Sentenza di Cassazione Penale Sez. 3 Num. 29730 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
TERZA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 3 Num. 29730 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/05/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME NOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da: NOME COGNOME nato a VARALLO il 02/04/1967 avverso la sentenza del 21/11/2024 della Corte d’appello di Torino Visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore NOME COGNOME che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio.
RITENUTO IN FATTO
1.Con sentenza di cui in epigrafe, la corte di appello di Torino confermava la sentenza del tribunale di Torino del 27.11.2024, con la quale NOME era stato condannato in ordine ai reati di cui agli art. 81 cpv. c.p., 76 dpr 445/2000 in rel. all’art. 483 c.p., 61 n. 2 e 7 comma 1 d.l. n. 4/2019 convertito con L. 26/2019.
2.Avverso la predetta sentenza NOME COGNOME mediante il proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione, deducendo tre motivi di impugnazione.
3.Si rappresenta con il primo motivo il vizio di violazione di legge processuale, lamentando la condanna per un fatto nuovo, come tale diverso da quello in contestazione, avendo il giudice rilevato la sussistenza di un nucleo familiare di fatto comprensivo non solo dell’imputato e della sua convivente NOME, ma anche del proprietario – COGNOME – dell’appartamento presso cui i primi due dimoravano.
4.Con il secondo motivo deduce il vizio di motivazione, e la violazione della L. 76/2016, in punto di formazione di un autonomo nucleo familiare composto dai tre soggetti indicati nella sintesi del primo motivo. Non vi sarebbe motivazione circa l’intenzione dell’imputato di costituire un autonomo nucleo familiare con lo COGNOME e la sua compagna e circa la reale sussistenza di un tale nucleo. Si rappresentano poi le ragioni che depongono per la insussistenza di un tale nucleo, anche richiamando la definizione legislativa della convivenza more uxorio di cui alla Legge prima riportata, che non sarebbe confacente con il preteso nucleo in esame. Mancherebbe, in altri termini, una stabile convivenza e un legame affettivo di reciproca assistenza morale e giuridica. La stessa corte avrebbe fatto ricorso ad una formula dubitativa per configurare un tale nucleo.
5.Con il terzo motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione circa la individuazione della residenza dell’imputato e si osserva che la determinazione di tale residenza in luogo diverso dalla abitazione della madre, come invece dichiarato dall’imputato, si fonderebbe su motivazione viziata, ignorandosi la sussistenza di documentazione a sostegno della veridicità della predetta affermazione, non essendosi inquadrati i fatti rilevanti per definire la residenza reale nel solo periodo
successivo alla morte della madre, del 6 marzo 2019, ed essendosi trascurata la effettiva residenza dell’imputato all’indomani della morte della madre presso la abitazione di costei. Mancherebbe poi l’elemento psicologico del dolo, ribadendosi che il ricorrente aveva assunto come sede principale dei propri affari einteressi, e quindi come sua residenza, la abitazione della madre.
6.Con il quarto motivo deduce la violazione del d.l. n. 4/2019 convertito con L. 26/2019. La corte avrebbe valorizzato due argomenti in maniera illogica, come il tentativo dei due fratelli NOME di fare in modo da operare in maniera tale da mantenere una situazione delle residenze anagrafiche tale da permettere di conservare il diritto di occupazione della casa della madre alla morte di NOME, che l’aveva in fitto. NonchØ l’aumento, da parte dell’imputato, della misura del canone pagato all’IACP per lucrare un importo maggiore circa l’ammontare del reddito di cittadinanza. Mentre l’imputato non avrebbe falsificato alcunchŁ. E si contestano in proposito come erronei taluni importi del canone, come riportati nelle contestazioni. Aggiungendosi che l’imputato avrebbe riportato l’importo corretto del canone pagato alla data del 2019 pari a 1548 euro. Mentre la tesi difensiva sulla insussistenza del nucleo come descritto dai giudici e circa la continua permanenza dell’imputato presso la abitazione della madre sarebbe fondata su elementi aventi dignità probatoria pari a quella degli elementi usati dalla corte di appello.
