LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Falsa dichiarazione redditi: la Cassazione decide

Un cittadino ha presentato una falsa dichiarazione redditi per ottenere il patrocinio a spese dello Stato, omettendo i guadagni dei figli conviventi. La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il suo ricorso, confermando la condanna. La decisione si basa sulla genericità dei motivi di appello, che si limitavano a riproporre argomentazioni già respinte in secondo grado senza contestare specificamente la motivazione della sentenza impugnata.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Falsa Dichiarazione Redditi per il Gratuito Patrocinio: L’Inammissibilità del Ricorso Generico

Una recente ordinanza della Corte di Cassazione affronta il tema della falsa dichiarazione redditi presentata per accedere al patrocinio a spese dello Stato, meglio noto come gratuito patrocinio. Il caso evidenzia le conseguenze penali derivanti dall’omissione dei redditi dei familiari conviventi e stabilisce un importante principio sull’inammissibilità dei ricorsi in Cassazione quando questi risultano generici e ripetitivi.

I Fatti del Caso: La Dichiarazione Incompleta

La vicenda giudiziaria ha origine dalla richiesta di ammissione al gratuito patrocinio presentata da un cittadino. Nell’istanza, l’uomo aveva attestato un reddito familiare di 10.800,00 euro per l’anno di riferimento. Tuttavia, a seguito di accertamenti della Guardia di Finanza, emergeva una realtà ben diversa: il reddito complessivo del nucleo familiare ammontava in realtà a 24.442,16 euro.

La discrepanza era dovuta alla mancata inclusione dei redditi da lavoro dipendente percepiti dai due figli conviventi con il richiedente. Mentre il Tribunale di primo grado aveva ritenuto l’imputato non punibile per la particolare tenuità del fatto (ex art. 131 bis c.p.), la Corte d’Appello di Bari aveva riformato la sentenza, dichiarandolo colpevole del reato di false dichiarazioni previsto dall’art. 95 del D.P.R. 115/2002.

L’Appello in Cassazione e i Motivi del Ricorrente

L’imputato ha presentato ricorso per Cassazione basandosi su due motivi principali:
1. Vizio di motivazione sull’elemento soggettivo: La difesa sosteneva che il proprio assistito avesse agito con semplice negligenza o imprudenza, avendo indicato correttamente i propri redditi e omettendo solo quelli dei figli.
2. Violazione di legge: Si contestava il mancato riconoscimento della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, già concessa in primo grado.

La Decisione della Cassazione: Quando una Falsa Dichiarazione Redditi Porta all’Inammissibilità

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, respingendo su tutta la linea le argomentazioni della difesa. La decisione si fonda su un principio cardine del processo penale: la specificità dei motivi di ricorso. I giudici hanno sottolineato come un ricorso per cassazione non possa limitarsi a riproporre le stesse doglianze già esaminate e rigettate dal giudice d’appello.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile per diverse ragioni. In primo luogo, i motivi presentati sono stati giudicati generici e non specifici. La giurisprudenza consolidata, infatti, richiede che l’impugnazione si confronti direttamente con le argomentazioni della sentenza impugnata, evidenziandone le criticità, e non si limiti a una sterile ripetizione di argomenti già valutati. La mancanza di questa correlazione rende il ricorso aspecifico e, quindi, inammissibile ai sensi dell’art. 591, comma 1, lett. c) del codice di procedura penale.

Nel merito, la Corte ha confermato che l’elemento psicologico del reato era stato correttamente accertato. Il fatto che l’imputato avesse dichiarato la convivenza con i figli, omettendone però i redditi da lavoro, è stato considerato un elemento sufficiente a dimostrare la volontà di attestare il falso per ottenere un beneficio altrimenti non spettante.

Infine, anche il secondo motivo, relativo alla non punibilità, è stato considerato inammissibile perché non indicava in che modo la legge fosse stata violata, limitandosi a lamentare una decisione che, peraltro, era stata la diretta conseguenza dell’accoglimento dell’appello del Pubblico Ministero.

Le conclusioni

L’ordinanza in esame ribadisce due concetti fondamentali. Primo, chi richiede il patrocinio a spese dello Stato ha l’obbligo di dichiarare tutti i redditi dei componenti del nucleo familiare convivente; l’omissione non è una semplice dimenticanza, ma può integrare un reato. Secondo, un ricorso per cassazione deve essere un atto tecnicamente preciso, che dialoga criticamente con la decisione impugnata. La mera riproposizione di censure già respinte porta a una declaratoria di inammissibilità, con conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria, come avvenuto nel caso di specie.

È sufficiente dichiarare solo il proprio reddito per il gratuito patrocinio se si convive con altri familiari che percepiscono un reddito?
No, la sentenza chiarisce che ai fini dell’ammissione al beneficio occorre considerare il reddito complessivo del nucleo familiare. Omettere il reddito dei familiari conviventi, come i figli, integra il reato di falsa dichiarazione redditi.

Perché il ricorso in Cassazione è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato ritenuto inammissibile perché i motivi presentati erano generici e si limitavano a riproporre le stesse argomentazioni già esaminate e respinte dalla Corte d’Appello, senza criticare specificamente le ragioni di quella decisione, violando così il principio di specificità del ricorso.

Si può invocare la semplice negligenza se si omette il reddito dei figli conviventi nella richiesta di gratuito patrocinio?
Secondo la Corte, il fatto di aver dichiarato la presenza di figli conviventi ma di averne omesso i redditi da lavoro dipendente è un elemento sufficiente a dimostrare la consapevolezza e la volontà di attestare il falso, escludendo quindi la configurabilità di una condotta meramente negligente o imprudente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati