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Falsa dichiarazione redditi per gratuito patrocinio

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imputato condannato per una falsa dichiarazione redditi finalizzata a ottenere il gratuito patrocinio. L’imputato aveva dichiarato un reddito di circa 6.000 euro a fronte di uno percepito di 25.000. La Corte ha ritenuto il ricorso una mera ripetizione dei motivi d’appello e un tentativo non consentito di riesaminare i fatti.

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Pubblicato il 14 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa dichiarazione redditi: la Cassazione conferma la condanna

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha affrontato un caso di falsa dichiarazione redditi presentata per ottenere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La decisione ribadisce principi fondamentali sia sul merito del reato sia sulle regole procedurali che governano il ricorso in Cassazione. Analizziamo i dettagli di questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso: Una Discrepanza Reddituale Rilevante

Il caso ha origine dalla condanna, confermata in appello, di un imputato per il reato previsto dall’art. 95 del d.P.R. 115/2002. L’imputato aveva presentato un’istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, attestando falsamente le proprie condizioni reddituali. Nello specifico, aveva dichiarato un reddito per l’anno 2017 pari a 6.025,00 euro.

Tuttavia, le indagini avevano accertato che, nello stesso anno, l’uomo aveva percepito un reddito di ben 25.000,00 euro, una somma circa quattro volte superiore a quella dichiarata e ben al di sopra della soglia prevista per l’accesso al beneficio. I giudici di merito avevano quindi ritenuto provata la sua responsabilità penale.

I Motivi del Ricorso alla Suprema Corte

L’imputato ha presentato ricorso in Cassazione, lamentando una motivazione mancante, contraddittoria e illogica da parte della Corte d’Appello. La difesa sosteneva che i giudici non avessero correttamente valutato gli elementi oggettivi e soggettivi del reato. In particolare, si contestava che non fosse stato considerato il contenuto descrittivo della dichiarazione, dal quale sarebbe emersa la situazione di indigenza del richiedente, escludendo così il dolo (cioè l’intenzione di commettere il reato) a favore di una semplice colpa.

L’analisi della Corte: la falsa dichiarazione redditi e l’inammissibilità del ricorso

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile per una serie di motivi convergenti. In primo luogo, il ricorso è stato giudicato una mera e “pedissequa reiterazione” dei motivi già presentati e respinti in appello. Secondo un consolidato orientamento giurisprudenziale, il ricorso per cassazione deve contenere una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata, e non può limitarsi a riproporre le stesse censure.

In secondo luogo, la Corte ha sottolineato che le doglianze sollevate erano di natura prettamente fattuale. Il ricorrente, infatti, chiedeva una nuova valutazione delle prove, un’operazione che è preclusa in sede di legittimità. La Cassazione non è un terzo grado di giudizio sul merito, ma ha il compito di verificare la corretta applicazione della legge e la coerenza logica della motivazione, senza poter entrare nel merito dell’apprezzamento dei fatti operato dai giudici precedenti.

Le motivazioni

La motivazione della Corte d’Appello è stata ritenuta coerente e non manifestamente illogica. I giudici di merito avevano correttamente evidenziato la sostanziale differenza tra il reddito dichiarato e quello effettivamente percepito, ritenendo tale discrepanza un elemento sufficiente a provare sia l’elemento oggettivo (la falsità della dichiarazione) sia quello soggettivo (il dolo). La volontà di ingannare lo Stato per ottenere un beneficio non dovuto è stata considerata integrata dalla consapevolezza di dichiarare un importo notevolmente inferiore al vero.

Le conclusioni

La decisione della Suprema Corte conferma la linea dura contro la falsa dichiarazione redditi per l’accesso a benefici statali. Dichiarando inammissibile il ricorso, la condanna diventa definitiva. Oltre a ciò, il ricorrente è stato condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000 euro alla Cassa delle ammende. Questa pronuncia serve da monito sull’importanza della correttezza nelle autocertificazioni e ribadisce i limiti stringenti dei motivi che possono essere validamente presentati davanti alla Corte di Cassazione.

Quando una dichiarazione di redditi per il gratuito patrocinio è considerata penalmente rilevante?
Quando si attesta falsamente una condizione reddituale per ottenere il beneficio, come nel caso di specie in cui è stato dichiarato un reddito di circa 6.000 euro a fronte di uno percepito di 25.000 euro.

È sufficiente ripetere in Cassazione gli stessi motivi dell’appello per ottenere una revisione della sentenza?
No, la Corte di Cassazione ha stabilito che il ricorso è inammissibile se si limita a una “pedissequa reiterazione” dei motivi già presentati e respinti in appello, senza una critica specifica e argomentata contro la sentenza impugnata.

Cosa succede se il ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
L’inammissibilità del ricorso comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro, in questo caso 3.000 euro, alla Cassa delle ammende, come previsto dall’art. 616 del codice di procedura penale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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