LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Falsa dichiarazione reddito: quando non è reato

Un cittadino, condannato per aver presentato una falsa dichiarazione reddito al fine di ottenere l’esenzione dal pagamento del contributo unificato, è stato definitivamente assolto dalla Corte di Cassazione. La Corte ha riqualificato il fatto, stabilendo che il reato di falsità ideologica (art. 483 c.p.) è assorbito da quello più specifico di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.). Poiché il beneficio economico era limitato, il fatto non costituisce reato penale, ma un illecito amministrativo, con la trasmissione degli atti al Prefetto per l’applicazione della relativa sanzione.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione di Reddito: Quando l’Assoluzione è la Via Maestra

Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha chiarito un punto fondamentale riguardo la falsa dichiarazione reddito presentata per ottenere benefici economici, come l’esenzione dal pagamento del contributo unificato. La Suprema Corte ha stabilito che, in determinate circostanze, tale condotta non costituisce reato, ma un illecito amministrativo. Analizziamo questa importante decisione.

I Fatti del Caso: Una Dichiarazione Sbagliata

Il caso riguarda un cittadino che, per una causa di lavoro, aveva presentato un’autocertificazione attestante un reddito inferiore alla soglia prevista dalla legge per ottenere l’esenzione dal pagamento del contributo unificato. In particolare, aveva dichiarato un reddito di 31.441,72 euro, mentre il suo reddito effettivo ammontava a 34.978,00 euro. La soglia limite per beneficiare dell’esenzione era fissata a 34.481,46 euro. Essendo il suo reddito reale superiore a tale limite, non aveva diritto al beneficio.

Per questa ragione, era stato condannato sia in primo grado che in appello per il reato di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico, previsto dall’art. 483 del codice penale.

Il Percorso Giudiziario e la Prospettiva della Cassazione

Nonostante le due condanne precedenti, la vicenda è approdata in Corte di Cassazione. Qui, lo stesso Sostituto Procuratore generale ha chiesto l’annullamento della sentenza, proponendo una riqualificazione del fatto. La tesi difensiva e quella della Procura Generale convergevano su un punto cruciale: il reato contestato doveva essere inquadrato in una fattispecie diversa e meno grave.

La falsa dichiarazione reddito secondo la Cassazione: il Principio di Assorbimento

La Corte di Cassazione ha accolto questa prospettiva, ribaltando l’esito del processo. I giudici hanno applicato il cosiddetto ‘principio di assorbimento’ o di specialità. Hanno chiarito che quando una falsa dichiarazione reddito è il mezzo utilizzato per ottenere un’indebita erogazione pubblica, il reato di falsità (art. 483 c.p.) viene assorbito da quello più specifico di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.).

In pratica, la legge considera la condotta nella sua interezza: la falsità non è un reato a sé stante, ma la modalità tipica con cui si commette l’illecito di indebita percezione. Le Sezioni Unite della stessa Corte avevano già consolidato questo orientamento in passato, affermando che la norma sull’indebita percezione è speciale e, quindi, prevale su quella generale in materia di falso.

Le Motivazioni della Decisione

La motivazione della Corte si fonda sulla logica che la falsa attestazione sulle condizioni reddituali è direttamente finalizzata a ottenere l’esenzione dal pagamento del contributo. Tale esenzione, consentendo un risparmio di spesa, è equiparata a un’erogazione indebita. Di conseguenza, non si può punire due volte la stessa persona per la falsità e per il beneficio ottenuto, ma si deve applicare solo la norma che descrive l’intero comportamento illecito. Poiché l’articolo 316-ter del codice penale prevede, al secondo comma, che per erogazioni di valore contenuto il fatto non costituisca reato ma solo illecito amministrativo, la Corte ha concluso in tal senso. Il fatto, pur essendo illecito, non rientrava nell’ambito penale.

Le Conclusioni

La Corte di Cassazione ha annullato la sentenza di condanna senza rinvio, dichiarando che ‘il fatto non è previsto dalla legge come reato’. Ciò non significa che la condotta sia lecita, ma che la sua sanzione non è penale. Gli atti del processo sono stati trasmessi al Prefetto di Ragusa, che è l’autorità competente a irrogare la sanzione amministrativa pecuniaria prevista dalla legge. Per l’imputato, questo si traduce nella cancellazione della condanna penale e del relativo ‘sporco’ sulla fedina penale, che sarà sostituito da una multa amministrativa. Una decisione che riafferma il principio di proporzionalità, distinguendo tra condotte penalmente rilevanti e illeciti di minor gravità.

Presentare una falsa dichiarazione di reddito per non pagare una tassa è sempre un reato penale?
No. Secondo la Cassazione, se la falsa dichiarazione è finalizzata a ottenere un’erogazione pubblica indebita (come l’esenzione da un pagamento), il reato di falsità (art. 483 c.p.) viene assorbito da quello più specifico di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato (art. 316-ter c.p.). Se il beneficio ottenuto è di modesta entità, quest’ultimo può essere qualificato come semplice illecito amministrativo e non come reato.

Cosa significa che un reato ‘assorbe’ un altro?
Significa che quando una singola azione integra due diversi reati, si applica solo la norma che descrive in modo più specifico il fatto. In questo caso, la norma sull’indebita percezione di erogazioni (art. 316-ter c.p.) è più specifica della norma generica sulla falsità ideologica (art. 483 c.p.), perché descrive non solo la falsità ma anche il suo scopo finale (ottenere un beneficio economico). Pertanto, la norma più specifica ‘assorbe’ quella generale.

Qual è la conseguenza dell’annullamento della sentenza in questo caso?
La conseguenza è che la condanna penale viene cancellata. L’imputato non avrà una pena detentiva né una menzione nel casellario giudiziale per questo fatto. Tuttavia, l’atto non resta impunito: la Corte ha trasmesso gli atti al Prefetto, che è l’autorità competente per irrogare una sanzione amministrativa (solitamente una multa).

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati