraddittorietà nella motivazione della Corte d’Appello, la quale prima aveva ritenuto indispensabile una perizia tecnica (poi rivelatasi impossibile) e poi aveva confermato la condanna basandosi su deduzioni logiche. Inoltre, è stata messa in discussione la reale idoneità della testimonianza a influenzare il processo per omicidio, data la presenza di prove schiaccianti (DNA) contro l’imputato principale.

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Pubblicato il 1 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Testimonianza: Quando la Bugia non è Sufficiente per una Condanna

Il reato di falsa testimonianza tutela il corretto funzionamento della giustizia, punendo chi mente davanti a un giudice. Tuttavia, una recente sentenza della Corte di Cassazione ci ricorda che non basta affermare il falso per essere condannati. È necessario che la dichiarazione mendace sia anche potenzialmente in grado di sviare il giudizio. Il caso analizzato riguarda l’annullamento di una condanna proprio per la mancanza di motivazione sulla reale pericolosità della testimonianza.

I Fatti: La Testimonianza Contesa in un Processo per Omicidio

La vicenda trae origine da un processo per omicidio. Durante il dibattimento, l’ex fidanzata di uno degli imputati viene chiamata a testimoniare. La donna dichiara di aver scambiato messaggi via chat con l’uomo proprio durante la notte del delitto, tra il 16 e il 17 marzo 2019, e di aver ricevuto un messaggio da lui tra le 4 e le 5 del mattino. Queste affermazioni contrastano con quanto emerso dalle indagini, secondo cui il cellulare dell’imputato risultava disattivato in quell’arco di tempo. Sulla base di questa discrepanza, la testimone viene a sua volta processata e condannata in primo e secondo grado per il reato di falsa testimonianza.

L’Iter Processuale e le Contraddizioni della Corte d’Appello

La difesa della donna ha sempre sostenuto una tesi tecnica: la comunicazione via chat (ad esempio tramite WhatsApp) avrebbe potuto avvenire anche con il telefono non agganciato alla rete cellulare, magari tramite una connessione Wi-Fi, senza quindi lasciare traccia nei tabulati telefonici. La Corte d’Appello, per dirimere la questione, dispone una perizia tecnica, definendola “indispensabile”.

Tuttavia, a causa del tempo trascorso dai fatti, la perizia si rivela materialmente impossibile da eseguire. A questo punto, la Corte d’Appello compie un passo che la Cassazione giudicherà illogico: pur avendo definito l’accertamento tecnico come cruciale, decide di prescinderne e conferma la condanna, basandosi su argomentazioni logico-deduttive e sul contrasto tra le prime dichiarazioni sommarie della donna e quelle più dettagliate rese in dibattimento. Questa contraddizione diventa il fulcro del ricorso in Cassazione.

L’Irrilevanza della falsa testimonianza e la Decisione della Cassazione

La Suprema Corte accoglie il ricorso, annullando la sentenza e rinviando il caso a un’altra sezione della Corte d’Appello. Le criticità evidenziate sono due e di fondamentale importanza.

In primo luogo, la palese contraddizione logica della Corte territoriale. Se una prova viene ritenuta “assolutamente necessaria” per la decisione, la sua mancata acquisizione crea un vuoto probatorio che non può essere colmato da semplici deduzioni. Il giudice non può prima affermare di aver bisogno di un dato tecnico per decidere e poi, constatata l’impossibilità di ottenerlo, decidere lo stesso come se nulla fosse.

In secondo luogo, e forse ancora più importante, la Cassazione si sofferma sulla natura del reato di falsa testimonianza come reato di pericolo. Per essere punibile, la dichiarazione falsa deve essere “astrattamente idonea” ad alterare o influenzare il convincimento del giudice. Nel caso specifico, la responsabilità dell’imputato nel processo per omicidio era stata accertata sulla base di prove scientifiche schiaccianti, come la presenza del suo DNA sulla vittima. Di fronte a una prova così forte, il presunto scambio di pochi messaggi notturni, che peraltro non avrebbero costituito un alibi di ferro, appariva del tutto marginale e ininfluente.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte di Cassazione si fonda su un doppio binario critico. Da un lato, censura la metodologia seguita dai giudici d’appello, evidenziando una frattura logica insanabile tra la premessa (la necessità di una perizia) e la conclusione (la condanna in assenza di essa). Questo vizio di motivazione rende la sentenza fragile e arbitraria. Dall’altro lato, la Corte entra nel merito della fattispecie di falsa testimonianza, ricordando che la sua ratio è proteggere il processo decisionale del giudice da inquinamenti probatori. Se la menzogna del testimone verte su circostanze così secondarie da risultare oggettivamente ininfluenti rispetto al quadro probatorio principale (dominato, in questo caso, dalla prova del DNA), allora viene a mancare la pericolosità concreta richiesta dalla norma penale. La Corte d’Appello, quindi, non solo aveva seguito un percorso argomentativo contraddittorio, ma non aveva neppure spiegato in che modo le dichiarazioni della donna avrebbero potuto concretamente incidere sulla posizione dell’imputato nel processo per omicidio, condizionando i giudici chiamati a decidere su quel delitto.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito sul rigore necessario per affermare la responsabilità penale per falsa testimonianza. Non ogni bugia detta in un’aula di tribunale integra automaticamente il reato. È indispensabile una valutazione ex ante sulla pertinenza e rilevanza della circostanza oggetto della deposizione. Se la dichiarazione, per quanto non veritiera, riguarda aspetti marginali del fatto e si scontra con prove di ben altro peso, essa può essere considerata inidonea a ledere il bene giuridico protetto, ovvero la corretta formazione del convincimento giudiziale. La decisione della Cassazione impone quindi un nuovo giudizio che dovrà colmare le lacune e risolvere le contraddizioni, valutando con maggiore attenzione se la testimonianza incriminata avesse davvero la potenzialità di deviare il corso della giustizia.

Quando una testimonianza è considerata ‘falsa’ e penalmente rilevante?
Non è sufficiente che la dichiarazione non sia veritiera. Per essere penalmente rilevante, la falsa testimonianza deve riguardare fatti che sono astrattamente idonei ad alterare o influenzare la formazione del convincimento del giudice, costituendo un pericolo per il corretto accertamento dei fatti.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la condanna per falsa testimonianza in questo caso?
La Cassazione ha annullato la condanna per due motivi principali: 1) una palese contraddizione nella motivazione della Corte d’Appello, che prima ha ritenuto indispensabile una perizia tecnica e poi ha deciso senza di essa; 2) la mancata dimostrazione della reale rilevanza delle dichiarazioni false, che apparivano marginali rispetto a prove scientifiche schiaccianti (come il DNA) nel processo principale.

Può un giudice d’appello ignorare una prova che lui stesso aveva definito ‘indispensabile’?
No. Secondo la Cassazione, se un giudice ritiene l’assunzione di una prova ‘assolutamente necessaria’ per la decisione, non può poi prescinderne se questa si rivela impossibile da acquisire. Farlo crea una contraddizione insanabile nella motivazione della sentenza.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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