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Falsa dichiarazione residenza: condanna confermata

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna penale nei confronti di un cittadino per una falsa dichiarazione residenza finalizzata a ottenere il reddito di cittadinanza. La Corte ha stabilito che, nonostante le recenti sentenze della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale sul requisito della residenza decennale, la condotta di dichiarare il falso sul requisito della residenza continuativa in Italia negli ultimi due anni rimane penalmente rilevante. L’appello, basato anche su un presunto errore scusabile, è stato rigettato in quanto l’ignoranza della legge penale non è stata ritenuta inevitabile.

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Pubblicato il 1 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione Residenza e Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Fa Chiarezza

Con la recente sentenza n. 30103 del 2025, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità: la rilevanza penale della falsa dichiarazione residenza per ottenere il reddito di cittadinanza. La decisione chiarisce l’impatto delle recenti sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e della Corte Costituzionale, confermando la responsabilità penale per chi attesta il falso su requisiti specifici.

Il Caso: Una Dichiarazione Mendace per il Reddito di Cittadinanza

Il caso ha origine dalla condanna, confermata in appello, di un cittadino straniero per il reato previsto dall’art. 7, comma 2, del d.l. n. 4/2019. L’imputato, nella domanda per il reddito di cittadinanza, aveva omesso di comunicare di non aver risieduto continuativamente in Italia negli ultimi due anni, un requisito essenziale per accedere al beneficio. Dalle indagini era infatti emerso che l’uomo si era iscritto all’AIRE (Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero) per un trasferimento in Marocco, interrompendo di fatto la continuità della residenza richiesta dalla legge.

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione basandosi su due motivi principali: la mancanza dell’elemento psicologico del reato (sostenendo un errore scusabile) e, soprattutto, la presunta non punibilità della condotta alla luce di recenti e importanti decisioni giurisprudenziali europee e nazionali.

L’Impatto delle Sentenze Europee e Costituzionali sulla falsa dichiarazione residenza

Il punto cruciale del ricorso riguardava l’interpretazione di due sentenze fondamentali che hanno inciso sulla normativa del reddito di cittadinanza.

La Posizione della Corte di Giustizia Europea

La difesa ha richiamato la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) del 29 luglio 2024 (cause C-112/22 e C-223/22). In quella decisione, la CGUE aveva stabilito che subordinare una prestazione sociale come il reddito di cittadinanza a un requisito di residenza decennale fosse discriminatorio e che, di conseguenza, non si potessero sanzionare penalmente le false dichiarazioni relative a tale requisito.

La Risposta della Corte Costituzionale Italiana

Successivamente, però, è intervenuta la Corte Costituzionale italiana con la sentenza n. 31 del 2025. La Consulta, pur riducendo il requisito della residenza da dieci a cinque anni per renderlo più proporzionato, ha qualificato il reddito di cittadinanza in modo diverso dalla CGUE. Non un mero sussidio assistenziale, ma una misura complessa finalizzata all’inclusione sociale e lavorativa. Questa diversa qualificazione ha permesso alla Corte Costituzionale di ritenere legittima l’esistenza di un requisito di radicamento territoriale, seppur ridotto nella durata.

Le Motivazioni della Cassazione: Perché la Condanna è Legittima

La Corte di Cassazione, nel rigettare il ricorso, ha offerto un’analisi dettagliata, aderendo all’impostazione della Corte Costituzionale.

Il Principio di Diritto: La Distinzione Cruciale

Il cuore della motivazione risiede in una distinzione fondamentale. I giudici hanno chiarito che le sentenze della CGUE e della Corte Costituzionale si sono concentrate sul requisito generale della residenza di lungo periodo (dieci anni, poi ridotti a cinque). Tuttavia, la falsa dichiarazione residenza contestata all’imputato non riguardava quel requisito, bensì un altro, distinto e specifico: quello della residenza continuativa in Italia negli ultimi due anni dalla data della richiesta. Questo secondo requisito non è mai stato oggetto di censura o di annullamento da parte delle corti superiori. Di conseguenza, attestare falsamente il suo possesso rimane una condotta penalmente rilevante. In altre parole, la legge che punisce chi mente su questo specifico punto è ancora pienamente in vigore ed efficace.

Il Rigetto dell’Errore Scusabile

Anche il primo motivo di ricorso, relativo all’errore scusabile per scarsa conoscenza della lingua italiana e per essersi affidato a un ufficio, è stato respinto. La Cassazione ha ribadito il principio consolidato secondo cui l’ignoranza della legge penale non scusa, se non in casi eccezionali di ‘inevitabile ignoranza’, che non sono stati ravvisati nel caso di specie. La normativa sul reddito di cittadinanza, pur essendo complessa, non è stata ritenuta così oscura da rendere l’errore inevitabile.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Sentenza

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: la responsabilità penale per le false dichiarazioni è legata al contenuto specifico della menzogna. Sebbene il quadro normativo del reddito di cittadinanza sia stato modificato da importanti interventi giurisprudenziali, non tutti i requisiti sono stati eliminati. La pronuncia conferma che mentire sul requisito della residenza continuativa degli ultimi due anni costituisce ancora reato. Questo serve da monito sulla necessità di prestare la massima attenzione e veridicità nella compilazione di domande per ottenere benefici pubblici, poiché le conseguenze di una dichiarazione mendace rimangono gravi e la difesa basata sull’ignoranza della legge trova raramente accoglimento nei tribunali.

Dichiarare il falso sul requisito della residenza continuativa per il reddito di cittadinanza è ancora reato dopo le recenti sentenze europee e della Corte Costituzionale?
Sì. La Corte di Cassazione ha chiarito che le sentenze della Corte di Giustizia UE e della Corte Costituzionale hanno riguardato il requisito della residenza decennale, ma non hanno inciso sul diverso requisito della residenza continuativa in Italia negli ultimi due anni. Pertanto, una falsa dichiarazione su quest’ultimo punto costituisce ancora reato.

Perché la Corte di Cassazione ha ritenuto di non applicare pienamente la sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea?
La Cassazione ha seguito l’impostazione della Corte Costituzionale italiana, la quale ha specificato che la sentenza della CGUE si basava sulla qualificazione del reddito di cittadinanza come mera ‘prestazione sociale’. La Corte Costituzionale, invece, lo ha definito come una misura più complessa di inclusione attiva, giustificando così la legittimità di un requisito di radicamento territoriale, seppur ridotto a cinque anni.

È possibile giustificare una falsa dichiarazione sostenendo di non conoscere bene la legge o di essersi fidati di un ufficio?
No, di norma non è possibile. La Corte ha ribadito il principio secondo cui l’ignoranza della legge penale non scusa (art. 5 c.p.), a meno che non si tratti di un caso eccezionale di ‘errore inevitabile’. La semplice difficoltà linguistica o l’affidamento a terzi non sono stati ritenuti sufficienti a configurare un errore inescusabile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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