7.Con il quinto motivo deduce vizi di violazione di legge e di motivazione, osservando che i giudici avrebbero omesso di considerare gli indizi a discarico, in una valutazione unitaria degli elementi disponibili. Si ribadisce la avvenuta condanna per fatto nuovo come in precedenza illustrato. Inoltre si utilizzerebbero al riguardo espressioni dubitative. Non si sarebbe spiegata la ragione della minore attendibilità delle dichiarazioni dell’imputato, della fidanzata e dello COGNOME rispetto a quelle di taluni condomini mentre la tesi difensiva sulla mancata prova della volontà dell’imputato di costituire il nucleo familiare contestatogli sarebbe fondata su elementi aventi dignità probatoria pari a quella delle dichiarazioni usate dalla Corte di appello.
8.Sono stati depositati motivi nuovi.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.I primi due motivi, relativi alla ritenuta contestazione di un fatto nuovo, sono omogenei e devono quindi essere considerati congiuntamente. Essi sono inammissibili. La condanna si fonda, complessivamente, sul rilievo per cui il ricorrente avrebbe falsamente indicato, come propria residenza – quale luogo di abituale dimora – in funzione dell’avvenuto ottenimento del cd. “reddito di cittadinanza”,la casa della madre in luogo della abitazione ove conviveva con la fidanzata e rientrante nella disponibilità del proprietario COGNOME. Tale ricostruzione appare coerentemente motivata attraverso le due sentenze conformi, valorizzando, i giudici, plurime dichiarazioni anche dell’imputato e del fratello, tutte convergenti verso la dimostrazione per cui l’imputato non ha mai dimorato abitualmente presso la casa della madre, poi deceduta, quanto piuttosto presso l’abitazione della fidanzata. Questo Ł il nucleo fondante le contestazioni riguardanti sia il falso ideologico che l’indebita e conseguente e correlata domanda di acquisizione del reddito di cittadinanza. Laddove l’ulteriore notazione del giudice di primo grado, per cui anche lo COGNOME (proprietario e locatore dell’appartamento ove viveva realmente l’imputato) avrebbe integrato il nucleo già formato dal ricorrente e la fidanzata presso l’abitazione diversa da quella della madre del primo, costituisce una notazione descrittiva, puramente ultronea rispetto al thema decidendum, costituito dalla falsa indicazione, quale luogo di residenza, in sede di dichiarazione sostitutiva di certificazione ex art. 46 d.p.r. 445/2000, della casa della madre, posto che la dimora abituale, quale nozione qualificante il concetto di residenza di cui alla citata dichiarazione sostitutiva, era da rinvenirsi altrove, presso l’abitazione della fidanzata dell’imputato.Consegue che la indicazione del primo giudice, per cui presso la effettiva dimora si sarebbe instaurato una sorta di nucleo familiare comprensivo non solo
dell’imputato e della fidanzata ma anche del proprietario della abitazione, COGNOME, Ł mera notazione di fatto, che non integra giuridicamente alcun fatto nuovo contestato, ma un mero dato descrittivo, di per sØ irrilevante ai fini del giudizio, comunque incentrato su una falsa indicazione della residenza, quale che sia il numero di persone con cui l’imputato abbia dimorato altrove. Del resto, lo stesso ricorrente ha rilevato, in ricorso, che il riferimento al nucleo formato dall’imputato in altro luogo rispetto alla abitazione della madre “aveva connotazione piø descrittiva che sostanziale per dare forza alla effettiva residenza dell’imputato NOME diversa da quella dichiarata”. E coerentemente, inoltre, i giudici di appello hanno constatato l’irrilevanza dell'”aggiunta” dello COGNOME nel “nucleo” effettivo familiare dell’imputato, posto che “era contestato già (nel capo di imputazione, ndr) la formazione di un nucleo con la Fordea” (ossia la fidanzata). In altri termini, da una parte non Ł mutato il rilievo, essenziale ai fini della responsabilità, della non corrispondenza della casa della madre con la reale residenza che l’imputato avrebbe dovuto indicare nell’atto sostitutivo incriminato, dall’altra, la descrizione del reale luogo di dimora quale mero contraltare funzionale alla dimostrazione della falsità, da una parte non attiene al fatto reato che rimane immutato – la falsa dichiarazione – dall’altra, si Ł al piø arricchita, rispetto a quanto pure indicato nel capo di imputazione per descrivere la reale residenza