Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 35668 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 35668 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 17/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a PALERMO il DATA_NASCITA
avverso la sentenza del 02/12/2022 della CORTE APPELLO di MESSINA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Motivi della decisione
NOME COGNOME ricorre, a mezzo dei difensore di fiducia, avverso la sentenza di cui in epigrafe deducendo violazione di legge e/o vizio motivazionale con un primo motivo in relazione all’affermazione di responsabilità, sia con riferimento all’elemento oggettivo che a quello soggettivo, e con un secondo motivo in relazione alla ritenuta aggravante e alla mancata ritenuta prevalenza delle circostanze attenuanti generiche. Chiede, pertanto, annullarsi la senenza impugnata.
I motivi sopra richiamati sono manifestamente infondati, in quanto assolutamente privi di specificità in tutte le loro articolazioni e del tutto assertivi.
Gli stessi, in particolare, non sono consentiti dalla legge in sede di legittimità perché sono riproduttivi di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal giudice di merito.
Ne deriva che il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.
Il ricorrente, in concreto, non si confronta adeguatamente con la motivazione della corte di appello, che appare logica e congrua, nonché corretta in punto di diritto -e pertanto immune da vizi di legittimità.
2.1. I giudici del gravame del merito, hanno dato infatti conto degli elementi di prova in ordine alla responsabilità del prevenuto, ed in particolare hanno evidenziato essere’ pacifico che – come accertato dalla Guardia di Finanza – a fronte di un reddito complessivo del nucleo familiare autocertificato, in relazione all’anno 2015, in misura di euro 14.400,00 circa (euro 800 mensili, percepiti dalla figlia convivente COGNOME NOME, per complessivi curo 9.600, ed curo 400,00 mensili percepiti dal coniuge NOME, per complessivi curo 4.800,00 circa) la stessa COGNOME NOME aveva percepito, in tale anno, un reddito complessivo netto pari a euro 20.373, per l’attività lavorativa prestata alle dipendenze della RAGIONE_SOCIALE (pari a circa 1.600 euro mensili, considerata la tredicesima mensilità), cui doveva essere aggiunta la somma di circa 4.800,00 euro erogata alla NOME per l’attività di collaboratrice familiare, svolta in nero.
Correttamente i giudici del gravame del merito danno conto che, di contro agli assunti della difesa appellante, il reato di cui all’art. 95 d,P.R. 115/2002 è reato d pura condotta che si consuma con la sottoscrizione deli’atto contenente le false dichiarazioni sulle condizioni di reddito, o, al più tardi, con la presentazione giudice della domanda di ammissione al beneficio (Sez. 4 n. 16194 del 22/01/2019, COGNOME Conte, Rv. 275580 – 01). In presenza di una attestazione macroscopicamente mendace, nessun rilievo assumono pertanto le vicende successive alla presentazione dell’istanza; in particolare la dedotta circostanza che il giudice non avrebbe dovuto ammettere l’imputato al patrocinio richiesta, non essendo stati indicati in maniera precisa i redditi percepiti dal suc nucleo familiare.
Parimenti logica deve ritenersi la motivazione in punto di elemento soggettivo del reato, sul corretto rilievo che il contestato reato di cui all’art. 95 d.P 115/2002 richiede il dolo generico, e quindi la mera consapevolezza e volontà della falsità nelle dichiarazioni rese, senza che assuma rilievo la finalità di conseguire un beneficio che non compete. E che nei caso in esame il dolo si desume agevolmente dalla circostanza che l’imputato era pienamente consapevole che la figlia convivente nell’anno 1995 svolgesse attività lavorativa alle dipendenze della ditta RAGIONE_SOCIALE, con sede in Carini – alla quale ha fatto puntuale rifermento già nell’istanza depositata il 5 gennaio 2017 – e conseguentemente, quantomeno in via approssimativa, delle entità delle somme dalla stessa percepite a titolo di retribuzione. Nulla ha peraltro dedotto l’imputato in ordine ad eventuali circostanze che avrebbero ingenerato in lui la convinzione errata che la figlia percepiva circa la metà delle somme alla stessa erogate dal datore di lavoro e fiscalmente dichiarate.
2.2. La Corte territoriale, inoltre, ha già compiutamente risposto, con una motivazione con cui il ricorrente non si confronta, ritenendo l’aggravante di cui al secondo comma 95 correttamente ritenuta esistente, essendo stato ammesso l’imputato al patrocinio, con decreto emesso dal GIP del Tribunale dì Patti in data 11 giugno 2017, successivamente revocato, per effetto delle mendaci dichiarazioni rese nel contesto dell’istanza e della successiva integrazione.
E ha dato conto che non si ravvisano ragioni per bilanciare in termini di prevalenza le attenuanti generiche già ritenute equivalenti dal giudice di primo grado, pur in presenza di un comportamento collaborativo dell’imputato, in ragione dei plurimi precedenti penali da cui lo stesso è gravato.
La sentenza impugnata si colloca pertanto nell’alveo del consolidato e condivisibile dictum di questa Corte di legittimità secondo cui le statuizioni relative al giudizio di comparazione tra opposte circostanze, implicando una valutazione discrezionale tipica del giudizio di merito, sfuggono al sindacato di legittimità qualora non siano frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e siano sorrette da sufficiente motivazione, tale dovendo ritenersi quella che per giustificare la soluzione dell’equivalenza si sia limitata a ritenerla la più idonea a realizzare l’adeguatezza della pena irrogata in concreto (Sez. U., n. 10713 del 25/02/2010, COGNOME, Rv. 245931; conf. Sez. 2 n. 31543 dell’8/6/2017; COGNOME, Rv. 270450; Sez. 4, n. 25532 del 23/5/2007, COGNOME Rv. 236992; Sez. 3, n. 26908 del 22/4/2004, COGNOME, Rv. 229298). Tale giudizio, in altri termini, è congruamente motivato alla stregua anche solo di alcuni dei parametri previsti dall’art. 133 cod. pen., senza che occorra un’analitica esposizione dei criteri di valutazione adoperati (Sez. 5, n. 33114 del 08/10/2020, Rv. 279838).
Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 cod. proc. non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammiss bilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alia condanna di parte rico al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento de spese processuali e della somma di euro tremila in favore della cassa delle mende.
Così deciso il 17/09/2024