Sentenza di Cassazione Penale Sez. 6 Num. 35147 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 6   Num. 35147  Anno 2025
Presidente: NOME COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 08/10/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nata a Cariati il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 17/12/2024 della Corte di appello di Ancona letti gli atti, il ricorso e il provvedimento impugnato; udita la relazione del AVV_NOTAIO NOME COGNOME; udite le conclusioni del Pubblico ministero in persona del AVV_NOTAIO, che ha concluso per l’inammissibilità del ricorso; udite le conclusioni del difensore AVV_NOTAIO, che ha chiesto
l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Il difensore di NOME COGNOME ha proposto ricorso avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Corte di appello di Ancona, in parziale riforma della sentenza emessa il 18 gennaio 2022 dal GUP del Tribunale di Pesaro, ha rideterminato la pena in un anno e quattro mesi di reclusione con i doppi benefici, confermando nel resto la sentenza appellata, che, all’esito di giudizio
abbreviato, aveva affermato la responsabilità dell’imputata per il reato di falsa testimonianza.
All’imputata si addebita di aver reso false dichiarazioni nel corso dell’esame testimoniale dinanzi alla Corte di assise di Pesaro nel processo a carico di COGNOME NOME, COGNOME NOME, COGNOME NOME e COGNOME NOME, accusati dell’omicidio di COGNOME NOME, avvenuto nella notte tra il 16 e 17 marzo 2019; in particolare, la COGNOME, ex fidanzata di COGNOME NOME, dichiarava falsamente di aver chattato con lui nel periodo dal 15 al 18 marzo 2019 e anche nel corso della notte dell’omicidio, di aver ricevuto un messaggio tra le 4 e le 5 del mattino, nel quale le comunicava di essere già a letto e che non sarebbe andato a salutarla, in contrasto con le dichiarazioni rese il 4 giugno 2019 ai CC e con la circostanza che il COGNOME dal pomeriggio del 16 marzo sino alle ore 3.25 del 18 marzo aveva disattivato il suo cellulare.
Con un unico, articolato, motivo si chiede l’annullamento della sentenza, deducendo l’illogicità e contraddittorietà della motivazione.
La Corte di appello ha contraddetto se stessa, dapprima, disponendo come supplemento istruttorio una perizia ritenuta indispensabile, per poi ritenerla non così rilevante, una volta accertata l’impossibilità materiale di eseguirla a causa del decorso di un lungo lasso di tempo dai fatti. La contraddizione è evidente e il ragionamento della Corte è illogico, in quanto le questioni tecniche dedotte nell’atto di appello non sono superabili con argomentazioni logico-deduttive, tanto da incorrere in travisamenti della prova; la mancata produzione di traffico dal telefono del COGNOME non significa che il telefono fosse spento e che non potesse comunicare mediante whatsapp, come sostenuto dalla NOME, senza attivare alcuna cella. Ritenere, per il mancato rinvenimento delle chat nei telefonini, che le conversazioni non fossero avvenute e che la ricorrente abbia detto il falso integra un travisamento del fatto, così come affermare che nella relazione dei CC di Pesaro non vi è traccia di scambio via chat di messaggi tra COGNOME e COGNOME integra il travisamento della prova, non avendo i CC effettuato il back up delle chat o ricerche in tal senso. Peraltro, lo scambio di quattro messaggi nell’arco di una notte non è incompatibile con la presenza del COGNOME sul luogo dell’omicidio, sicché le dichiarazioni della ricorrente sono irrilevanti né possono aver indotto in errore la Corte di assise rispetto all’omicidio avvenuto nella notte tra il 16 e 17 marzo 2019.
La mancata acquisizione all’epoca dei fatti dei tabulati allora reperibili non ha consentito al perito di svolgere le verifiche richieste a causa del decorso del tempo e ciò impedisce di ritenere sia che quanto affermato dalla ricorrente a proposito dei messaggi intercorsi con il COGNOME sia vero, sia che sia falso; in ogni caso manca sul piano oggettivo la rilevanza di quanto riferito dalla NOME
poiché lo scambio di 4 messaggi in 8 ore non fornisce un alibi al COGNOME né è incompatibile con la condotta omicidiaria a questi ascritta.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.  Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito illustrate.
