Falsa Dichiarazione Redditi per il Gratuito Patrocinio: L’Ordinanza della Cassazione
L’accesso alla giustizia è un diritto fondamentale, garantito anche a chi non dispone delle risorse economiche per sostenere le spese legali, attraverso l’istituto del patrocinio a spese dello Stato. Tuttavia, per beneficiare di questo supporto, è necessario attestare la propria condizione di indigenza tramite una dichiarazione veritiera. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda le gravi conseguenze di una falsa dichiarazione redditi, chiarendo due aspetti cruciali: quale reddito va indicato e cosa si intende per ‘intenzione’ di commettere il reato.
I Fatti di Causa
Il caso riguarda un cittadino condannato in primo e secondo grado per il reato previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002. L’imputato aveva presentato un’istanza per essere ammesso al gratuito patrocinio, dichiarando un reddito inferiore ai limiti di legge. Successivamente, era emerso che nella dichiarazione non era stato correttamente computato il reddito percepito da un familiare convivente, portando così a una rappresentazione non veritiera della capacità economica complessiva del nucleo familiare. Contro la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ha proposto ricorso in Cassazione.
Falsa Dichiarazione Redditi e i Motivi del Ricorso
La difesa dell’imputato si basava principalmente su due argomenti:
1. Errata interpretazione del concetto di ‘reddito’: Secondo il ricorrente, la norma (art. 76 D.P.R. 115/2002) doveva essere interpretata nel senso di considerare il reddito netto o imponibile, e non quello lordo.
2. Assenza dell’elemento soggettivo (dolo): L’imputato sosteneva di aver commesso un semplice errore, non un’azione volontaria. Affermava di essersi preoccupato di chiedere l’esatto importo del reddito del padre convivente solo dopo l’inizio del procedimento penale a suo carico, sostenendo quindi la non intenzionalità della sua condotta.
Le Motivazioni della Corte di Cassazione
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendo le argomentazioni della difesa infondate e confermando la validità della sentenza impugnata. L’analisi dei giudici si è concentrata sui due punti sollevati dal ricorrente.
Il Reddito da Dichiarare è Quello Lordo
La Cassazione ha ribadito un principio ormai consolidato nella sua giurisprudenza: ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, il reddito da considerare è il reddito lordo, nella sua interezza. La ragione è semplice e logica: la legge non mira a calcolare l’imposta da pagare, ma a valutare l’effettiva capacità economica del richiedente. Pertanto, devono essere inclusi tutti i redditi, anche quelli non soggetti a imposta, in quanto rappresentativi del tenore di vita e delle disponibilità reali della persona. La Corte ha specificato che il concetto di ‘reddito imponibile’ a cui fa riferimento l’art. 76 va inteso in senso ampio, come indicatore della capacità economica complessiva, senza tener conto di detrazioni o deduzioni fiscali.
La Sussistenza del Dolo Anche in Forma Eventuale
Riguardo all’elemento soggettivo, la Corte ha respinto la tesi dell’errore scusabile. I giudici hanno sottolineato che il reato di falsa dichiarazione redditi non richiede un’intenzione specifica di frodare lo Stato (dolo specifico), ma è sufficiente il cosiddetto dolo generico. Questo significa che basta la coscienza e la volontà di presentare una dichiarazione non veritiera.
Ancora più importante, la Corte ha specificato che la responsabilità penale può sussistere anche a titolo di dolo eventuale. Questo si verifica quando una persona, pur non avendo la certezza, si rappresenta la concreta possibilità di dichiarare dati falsi e ne accetta il rischio. Nel caso specifico, il fatto che l’imputato non si sia premurato di verificare con esattezza il reddito del familiare convivente prima di presentare l’istanza è stato considerato come un’accettazione consapevole del rischio di fornire informazioni non corrette. L’essersi attivato solo dopo l’avvio del procedimento penale non è stato ritenuto sufficiente a escludere la sua responsabilità.
Le Conclusioni
L’ordinanza in esame è un monito importante per chiunque intenda richiedere l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. La decisione della Cassazione conferma che la dichiarazione dei redditi deve essere compilata con la massima diligenza e trasparenza. Non sono ammesse scorciatoie o negligenze: va indicato il reddito lordo complessivo di tutti i componenti del nucleo familiare. Sostenere di ‘non sapere’ o di ‘aver commesso un errore’ non è una difesa efficace, poiché la legge presume che chi sottoscrive una dichiarazione se ne assuma la piena responsabilità, accettando anche solo il rischio che essa possa non essere veritiera.
Quale reddito va dichiarato per accedere al patrocinio a spese dello Stato?
Per accedere al beneficio, è necessario dichiarare il reddito lordo complessivo, che include tutte le entrate percepite, anche quelle non soggette a imposta. La legge mira a valutare l’effettiva capacità economica del richiedente e del suo nucleo familiare, non il reddito imponibile ai soli fini fiscali.
Commettere un errore nella compilazione della domanda per il gratuito patrocinio comporta sempre una condanna penale?
No, per la condanna è necessario il ‘dolo’, ovvero la coscienza e volontà di fare una falsa dichiarazione. Tuttavia, la Cassazione chiarisce che è sufficiente anche il ‘dolo eventuale’, che si configura quando si accetta consapevolmente il rischio di dichiarare informazioni non veritiere, ad esempio omettendo di verificare con diligenza i dati da inserire.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità rende la sentenza di condanna precedente definitiva e non più impugnabile. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende, come avvenuto nel caso di specie.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33492 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33492 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 29/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORRE DEL GRECO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/02/2023 della CORTE APPELLO di CAMPOBASSO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
Visti gli atti e la sentenza impugnata;
esaminato il ricorso proposto a mezzo del difensore da COGNOME, ritenuto responsabile nelle Conformi sentenze di merito del reato di cui all’art. 95 d.P.R. 115/2002. .
Rilevato che, a motivi di ricorso, l’imputato lamenta: 1. Violazione e falsa applicazione dell’art. 76 d.P.R. 115/2002; 2. Mancanza e illogicità della motivazione relativamente all’elemento soggettivo del reato.
Ritenuto che la sentenza impugnata è sorretta da conferente apparato argomentativo sotto ogni profilo dedotto dalla difesa.
Ritenuto, quanto all’aspetto riguardante l’entità del reddito da dichiararsi ai fini della richiesta di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che l’interpretazione fornita dalla Corte di merito dell’art. 76 dpr 115/2002 è conforme all’orientamento consolidato di questa Corte, in base al quale la dichiarazione deve avere ad oggetto il reddito nella sua interezza (reddito lordo) siccome espressivo della capacità economica del richiedente .
Considerato, quanto all’elemento soggettivo del reato, che i giudici di merito hanno valutato congruamente tale aspetto, ponendo in rilievo come le giustificazioni addotte a sostegno dell’asserito errore da parte del ricorrente non siano accoglibili: è emerso, infatti, che l’imputato solo successivamente all’avvio del giudizio a suo carico si sia preoccupato di chiedere al padre convivente quale fosse l’esatto importo del reddito percepito. Tanto vale ad escludere la insussistenza del dolo che è generico e può anche rivestire la forma del dolo eventuale, che implica l’accettazione consapevole del rischio di dichiarare importi reddituali inveritieri.
A fronte di tali argomentazioni, il ricorrente si limita a reiterare le censure precedentemente prospettate, senza tuttavia apportare elementi concreti per disarticolare l’apparato argomentativo della sentenza impugnata.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
P. Q. M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in data 29 ma9gio 2024
Il Consigliere estensore Il Pr dente