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Falsa dichiarazione reddito di cittadinanza: la Cassazione

La Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di falsa dichiarazione finalizzata all’ottenimento del reddito di cittadinanza. Il caso riguardava una cittadina straniera che aveva falsamente attestato il requisito di residenza decennale in Italia. La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile, chiarendo che, nonostante le recenti modifiche normative e le sentenze della Corte di Giustizia Europea e della Corte Costituzionale, la condotta resta penalmente rilevante. In particolare, la Corte Costituzionale, pur riducendo il requisito di residenza a cinque anni, non ha decriminalizzato la falsa attestazione. Poiché l’imputata non soddisfaceva neanche il nuovo requisito ridotto, la sua dichiarazione è stata considerata penalmente illecita.

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Pubblicato il 26 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione Reddito di Cittadinanza: La Cassazione Conferma la Rilevanza Penale

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 27725 del 2025, è tornata a pronunciarsi su un tema di grande attualità e complessità giuridica: la falsa dichiarazione per il reddito di cittadinanza. In un contesto normativo in continua evoluzione e influenzato da importanti decisioni delle corti superiori, sia nazionali che europee, questa pronuncia offre chiarimenti cruciali sulla persistente rilevanza penale della condotta di chi attesta falsamente i requisiti per accedere al beneficio.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dal ricorso presentato da una cittadina rumena, condannata in appello per aver indebitamente percepito il reddito di cittadinanza. L’imputata, trasferitasi in Italia nel febbraio 2016, aveva presentato domanda per il sussidio nel febbraio 2020, dichiarando falsamente di possedere il requisito della residenza in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo. Sulla base di tale dichiarazione, aveva percepito il beneficio per diversi mesi.

La difesa ha impugnato la sentenza di condanna davanti alla Corte di Cassazione, sollevando tre motivi principali:
1. L’avvenuta abrogazione della norma incriminatrice (art. 7 del d.l. 4/2019).
2. Un vizio di motivazione legato a una presunta ignoranza incolpevole della legge penale, dato che il modulo di domanda non recava la sua sottoscrizione.
3. Un vizio di motivazione sul diniego della sospensione condizionale della pena, ritenuto ingiustificato.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando di fatto la condanna dell’imputata. La decisione si fonda su un’analisi dettagliata della successione delle leggi in materia e del dialogo tra ordinamento interno e diritto dell’Unione Europea, alla luce delle recenti sentenze della Corte di Giustizia e della Corte Costituzionale.

Analisi sulla Falsa Dichiarazione e Abrogazione della Norma

Il primo motivo di ricorso, relativo all’abrogazione della norma, è stato ritenuto manifestamente infondato. La Corte ha ricostruito il complesso quadro normativo, spiegando che sebbene l’art. 7 del d.l. 4/2019 sia stato abrogato a decorrere dal 1° gennaio 2024, una norma transitoria (art. 13, comma 3, del d.l. 48/2023) ha stabilito che le vecchie disposizioni continuano ad applicarsi per i fatti commessi fino al 31 dicembre 2023. Poiché i fatti contestati rientravano in questo arco temporale, la condotta dell’imputata rimaneva penalmente perseguibile.

L’Impatto delle Sentenze delle Corti Superiori

Il cuore della motivazione risiede nell’analisi dell’impatto delle sentenze della Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) e della Corte Costituzionale italiana. La CGUE aveva criticato il requisito di residenza decennale, ritenendolo in contrasto con il diritto europeo per i cittadini di paesi terzi soggiornanti di lungo periodo. Tuttavia, la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 31/2025, ha preso le distanze da tale impostazione, ribadendo la natura peculiare del reddito di cittadinanza come misura complessa di inclusione attiva, non riducibile a mera assistenza sociale.

La Consulta ha dichiarato l’illegittimità del requisito di dieci anni, riducendolo a cinque. Questa riduzione, però, non ha decriminalizzato la condotta di chi dichiara il falso. La Cassazione ha sottolineato che, poiché l’imputata si era trasferita in Italia nel 2016 e aveva fatto domanda nel 2020, non possedeva neanche il requisito di residenza quinquennale. Pertanto, la sua dichiarazione era oggettivamente falsa e penalmente rilevante, a prescindere dalla successiva modifica del requisito.

Gli Altri Motivi di Ricorso

La Corte ha respinto anche gli altri due motivi. L’argomento dell’ignoranza della legge è stato ritenuto infondato, poiché l’errore sulla sussistenza dei requisiti per un beneficio si risolve in un errore sulla legge penale, che non scusa la condotta ai sensi dell’art. 5 c.p. Infine, il diniego della sospensione condizionale della pena è stato giudicato correttamente motivato dalla Corte d’Appello, sulla base dei precedenti penali dell’imputata e della finalità di lucro che accomunava i reati commessi.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano sul principio di continuità normativa e sulla distinzione tra la legittimità di un requisito di legge e la punibilità della falsa dichiarazione. La Corte stabilisce che una successiva dichiarazione di parziale incostituzionalità di un requisito (la durata della residenza) non sana ex post la falsità di una dichiarazione resa quando la norma era in vigore. La condotta penalmente rilevante consiste nel mentire all’amministrazione per ottenere un beneficio indebito. La Corte ribadisce che il sistema penale tutela l’affidamento della Pubblica Amministrazione nella veridicità delle autodichiarazioni dei cittadini, un principio che rimane saldo anche a fronte di un’evoluzione normativa e giurisprudenziale.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un importante principio: la falsa dichiarazione per ottenere il reddito di cittadinanza e altre provvidenze pubbliche rimane un reato, anche in un quadro legislativo mutevole. La decisione chiarisce che le modifiche normative o le sentenze che incidono sui requisiti di accesso non comportano un’automatica abolizione del reato per le condotte passate. Questa pronuncia serve da monito, riaffermando che la correttezza e la veridicità delle dichiarazioni rese alla Pubblica Amministrazione sono un presupposto fondamentale per il corretto funzionamento dello stato sociale e che le false attestazioni saranno sempre perseguite penalmente.

La falsa dichiarazione per ottenere il reddito di cittadinanza è ancora un reato dopo le modifiche legislative?
Sì. La Corte di Cassazione chiarisce che, grazie a specifiche norme transitorie, le condotte illecite commesse fino al 31 dicembre 2023 continuano ad essere punibili secondo le disposizioni vigenti al momento del fatto.

La sentenza della Corte Costituzionale che ha ridotto il requisito di residenza da 10 a 5 anni ha reso lecita la falsa dichiarazione?
No. La decisione della Corte Costituzionale ha modificato la durata del requisito di residenza, ma non ha eliminato la rilevanza penale della condotta di chi dichiara il falso per ottenere il beneficio. Se un richiedente non soddisfa neanche il requisito ridotto a cinque anni, la sua dichiarazione rimane falsa e penalmente sanzionabile.

È possibile giustificare una falsa dichiarazione sui requisiti di residenza sostenendo di non conoscere la legge?
No. La Suprema Corte ha stabilito che l’errore sulla sussistenza dei requisiti per accedere a un beneficio si qualifica come un errore sulla legge penale, che, secondo l’articolo 5 del codice penale, non scusa il reato, salvo casi eccezionali di inevitabilità dell’ignoranza, non riscontrati nel caso di specie.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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