 La sentenza impugnata sconta una palese contraddizione interna, correlata all’integrazione probatoria disposta per ricostruire, mediante perizia, il traffico telefonico eventualmente intercorso tra la ricorrente e il COGNOME nel periodo dell’omicidio e alla decisione della Corte di appello di prescinderne, una volta accertata l’impossibilità dell’accertamento.
La circostanza rileva sia in relazione alla natura del rito con cui si era svolto il giudizio di primo grado, sia alla decisione di superare la mancanza del risultato probatorio.
È nota la natura eccezionale dell’integrazione probatoria disposta ex officio nel giudizio di appello successivo al giudizio svoltosi in primo grado nelle forme del rito abbreviato, essendo consentita solo nel caso in cui il giudice ritenga l’assunzione della prova assolutamente necessaria per l’accertamento dei fatti, perché potenzialmente idonea ad incidere sulla valutazione del complesso degli elementi acquisiti.
Ne discende che la verifica tecnica disposta era ritenuta decisiva dal giudice di appello con la conseguenza che la decisione di prescinderne denuncia sia una fragilità del ragionamento probatorio seguito, perché privo di un dato ritenuto indispensabile per la decisione, sia una incongruenza a monte, perché era stato già accertato nel giudizio di Corte di assise che il cellulare del COGNOME risultava spento dal 15 marzo 2018 per ritornare attivo solo dopo le ore 5.25 del 18 marzo 2019; che il COGNOME aveva cancellato le chat con la NOME, non recuperate nell’immediatezza né più recuperabili, e che la NOME non era più in possesso del cellulare, come già emerso nel giudizio di primo grado.
Non risulta, pertanto, contrastata con idonee e valide argomentazioni tecniche la tesi difensiva secondo la quale la circostanza che il telefono fosse spento non escludeva la possibilità di comunicare mediante whatsapp senza attivare alcuna cella, avvalendosi di ad esempio di un router, e che, quindi, la mancanza di traffico risultante dai tabulati non escludeva che le comunicazioni riferite dalla NOME fossero realmente avvenute nel corso della notte tra il 16 e 17 marzo 2019.
Si intende dire che, ferma l’oggettiva indisponibilità dei dati non acquisiti nell’immediatezza per una superficialità investigativa, in assenza di una
3  COGNOME
(
valutazione tecnica sui punti indicati dalla difesa, la conseguenza tratta dai giudici di merito dal mancato riscontro dei messaggi scambiati ovvero l’inesistenza dei messaggi e, dunque, la falsità delle dichiarazioni rese dalla NOME non è sorretta da adeguata e persuasiva motivazione né è superata dal ricorso agli altri elementi valorizzati dai giudici di merito.
2.1. In primo luogo, perché si attribuisce rilievo al contrasto tra le stringate dichiarazioni rese ai CC in epoca prossima al fatto rispetto a quelle dettagliate rese in dibattimento, sottolineando, da un lato, che non potevano non essere note alla ricorrente le ragioni della convocazione in fase di indagini e la rilevanza delle informazioni sui suoi rapporti con il COGNOME e sui movimenti di questi nel periodo dal 15 al 18 marzo 2019, pur non negandosi, dall’altro, l’effettiva genericità delle domande poste dagli operanti nell’occasione, come segnalato dalla difesa: argomento, questo, che finisce per indebolire la considerazione iniziale.
Ancora, se pur non è illogica la significatività attribuita all’omesso riferimento nel corso delle sommarie informazioni rese ai CC alla vicenda, narrata solo in dibattimento, che giustificava i rapporti telefonici tra la ricorrente e il COGNOME proprio in quel periodo (l’acquisto in Germania di un pezzo di ricambio per l’autovettura del COGNOME, risultato inidoneo e, pertanto, fonte di contrasti e discussioni tra loro) alla luce dell’ammissione della ricorrente di aver conservato buoni rapporti con il COGNOME COGNOME e risultando l’omissione poco giustificabile per un episodio verificatosi in epoca recente e prossima all’audizione, ritorna ad assumere centralità il mancato riscontro dei messaggi scambiati nel corso della notte dell’omicidio, durante il viaggio di ritorno della NOME dalla Calabria verso la Germania ed in previsione di un incontro con il COGNOME, poi non verificatosi, essendovi riscontro solo della telefonata delle ore 5.25 del 18 marzo 2019, riferita dalla ricorrente.
A tali criticità si aggiunge l’ulteriore e non meno rilevante profilo di censura evidenziato dalla difesa ovvero la sussistenza del reato di falsa testimonianza sul piano oggettivo e soggettivo per l’irrilevanza delle circostanze riferite dalla NOME.
Anche sul punto la motivazione è contraddittoria e lacunosa, in quanto, da un lato, la Corte di appello reputa lo scambio di messaggi riferito dalla COGNOME elemento rilevante, favorevole al COGNOME e potenzialmente idoneo a scagionarlo, provandone la permanenza in casa la notte dell’omicidio, dall’altro, evidenzia che la responsabilità del COGNOME è stata accertata sulla scorta di dati oggettivi come la presenza del suo DNA (e di quello del COGNOME) sulla maglia e sul nastro adesivo che immobilizzava la vittima, tanto da individuare con certezza entrambi come autori materiali dell’omicidio (pag. 16 sentenza).
È allora di tutta evidenza l’insuperabilità e l’assoluta preponderanza di quest’ultimo dato ai fini del giudizio di responsabilità del COGNOME rispetto alle dichiarazioni favorevoli rese dalla RAGIONE_SOCIALE, la cui rilevanza risulta diversamente apprezzata in un passaggio immediatamente successivo della motivazione in cui se ne afferma l’idoneità ad alleggerire la posizione del COGNOME o, quantomeno, ad introdurre elementi di dubbio in merito al ruolo ricoperto dal COGNOME nella vicenda omicidiaria.
Se, quindi, si esclude la marginalità delle dichiarazioni rese dalla ricorrente per la potenzialità di deviare il regolare corso dell’accertamento della responsabilità del COGNOME, richiamando l’orientamento giurisprudenziale sulla valutazione ex ante da compiere in punto di pertinenza e rilevanza delle circostanze riferite dal teste, tuttavia, non si descrive la concreta situazione processuale esistente al momento della deposizione e neppure si spiega in che misura le false circostanze riferite dalla NOME potessero incidere sulla posizione del COGNOME in corso di accertamento né con quali circostanze concrete, di tempo e di luogo, emerse nel processo per omicidio, potesse confliggere lo scambio di messaggi notturno con la NOME e giustificare un diverso rapporto di rilevanza rispetto all’incontestabilità della presenza del DNA del COGNOME sul corpo della vittima e, quindi, in quale misura le dichiarazioni della NOME potessero condizionare i giudici chiamati a giudicare il COGNOME.
E ciò in forza della natura di reato di pericolo del delitto di falsa testimonianza, per la cui sussistenza non è necessario che il giudice che raccoglie la testimonianza sia in concreto tratto in inganno, essendo, invece, sufficiente che le dichiarazioni false o reticenti risultino astrattamente idonee ad alterarne o comunque ad influenzarne la formazione del convincimento (Sez.6, n. 20656 del 22/11/2011, dep. 2012, De Gennaro, Rv. 252629).
Le criticità evidenziate impongono, pertanto, l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia, che nel nuovo giudizio provvederà a colmare le lacune e risolvere le contraddizioni rilevate.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di appello di Perugia
Così deciso, 8 ottobre 2025
Il consigliere e COGNOMECOGNOMENOME> nsore  COGNOME NOME COGNOME o  COGNOME
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