Sentenza di Cassazione Penale Sez. 4 Num. 10657 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 4 Num. 10657 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 13/02/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME NOME FASANO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 06/02/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
visti gli atti, il provvedimento impugNOME e il ricorso; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; lette le conclusioni del P.G.
RITENUTO IN FATTO
Con sentenza in data 6.2.2023 la Corte d’appello di Brindisi ha confermato la sentenza con cui il locale Tribunale in data 1.3.2019 aveva ritenuto COGNOME NOME colpevole del reato di cui all’art. 95 d.p.r. 30 maggio 2002 n. 115, ed esclusa la contestata recidiva, lo aveva condanNOME alla pena di anni uno e mesi quattro di reclusione ed Euro 500,00 di multa.
Dalle risultanze processuali emergeva che in data 4.10.2016 ill COGNOME aveva avanzato richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in relazione al procedimento penale n. 2618/2015, dichiarando che il reddito del proprio nucleo familiare, costituito dall’istante, dai genitori e dalla sorella, ammontava per l’anno di imposta di riferimento, ad Euro 13.377,47 mentre dalle informazioni fornite dall’Agenzia delle Entrate risultava un ulteriore reddito percepito dal padre, COGNOME NOME, pari ad Euro 8268,55, derivante da un secondo rapporto di lavoro iniziato 1’1.06.2015. Il reddito complessivo del nucleo familiare risultava, pertanto, pari ad Euro 21.645,94, somma ben superiore alla soglia risultante dal combiNOME disposto degli artt. 76 e 92 d.p.r. n. 115/2002.
Avverso detta sentenza l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi.
Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. nonché dell’art. 111 Cost. e dell’art. 192 cod.proc.pen. ed il vizio di motivazione in ordine alla non corretta valutazione delle prove da parte del giudice di secondo grado in ordine alla responsabilità penale dell’odierno imputato per il fatto di reato contestatogli, per assenza dell’elemento oggettivo e soggettivo del reato.
Si assume che, contrariamente a quanto statuito nella sentenza impugnata, il COGNOME ha ritenuto in buona fede che quello dichiarato fosse l’unico reddito del padre.
Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. nonché dell’art. 111 Cost. e dell’art. 192 cod.proc.pen. in ordine alla non corretta valutazione delle prove da parte del giudice di secondo grado riguardo al riconoscimento dell’ipotesi del fatto di particolare tenuità ex art. 131 bis cod.pen.
Con il terzo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. nonché dell’art. 111 Cost. in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche in favore dell’imputato.
Con il quarto motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1, lett. b), c) ed e) cod.proc.pen. nonché dell’art. 111 Cost. in ordine alla richiesta di rivalutazione in melius della pena principale applicata.
Il Procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha rassegNOME conclusioni scritte con cui ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso é nel suo complesso inammissibile.
In primo luogo, l’esame della impugnata sentenza consente di constatare come le censure in questa sede svolte ripropongano le medesime doglianze dedotte nel giudizio di appello, cui la Corte territoriale ha fornito una risposta logica ed esauriente.
A riguardo non può che ribadirsi quanto già più volte chiarito da parte di questa Corte di legittimità, secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione che riproduce e reitera gli stessi motivi prospettati con l’atto di appello motivatamente respinti in secondo grado, senza confrontarsi criticamente con gli argomenti utilizzati nel provvedimento impugNOME ma limitandosi, in maniera generica, a lamentare una presunta carenza o illogicità della motivazione (così, tra le altre, Sez. 2, n. 27816 del 22/03/2019′ COGNOME, Rv. 276970-01; Sez. 3, n. 44882 del 18/07/2014, COGNOME, Rv. 260608-01; Sez. 6, n. 20377 del 11/03/2009, COGNOME, Rv. 243838).
Deve altresì considerarsi che la Corte di appello ha confermato la sentenza di primo grado, che ha dichiarato l’imputato responsabile del reato ascritto configurandosi quindi, nel caso che occupa, una c.d. “doppia conforme” di condanna, sicchè le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione.
In ogni modo, a prescindere dalla decisività della superiore argomentazione, il Collegio rileva come, comunque, debba essere ritenuta la manifesta infondatezza del primo motivo di ricorso, atteso che la sentenza impugnata, posto che l’imputato ha indicato i proventi del padre riferibili solo ad uno solo dei rapporti di lavoro che quest’ultimo ha svolto nel 2015, ha ritenuto che proprio tale omissione ha consentito di non superare il limite di reddito stabilito per poter accedere al beneficio.
A riguardo va ribadito che le false indicazioni o le omissioni, anche parziali, che integrano l’elemento oggettivo del reato di cui all’art. 95, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, devono essere sorrette dal dolo generico, rigorosamente provato, che esclude la responsabilità per un difetto di controllo, di per sé integrante condotta colposa, e salva l’ipotesi del dolo eventuale (Sez. 4, n. 39975 del 05/05/2021).
Come evidenziato dalla Corte di merito, la variazione intervenuta in ordine alla situazione reddituale superava la soglia di ammissibilità prevista dall’art. 76 d.P.R. 115/2002; la mancata comunicazione ha inciso sulla permanenza del beneficio; le circostanze evidenziate in motivazione rendono quindi evidente l’impossibilità di individuare errori o disattenzioni nella mancata comunicazione, riconducibili ad una condotta di natura colposa.
L’impugnata sentenza è quindi sostenuta da conferente apparato argomentativo sotto il dedotto profilo della mancanza dell’elemento soggettivo del reato.
Con riguardo al secondo motivo di ricorso, il Collegio rileva come, ai fini dell’applicabilità della suddetta causa di esclusione della punibilità, il giudizi sulla tenuità dell’offesa debba essere operato con riferimento ai criteri stabilit dall’art. 133, comma 1, cod. pen., senza, tuttavia, che ciò renda necessaria la disamina di tutti gli elementi di valutazione previsti, essendo sufficiente l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti (così, tra le altre: Sez. 6, n. 55107 08/11/2018, COGNOME, Rv. 274647-01; Sez. 3, n. 34151 del 18/06/2018, Foglietta e altro, Rv. 273678-01)
Ebbene, nella specie la sentenza impugnata ha motivato il diniego dell’istanza ex art. 131 bis cod.pen. in ragione delle modalità della condotta.
Con riguardo al diniego della concessione delle circostanze attenuanti generiche, la sentenza impugnata ha fatto riferimento all’assenza di elementi positivi, così facendo buon governo del principio secondo cui il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche può essere legittimamente motivato dal giudice con l’assenza di elementi o circostanze di segno positivo, a maggior ragione dopo la riforma dell’art. 62-bis, disposta con il d.l. 23 maggio 2008, n. 92, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 luglio 2008, n. 125, per effel:to della quale, ai fini della concessione della diminuente, non è più sufficiente il solo stato di incensuratezza dell’imputato (Sez. 4, n. 32872 del 08/06/2022, Rv. 283489).
Trattasi di motivazione che ben rappresenta e giustifica, in punto di diritto, le ragioni per cui il giudice di secondo grado ha ritenuto di negare il riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, senza palesare vizi logici e ponendosi in coerenza con le emergenze processuali acquisite, con motivazione, pertanto, non
sindacabile in questa sede di legittimità (Sez. 6, n. 42688 del 24/09/2008, COGNOME e altri, Rv. 242419-01).
Con riguardo al quarto motivo, la sentenza impugnata ha motivato lo scostamento della pena dal minimo edittale in ragione della personalità dell’imputato e di precedenti da cui lo stesso è gravato.
In conclusione il ricorso manifestamente infondato va dichiarato inammissibile.
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen, non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle ammende.
Così deciso il 13.2.2024