altrove, di un mero componente soggettivo. Per giunta, tale aggiunta Ł avvenuta solo in sede di prima sentenza, posto che con la seconda i giudici si sono limitati, in sostanza, a riaffermare la falsità della dichiarazione e la sussistenza della dimora altrove con la fidanzata. Per completare tali assunti, ed evidenziare la correttezza delle conclusioni della Corte circa l’irrilevanza del riferimento, in primo grado, anche allo COGNOME, nel contesto di un “nucleo familiare” dimorante altrove,si ricorda che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, per “fatto nuovo” si intende un fatto ulteriore ed autonomo rispetto a quello contestato (diverso dunque dalla questione in esame, essendo rimasto praticamente inalterato il fatto), ossia un episodio storico che non si sostituisce ad esso, ma che eventualmente vi si aggiunge, affiancandolo quale autonomo “thema decidendum” trattandosi di un accadimento naturalisticamente e giuridicamente autonomo; (Sez. 6, n. 26284 del 26/03/2013, Rv. 256861 – 01Sez. 3, n. 8965 del 16/01/2019, , Rv. 275928 01). Ancora, la nozione di “fatto nuovo” di cui all’art. 518 cod. proc. pen., attiene solo ad un accadimento del tutto difforme ed autonomo da quello contestato. (Nella specie la Corte ha ritenuto che, in materia di bancarotta fraudolenta patrimoniale, non potesse essere considerato “fatto nuovo” la condotta distrattiva del controvalore dei beni aziendali oggetto del reato, indicati nell’imputazione) (Sez. 5, n. 3780 del 14/11/2017 (dep. 26/01/2018 ) Rv. 272166 – 01). Da quanto rilevato, discende l’assoluta irrilevanza di ogni disquisizione circa la esistenza o meno di una convivenza more uxorio di cui al secondo motivo, tantomeno anche assieme allo COGNOME,atteso che, lo si ripete, ciò che rileva e che la corte ha validamente rappresentato, con articolata motivazione, al di là della esistenza o meno di un vero e proprio nucleo familiare, Ł che l’abituale dimora integrante la residenzaeffettiva, ai sensi dell’art. 43 c.c., era stata fissata dall’imputato in luogo diverso dalla casa della madre, ove lo stesso si recava solo, in sostanza, saltuariamente, piuttosto svolgendo la sua vita ordinaria presso l’abitazione della fidanzata.
2.Da quanto sopra rilevato, in ordine alla adeguatezza della motivazione, consegue l’inammissibilità anche del terzo motivo, con cui si propone una mera rivalutazione del merito, inerente la ricostruzione della reale residenza, come tale inammissibile. Per le medesime ragioni Ł inammissibile l’analogo quinto motivo.
3.Il quarto motivo Ł manifestamente infondato. Sia perchØ si censurano profili di fatto inammissibili in questa sede e di cui non si illustra altresì la decisività rispetto alla decisione. Sia perchØ si ripropone il tema, ormai superato per quanto sopra osservato, della effettiva residenza dell’imputato presso la casa della madre.
4.Quanto ai motivi nuovi, con cui si Ł contestata la funzionalità della falsa dichiarazione della
residenza rispetto all’ottenuto reddito di cittadinanza, si tratta di censura inammissibile, siccome mai proposta in ricorso e come tale nuova. Questa Corte ha piø volte precisato che i motivi nuovi proposti a sostegno dell’impugnazione devono avere ad oggetto, a pena di inammissibilità, i capi o i punti della decisione impugnata già investiti dall’atto di impugnazione originario (Sez. 2, n. 17693 del 17/01/2018 Rv. 272821 – 01 Corbelli; Sez. 2, n. 53630 del 17/11/2016 Rv. 268980 – 01 Braidic.). Nel caso di specie il ricorso si Ł incentrato solo sulla falsità della dichiarazione di residenza (di per sØ integrante i due reati di falso autonomamente contestati ai capi a) e c)) per cui Ł nuova ogni disquisizione sulla necessità o meno di tale falsa attestazione ai fini del rilascio del reddito di cittadinanza (di cui ai capi b) e d).
Sulla base delle considerazioni che precedono, la Corte ritiene pertanto che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen., di sostenere le spese del procedimento. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi Ł ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza ‘versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità’, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di euro 3.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così Ł deciso, 23/05/2025 Il Consigliere estensore NOME COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME